Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45226 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45226 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
NOME NOMECOGNOME nato a Soverato il 7.10.1965, contro l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro dei 9.5.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUT3 IN FATTO
Con ordinanza del 9,5.2024 il Tribunale di Catanzaro ha respinto l’istanza di riesame che era stata proposta nell’interesse di NOME COGNOME contro il
provvedimento con il quale il GIP, in data 18.4.2024, aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, dell’importo di euro 105.352.00 euro ritenuti profitto del delitto di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti tributari e contro il patrimonio nonché per il reato di cui all’art. 640-bis co pen. consistito nella effettuazione di numerose operazioni di acquisizione e successiva cessione di crediti d’imposta previsti dall’art. 120 del DL 34 del 2020, per milioni di euro;
2. ricorre per cassazione il difensore del COGNOME deducendo:
2.1 violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’art. 268, comma terzo, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, 271 e 191 cod. proc. pen.: omessa valutazione della memoria difensiva: rileva, infatti, l’errore in cui è incorso il Tribunale nel ritenere infondata l’eccezione di inutilizzabilità sollevata ai sensi dell’art. 268, comma terzo, cod. proc. pen.; ribadisce come le operazioni fossero state autorizzate dal PM di Catanzaro dovendo essere eseguite con i dispositivi installati presso quegli uffici laddove invece era avvenuto che l’attività captativa fosse stata eseguita con le apparecchiature in dotazione alla Procura di Lametia Terme e ciò in assenza dei relativi presupposti e di un provvedimento motivato;
2.2 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al fumus boni juris: violazione degli artt. 325 e 321 cod. proc. pen. con riguardo all’esistenza del delitto di cui al capo a) (art. 416 cod. pen.) ed al capo b) (art. 640-bis cod. pen.); omessa valutazione della memoria e dei documenti ivi allegati: rileva che la misura reale risulta fondata sul solo capo a) che, tuttavia, era sorretto, sul piano indiziario, soltanto dalle intercettazioni; segnala che il Tribunale ha giudicato sostanzialmente incontestate le dichiarazioni rese da NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME non essendosi tuttavia confrontato con le argomentazioni e le prove offerte dalla difesa nei motivi nuovi e che analogo difetto di confronto con le specifiche argomentazioni difensive sussiste anche con riguardo alla fittizietà dei lavori, con conseguente vizio di motivazione, stante il carattere decisivo delle molteplici allegazioni difensive ivi compendiate; precisa che il COGNOME, quale amministratore della Società di RAGIONE_SOCIALE, ha effettuato i lavori di sanificazione per i clienti che ne avevano fatto richiesta alla DGR acquistando i relativi materiali sicché la condotta del ricorrente si sostanzierebbe esclusivamente nella consapevolezza del carattere soggettivamente inesistente delle operazioni; pur prescindendo dalla inutilizzabilità delle intercettazioni, rileva che proprio dalle conversazioni captate emerge la smentita del potenziale pactum sceleris tra il ricorrente e gli altri presunti sodali; richiama, anche, le dichiarazioni del COGNOME, commercialista della
DGR che mai aveva fatto riferimento al COGNOME e sottolinea come le dichiarazioni rese dal COGNOME in sede di interrogatorio siano smentite da quelle rese in sede di processo verbale di constatazione ove il predetto aveva affermato che il COGNOME eseguiva lavori per conto della sua società che non era in grado di farlo per assenza di mezzi e forza lavoro;
quanto al capo b) precisa, in primo luogo, che i crediti di cui si discute in questa sede sono solo ed esclusivamente quelli derivanti dalla attività di sanificazione COVID con il cod. 6918; osserva che le persone richiamate nell’ordinanza impugnata sono un numero ristrettissimo oltre che potenzialmente indagate; aggiunge che gli investigatori non hanno considerato che il COGNOME ha eseguito le attività per conto di DGR prima con RAGIONE_SOCIALE e poi con Società di Ingegneria Applicata emettendo regolari fatture e ricevendo il pagamento con i crediti di imposta successivamente ceduti; segnala che, a fronte degli elementi addotti dalla difesa, i titolari delle attività commerciali, escussi a sommarie informazioni, hanno riferito falsamente che i lavori non erano mai stati eseguiti laddove la documentazione prodotta dimostra che l’attività di sanificazione era stata effettuata e che il credito di imposta era stato legittimamente generato ed acquisito; segnala che il Tribunale si è adagiato sul costrutto accusatorio non confrontandosi con le allegazioni difensive quali, ad esempio, la documentazione comprovante le attività svolte presso le aziende di NOME Francesco Giuseppe, NOME COGNOME e NOME COGNOME le cui dichiarazioni risultano radicalmente false; analoga considerazione svolge con riguardo alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME la cui domanda non era nemmeno andata a buon fine, circostanza non considerata dagli investigatori; richiama, inoltre, tutta la documentazione prodotta a testimonianza della effettività dei lavori nonché le fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE per complessivi euro 212.871,00, elemento giudicato non decisivo dal Tribunale che ha inoltre omesso di motivare sui crediti rinunciati per non essere le relative procedure andate a buon fine e, perciò, oggetto di note di credito rispetto ai 300.000 euro di crediti ceduti dalla DGR; ripercorre i dati contabili con i quali il Tribunale avrebbe dovuto confrontarsi a fronte del dato travisato dal GIP e concernente la fattura di euro 493.745,57 emessa dalla Società RAGIONE_SOCIALE Appiicata quella di euro 20.000 emessa dalla RAGIONE_SOCIALE, entrambe riconducibili al Loprieno, in favore della DRG ma mai emesse, come risulta dalla schermata della Agenzia delle Entrate; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3 violazione di legge, con riferimento agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen. e in relazione al periculum in mora: segnala l’assenza di motivazione che non replica alle argomentazioni sviluppate nei motivi nuovi e che ripercorre unitamente
alla considerazione secondo cui, dal fatto illecito, sono decorsi ormai tre anni; osserva che il credito imposta poteva essere utilizzato sino al 30.6.2021, non essendo ora più esistente ma, comunque, inutilizzabile; ribadisce che tutti i beni oggetto di sequestro preventivo hanno origine lecita; sottolinea che il periculum paventato non può ritenersi concreto ed attuale;
la Procura Generale ha trasmesso le proprie conclusioni scritte concludendo per il rigetto del ricorso.
la difesa ha trasmesso una ampia ed articolata memoria con cui insiste sulle censure articolate nel ricorso argomentando sulle considerazioni svolte dal PG.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate o non consentite in questa sede.
Il primo motivo è inammissibile per difetto di interesse.
Il Tribunale, infatti, ha vagliato la preliminare eccezione difensiva concernente la inutilizzabilità delle intercettazioni per violazione dell’art. 268, comma terzo, cod. proc. pen. che era stata articolata sotto un duplice profilo: della violazione del diritto di difesa che non aveva potuto accedere ai progressivi dei quali aveva chiesto copia e della esecuzione delle operazioni di captazione presso gli impianti di una Procura della Repubblica diversa da quella che stava procedendo.
I giudici catanzaresi hanno giudicato fondato il primo rilievo e, pertanto, hanno chiarito che, ai fini della decisione, non sarebbe stato utilizzato il contenuto delle intercettazioni; consegue, pertanto, l’evidente difetto di interesse a dedurre nuovamente la questione in questa sede (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 25082 del 27/02/2019, Baiano, Rv. 277608 – 02, in cui la Corte ha spiegato che, in tema di intercettazioni di comunicazioni, qualora in sede di legittimità venga eccepita l’inutilizzabilità dei relativi risultati, è onere della part a pena di inammissibilità del motivo per genericità, indicare specificamente l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato e, per altro verso, la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni, posto che l’omissione di tali indicazioni incide sulla valutazione della concretezza dell’interesse ad impugnare).
Il secondo motivo è del pari inammissibile.
2,1 II ricorso per Cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in siffatta nozione dovendosi peraltro comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione che risultino così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli ed altro, Rv. 269656 01; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, NOME, Rv. 254893 – 01; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093 – 01 e, in ogni caso, già Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692 – 01).
E’ altrettanto consolidato l’orientamento di questa Corte nel senso che il giudice del riesame, nella valutazione del fumus, deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile o meno l’impostazione accusatoria, ma non può sindacare la fondatezza dell’accusa (cfr., Sez. 1, n. 18941 del 30/01/2018, COGNOME, Rv. 269311; Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272927; Sez. 6, n. 9991 del 25/01/2017, COGNOME, Rv. 269311; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, COGNOME, Rv. 265433; Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, COGNOME, Rv. 261677).
2.2 II secondo motivo del ricorso è articolato su una serie di censure che denunziano, semmai, vizi di motivazione del provvedimento impugnato: a partire dal rilievo secondo cui il Tribunale non avrebbe dato conto e non avrebbe valutato le deduzioni contenute nella memoria difensiva essendo ormai consolidato il principio per il quale l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può semmai influire sulla congruità e sulla correttezza logicogiuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (cfr., così tra le tante, Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, COGNOME, Rv. 279578 01; Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 276199 GLYPH 03; Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 276511 GLYPH 01; Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018, COGNOME, Rv. 272739 01; Sez. 3, n. 5075 del 13/12/2017, dep. 02/02/2018, COGNOME, Rv. 272009 – 01; Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271600 – 01).
In ogni caso, il Tribunale ha fornito una ricostruzione esaustiva delle vicende in cui si sarebbe concretizzata l’ipotesi accusatoria ma, anche, dei rilievi
difensivi con cui si è adeguatamente confrontato rendendo una motivazione affatto “apparente” e, perciò, incensurabile in questa sede.
I giudici del riesame hanno infatti vagliato la prospettazione della pubblica accusa secondo cui la DGR RAGIONE_SOCIALE Constructions di NOME COGNOME, operante nel settore della disinfestazione, avrebbe acquisito una serie di crediti di imposta, maturati dai clienti, per lavori di adeguamento alle misure sanitarie imposte dalla pandemia da COVID, in realtà mai eseguiti.
Hanno dato conto del fatto che erano state talvolta emesse fatture per i lavori mai eseguiti di cui i clienti, in alcune occasioni, avevano chiesto lo storno proprio perché gli interventi non erano stati effettuati (cfr., pag. 3, alla nota 1, da cui risulta che la ditta ha emesso, nel 2021, 22 note di credito per l’importo complessivo di oltre 1 milione e duecentomila euro).
Il Tribunale ha evidenziato che la ditta facente capo al COGNOME non aveva sede né personale o strutture in grado di eseguire i lavori avendo tuttavia emesso fatture nei confronti di 80 clienti per 5.597.658,25 di cui 4.357.143,05 per presunta attuazione di un piano pandemico di cui la stessa Agenzia delle Entrate, nel 2022 (cfr., pag. 3 del provvedimento impugnato) aveva rilevato la non veridicità.
Ha inoltre spiegato che l’azienda dell’indagato, pur operante nel settore della sanificazione, aveva fatturato interventi di ristrutturazione che, alla luce della normativa vigente, consentiva un beneficio superiore sotto il profilo dell’acquisizione di crediti fiscali che erano stati successivamente “monetizzati” ora ponendoli in compensazione con debiti erariali ora attraverso la cessione a terzi, quali Poste Italiane (cui lo stesso COGNOME aveva cercato di cedere 250.000 euro di crediti) o privati.
Sul piano del fumus il Tribunale ha dato conto delle dichiarazioni rese dai presunti clienti (cfr., ancora, pag. 3 dell’ordinanza, quanto alle dichiarazioni di COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME; in merito alle proposte direttamente ricevute da RAGIONE_SOCIALE cui NOME aveva detto di aver fornito le credenziali per richiedere il credito di imposta) quanto alla partecipazione del RAGIONE_SOCIALE alla complessiva attività di creazione e commercializzazione di crediti fittizi.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha vagliato il profilo del periculum in mora che ha ritenuto sussistente in quanto “… connesso alla disponibilità del denaro in capo al ricorrente che in tal modo potrebbe proseguire nella condotta illecita e soprattutto potrebbe
disperderlo sottraendolo alla pretesa risarcitoria delle vittime delle condotte estorsive”.
In tal modo, i giudici del riesame hanno reso una motivazione che, sia pur estremamente sintetica, non può dirsi meramente apparente e, perciò, integrare un profilo di violazione di legge, censurabile in questa sede dal momento che, come si è già precisato, il ricorso per Cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi profili di esclusione della colpa nell’introdurre e coltivare l’impugnazione.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 10.10.2024