Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26923 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26923 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME nata a Roma il 21/06/1995, avverso la ordinanza in data 03/02/2025 del Tribunale di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona dei Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore della ricorrente, avv. NOME COGNOME che, richiamato il contenuto della memoria trasmessa a mezzo p.e.c. in data 9 giugno 2025, ha insistito per l’annullamento della ordinanza impugnata.
Il Pubblico ministero presso il Tribunale di Velletri procede, nei confronti della ricorrente, per ipotesi di riciclaggio di parte dei proventi di più reati d cessione di sostanze stupefacenti (art. 73, commi 1 e 4 d.P.R. 309/1990) contestati anche al fratello NOME (destinatario di misura cautelare personale in riferimento ai delitti, capi D ed L, in tema di stupefacenti, per la gestione in concorso della piazza di spaccio di INDIRIZZO, che frutta l’incasso -calcolato dagli inquirenti- della somma contante di circa 4000,00 euro al giorno).
1.1. In particolare, si contesta alla ricorrente (con imputazione apprezzata secondo la regola di giudizio del fumus commissi delicti, propria dell’incidente cautelare reale) di aver compiuto operazioni economiche (acquisto al pubblico incanto, mediato da un terzo, di immobile in Anzio, per l’importo di euro 53.000,00, versati con assegni circolari dal soggetto terzo, che avrebbe agito secondo indicazioni ricevute dal fratello della ricorrente) tali da ostacolare l’identificazione della provenienza da delitto delle somme ricevute (attraverso la mediazione di soggetto terzo) dal germano NOME; somme provento dell’attività illecita appena sopra indicata; sicché l’immobile acquistato con la provvista altrui deve ritenersi provento immediato dell’attività di riciclaggio, riconducibile alla odierna ricorrente, che non avrebbe, dunque, offerto alcun apporto eziologico alla consumazione del delitto presupposto o c.d. “produttore”.
1.2. Era, quindi, sottoposto a sequestro preventivo (artt. 321, c.d. anticipatorio, cod. proc. pen., 648 quater cod. pen.) dal G.i.p. del Tribunale di Velletri (decreto in data 7 gennaio 2025) l’immobile già sopra indicato, intestato alla ricorrente, priva di redditi e possidenze mobiliari o immobiliari, come del resto il fratello NOME, attinto da provvedimento coercitivo personale per l’attività di produzione dei redditi illeciti poi reinvestiti.
1.3. Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame cautelare reale, ha respinto l’istanza di riesame, confermando la sussistenza del fumus commissi delicti dell’ipotesi contestata in cautela, essendo stata l’indagata incaricata consapevolmente dell’operazione immobiliare realizzata dal fratello, con il concorso di persona terza, versata nel settore dei pubblici incanti e titolare di diversi rapporti bancari, con l’intento di celare la traccia illecita delle somme provento dell’attività organizzata e continuativa di spaccio di stupefacenti.
Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagata, a ministero del difensore di fiducia abilitato, che ha dedotto i seguenti quattro motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce (ai sensi di quanto prevede l’art. 606, comma 1. lett. b e c, cod. proc. pen.) la mera apparenza della motivazione
del provvedimento impugnato (art. 125 del codice di rito), la violazione e la falsa applicazione della regola di giudizio sottesa all’art.- 648 quater cod. pen:, per insussistenza giuridica del fumus del delitto “derivato” di riciclaggio (art. 648 bis cod. pen.), giacché non è affatto dimostrato l’intento dissimulatorio della traccia illecita della provvista; tantomeno è dimostrata la esatta corrispondenza tra l’entità delle somme contanti versate sul c/c bancario di un terzo e la provvista complessiva utilizzata per l’acquisto dell’immobile. Non potendo a tal fine valorizzarsi il contenuto di una conversazione ambientale intercettata un anno dopo la conclusione dell’acquisto immobiliare, che peraltro descrive un diverso procedimento di aggiudicazione dell’immobile offerto al pubblico incanto. Non sussiste, dunque, il fumus del delitto contestato.
2.2. Ancora, i medesimi vizi sono dedotti quanto alla violazione della disciplina della confisca obbligatoria per equivalente (art. 648 quater, comma secondo, cod. pen.) del prodotto del riciclaggio, oltre alla violazione del principio di proporzione del sequestro preventivo. Il Tribunale non ha infatti individuato con precisione l’ammontare valoriale del profitto del reato di riciclaggio, il che inibisce la confisca per equivalente valoriale del detto profitto. Né l’immobile può considerarsi provento dell’attività di riciclaggio, essendo questo identificabile con la somma di denaro utilizzata per perfezionarne l’acquisto. Ma tale somma (proveniente dai conti correnti del Firas COGNOME) aveva origine lecita o comunque dubbia (anche nell’ammontare usato per l’aggiudicazione dell’immobile), il che riverbera effetti invalidanti sulla struttura del ritenuto riciclaggio, per la equivocità del reato presupposto individuato nel traffico di stupefacenti, laddove le somme provengono inequivocamente dai conti correnti del NOME COGNOME, pacificamente estraneo a tale traffico illecito.
2.3. Ancora i medesimi vizi sono denunziati quanto a violazione del principio di proporzione tra valore dell’immobile sequestrato e provento del reato presupposto, anche per la non esercitata facoltà del giudice del riesame di autonoma riduzione del valore sequestrato. Omessa individuazione del valore economico dell’immobile e conseguente nullità del provvedimento per omessa motivazione sul punto relativo all’osservanza del canone di proporzione in materia cautelare. Le somme versate in contanti sui conti correnti del NOME COGNOME ammontano ad euro 11.000 non 26.000, non è pertanto chiaro quale proporzione si possa scorgere con il valore dell’immobile aggiudicato all’incanto.
2.4. Da ultimo, si deduce la violazione della legge penale, in relazione al ritenuto pericolo di dispersione del bene, sulla cui concreta sussistenza il Tribunale della cautela ha adottato una motivazione meramente apparente, che peraltro si pone in insanabile contraddizione con la dichiarata carenza di interesse del fratello della ricorrente alla richiesta di riesame.
Con memoria del 9 giugno 2025 (trasmessa oltre il termine perentorio di cinque giorni, previsto dall’art. 611 cod. proc. pen., ma richiamata in s-ede di discussione orale e, dunque, esaminabile dal Collegio), la ricorrente ripercorreva, approfondendone i contenuti, i motivi originari di ricorso.
Insisteva, comunque, per l’annullamento della ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I temi posti all’attenzione di questa Corte di legittimità sono sintetizzabili nelle seguenti censure:
1.1. Non è indicato, neppure con approssimazione, l’ammontare complessivo del provento dei reati di traffico di stupefacenti;
1.2. Non è dimostrato il transito di somme contanti da RAGIONE_SOCIALE (soggetto produttore) all’intermediario, tantomeno è ipotizzabile l’intento dissimulatori° che avrebbe dovuto sostenere la condotta della ricorrente;
1.3. Le somme versate per contanti sui conti dello stesso intermediario ammontano a soli euro 11.000, dunque manca la dimostrazione indiziaria di un transito di contanti congruente col prezzo pagato per l’acquisto dell’immobile, così come difetta la proporzione tra somme investite dal produttore e valore dell’immobile acquistato, con il conseguente deficit di equivalenza tra profitto e valore oggetto di apprensione;
1.4. Non è dimostrato il pericolo di dispersione dell’oggetto dell’investimento illecito.
I quattro motivi di ricorso proposti e poi valorizzati nei contenuti con la memoria richiamata in sede di discussione orale, non sono consentiti dal solco dei binari tracciati dal testo dell’art. 325 cod. proc. pen.
Questa Corte ha, infatti, più volte affermato che nella nozione di “violazione di legge”, per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non la contraddittorietà o l’illogicità manifesta della stessa, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, COGNOME, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno; seguite da Sez. 6, n. 7472, del 21/1/2009, Rv. 242916; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Rv. 248129; Sez. 1, n. 6821 del
31/01/2012, Chiesi; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, COGNOME; Sez. 2, n. 5807, del 18/1/2017, Rv. 269119; più recentemente, Sez. 6, n. 4857, del 14/11/2018, dep. 2019). Non può pertanto essere proposto come violazione della legge, sostanziale o processuale, il travisamento dell’argomento dedotto, quale forma di manifestazione del vizio di motivazione.
2.1. Posta tale premessa, deve pure precisarsi che la concreta fattispecie posta all’attenzione del Tribunale dell’incidente cautelare restituisce l’immagine di una condotta composta dalla intestazione (certamente fittizia, perché documentalmente conseguente al versamento di somme provenienti dai conti di soggetto terzo) di un bene immobile ad un soggetto che non aveva la disponibilità finanziaria per l’acquisto. Tale intestazione fittizia è stata qualificata -con ragionamento inferenziale che, per quanto astrattamente non condivisibile dalla parte ricorrente, non è certamente apparente- come derivazione da una fattispecie penale idonea a produrre ricchezza illecita, per un ammontare quotidiano cospicuo (indicato nella motivazione della ordinanza impugnata) e del tutto idoneo a fornire la provvista per l’investimento immobiliare effettuato. Il che -a seconda delle variabili costituite (i) dalla finalità elusiva della fittizia intestazione, (il) consapevolezza (dimostrata dai giudici di merito sulla base di corredo intercettivo non diversamente leggibile da parte del giudice di legittimità) della provenienza da delitto della somma investita, (iii) dal contributo del soggetto intestatario alla realizzazione del delitto presupposto- può assumere qualificazioni giuridiche diverse (art. 512 bis, 648 bis, 648 ter.1, cod. pen.), ma tutte certamente idonee a reggere la confisca del bene acquistato quale prodotto “diretto” del reato ravvisato.
2.2. La ricorrente sostiene che l’argomentare del Tribunale del controllo cautelare è fondato sulla erronea considerazione che i valori nummari usati per l’acquisto immobiliare costituissero, in qualche modo, provento diaframmatico del traffico di stupefacenti. Ma il Tribunale ha argomentato il proprio convincimento sul punto seguendo un percorso logico (carenza di provvista in capo all’intestatario fittizio, interesse a quella categoria di investimento manifestata dal soggetto produttore di ricchezza illecita, ripetitività di uno schema di intermediazione soggettiva collaudato) che non appare affatto censurabile in questa sede di legittimità, in quanto, come poco sopra già accennato, per quanto non condiviso dalla ricorrente, non è affatto apparente.
Motivata appare altresì la scelta di colpire col vincolo reale l’intero immobile fittiziamente intestato, giacché è l’immobile stesso a costituire prodotto del reato (sia esso trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio o autoriciclaggio).
Del pari è a dirsi per la corretta motivazione (tratta dalla lettura non censurabile data delle conversazioni intercettate) sul pericolo di dispersione
dell’immobile altrui intestato ed in sequestro in attesa della definitiva confisca, che si pone in sintonia con i -principi recentemente -dettati da questa Corte, nella
massima espressione di collegialità (Sez. U., n. 36959 del 24/6/2021, Rv.
281948).
2.3. Ritiene il Collegio che un tale argomentare, che peraltro non si discosta dalla più recente giurisprudenza di questa Corte formatasi sul tema (Sez. 2, n.
28587 del 3/7/2024, COGNOME, Rv. 286727-01; Sez. 2, n. 10344 del 13/12/2024, dep. 2025, COGNOME) non rappresenti affatto un mero simulacro di motivazione
del tutto apparente, avendo il Tribunale valorizzato in motivazione elementi di fatto concreti, attingendo al patrimonio delle fonti informative utilizzabili
nell’incidente cautelare.
3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e
della somma, a titolo di sanzione per la provocata inammissibilità, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 12 giugno 2025.