Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34212 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34212 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME nata a Fujan (Cina) il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza resa dal Tribunale di Cagliari il 22/4/2025 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che non è stata avanzata richiesta di trattazione orale dell’udienza; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO che ha insistito per l’accoglimento del ricorso, replicando alle considerazioni del pubblico ministero.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Cagliari ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di NOMEping COGNOME e per l’effetto ha confermato il decreto emesso in data 29 Marzo 2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari con cui sono stati convalidati i sequestri preventivi delle somme di 52.275 euro, eseguito il 22 marzo
2025 dagli ufficiali di PG nell’abitazione dei due indagati, NOME COGNOME e NOME COGNOME, coniugi, distribuiti nelle diverse stanze, nonché il successivo sequestro della somma di oltre 48.000 euro, rinvenuta nella sede dell’esercizio commerciale RAGIONE_SOCIALE mo da, e disposto il sequestro delle medesime somme.
Il Tribunale ha ritenuto che l’indagato COGNOME fosse un collettore di somme di danaro provenienti da diversi imprenditori cinesi operanti in Sardegna, i quali provvedevano a consegnargli il contante presso la sede di una ditta intestata alla di lui madre (la RAGIONE_SOCIALE); COGNOME successivamente provvedeva a trasportare il danaro in Toscana, consegnandolo ad altri soggetti adibiti al suo reimpiego nella zona di Prato, ovvero impiegando personalmente il danaro per l’acquisto di orologi di lusso in Sardegna.
La somma in contanti oggetto di sequestro preventivo di urgenza operato dalla polizia giudiziaria in data 22 marzo 2025, era stata ritrovata, occultata in vario modo, in parte presso la sede della RAGIONE_SOCIALE (per euro 48 mila circa) ed in parte presso l’ab itazione familiare degli indagati (per euro 52 mila circa).
L’ordinanza impugnata ha ritenuto che il danaro dovesse ricondursi nella sua interezza ai due coniugi coindagati e provenisse dai reati tributari commessi da imprenditori cinesi che avevano provveduto alla consegna, tra i quali alcuni erano stati identificati (uno di essi, NOME COGNOME, era stato sottoposto ad indagine per reati tributari).
Inoltre, la provenienza illecita del danaro è stata ritenuta in forza di criteri logici, come le anomale RAGIONE_SOCIALElità con le quali era custodito, l’assenza di giustificazione, la circostanza che non fosse impiegato, nonostante l’entità, attraverso strumenti tr acciabili, il rilievo che i due indagati fossero dediti a traffici delittuosi, avendo ripetutamente trasportato denaro dalla Sardegna alla Toscana con le descritte RAGIONE_SOCIALElità, così come era emerso dalle indagini.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente anche il periculum in mora, considerando che il sequestro preventivo aveva natura impeditiva ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., desumendo l’esigenza cautelare dalla natura fungibile del bene e dalle condotte che l’indagato aveva commesso prima che si desse luogo al sequestro, attraverso i ripetuti viaggi tra la Sardegna e la Toscana.
L’ordinanza impugnata ha aggiunto che l’esigenza cautelare doveva ritenersi sussistente anche nella eventualità che il sequestro, come prospettato dalla difesa, fosse stato disposto in quanto finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., dal momento che la confisca era possibile in relazione a quanto previsto dalla normativa tributaria e l’esatta entità della stessa si sarebbe accertata con la sentenza di condanna.
2.Avverso detta pronunzia ha proposto ricorso, tra gli altri, NOMEping COGNOME deducendo:
2.1 violazione degli articoli 125, 321 e 324 cod.proc.pen. per l’assenza di un capo di incolpazione e l’omessa indicazione del reato presupposto. Lamenta la ricorrente che il gip si è limitato a richiamare l’art. 648 bis codice penale, senza esplicitare la descrizione della condotta criminosa ipotizzata e individuare il reato presupposto, in aperta violazione dei principi affermati in tema di sequestro e di fumus dalla Suprema Corte. L’ eccezione è stata respinta dal tribunale del riesame, il quale pur ammettendo l’assenza del capo di accusa nel decreto di sequestro, ha fatto riferimento alla richiesta di convalida del sequestro del PM, che, a sua volta, rinviava al contenuto del verbale di sequestro operato dalla Pg in cui è esplicitato un capo d’accusa. Detto ragionamento sarebbe illegittimo, poiché il gip non può rinviare la formulazione del capo di accusa per relationem agli atti di indagine, in quanto tale richiamo non consente di comprendere le ragioni concrete che hanno indotto l’autorità giudiziaria a disporre la misura cautelare. Rileva inoltre la ricorrente che nel capo di accusa non è stato minimamente individuato per tipologia il reato presupposto da cui avrebbe avuto origine il denaro riciclato, mentre è necessario che il delitto presupposto venga specificato.
2.2 Violazione degli artt. 321 e 324 cod.proc.pen. e dell’art. 648 bis cod.pen. in ragione della assenza di qualsivoglia condotta idonea a configurare il delitto di riciclaggio. Con il riesame la difesa aveva contestato che in nessun atto era stata indicata la provenienza illecita del denaro oggetto di sequestro e più in particolare il reato presupposto. Anche ipotizzando che i reati presupposti fossero i delitti fiscali commessi dai cittadini cinesi che consegnavano il denaro agli indagati, non è stata al riguardo svolta alcuna indagine finalizzata a ricostruire le capacità reddituali dei soggetti che versavano il denaro. Anche questa eccezione è stata respinta dal tribunale del riesame, il quale ha ritenuto di poter integrare la incolpazione cautelare sulla scorta degli atti di indagine e ha considerato che le RAGIONE_SOCIALElità di occultamento delle somme dimostrano il carattere illecito delle stesse. Così facendo il Tribunale è incorso in due erronee applicazioni di legge, poiché rientra nei suoi poteri confermare il provvedimento di sequestro anche sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto in ordine al quale è stato ravvisato il fumus , ma non può porre a fondamento del riciclaggio un fatto diverso, poiché il dominus dell’azione penale è il pubblico ministero. Inoltre è illegittimo anche il secondo assunto del Tribunale, secondo cui la provenienza delittuosa del denaro si deve ricavare dalle RAGIONE_SOCIALElità di occultamento dello stesso, in quanto il denaro nel caso di specie non è stato trovato in luoghi impervi ma nella camera da letto degli indagati o dei terzi interessati, all’interno di borse, borselli e scatole di scarpe, sicché il denaro non era occultato con RAGIONE_SOCIALElità particolari che possano giustificare la certa provenienza da delitto.
Osserva, inoltre, la ricorrente che la giurisprudenza di legittimità ha escluso che l’azione di trasferimento materiale in un altro luogo del bene riciclato rientri nell’ambito della condotta tipica del reato, intesa come movimentazione dissimulatoria, sicché anche l’eventuale trasporto della somma di denaro dalla Sardegna alla Toscana non è elemento idoneo ad integrare la condotta di riciclaggio.
2.3 Violazione delle norme relative al fumus e più in particolare degli articoli 2, 3, 4 e 5 del decreto legislativo 74/2000 poiché gli ipotetici reati presupposto venivano indicati nel decreto di sequestro e perquisizione senza ulteriori specificazioni e il Tribunale ha ritenuto che possano essere accertati anche in un momento successivo e che non fosse onere in questa fase verificare il superamento delle soglie di punibilità dei reati fiscali. La Suprema Corte ha, invece, chiarito che la sussistenza del reato presupposto non può essere frutto di una mera ipotesi astratta, ma deve risultare dagli atti di indagine.
2.4 Violazione ed erronea applicazione delle norme relative al fumus commissi delicti del reato di riciclaggio. Con il riesame la difesa aveva osservato che il denaro era stato trovato in parte nella disponibilità dei genitori del signor COGNOME o, comunque, all’interno della ditta individuale, RAGIONE_SOCIALE, riconducibile alla di lui madre e non poteva pertanto essere ricondotto alla attività criminale dei due indagati, con conseguente restituzione dei beni agli aventi diritto. Questa eccezione è stata respinta dal Tribunale del riesame sostenendo che tutto il denaro sequestrato fosse riconducibile agli indagati e di provenienza illecita, poiché i terzi interessati coabitavano con gli indagati COGNOME e COGNOME e la sede della ditta individuale era utilizzata come base logistica da parte di costoro. Così facendo il Tribunale dimostra di non aver esaminato i motivi di riesame in quanto RAGIONE_SOCIALE è una ditta reale ed effettiva che paga regolarmente le tasse e vende merci per contanti: di conseguenza la difesa ha fornito gli elementi idonei a superare la presunzione secondo cui la convivenza dovrebbe far ritenere che tutto il denaro in sequestro sia degli indagati. In ragione di queste considerazioni si chiede l’annullamento del sequestro del denaro ritrovato nella sede di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
2.5 Violazione dell’art. 321 cod.proc.pen. poiché con il riesame la difesa eccepiva la sproporzione del sequestro, tenuto conto che non è stato accertato l’importo dell’evasione fiscale asseritamente commessa dai soggetti ignoti e risulta impossibile individuare l’ammontare del profitto ottenuto dagli stessi, che deve essere distinto rispetto al profitto del reato di riciclaggio. Il gip avrebbe dovuto individuare la somma di denaro oggetto dell’evasione fiscale e il profitto ottenuto dall’autore del reato presupposto e, infine, individuare il profitto dell’attività di riciclaggio e sottoporre solo quest’ultimo a sequestro, nel rispetto del principio di proporzionalità a cui ogni misura deve soggiacere, in ossequio a
quanto stabilito dalla Suprema Corte, secondo cui in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il profitto del reato va sequestrato solo nei limiti dell’importo dell’imposta evasa e non può estendersi alle somme derivanti dalle successive operazioni di riciclaggio o reimpiego.
Secondo il Tribunale il sequestro ha finalità impeditive sicché può riguardare l’intera somma rinvenuta e non è necessario appurare la proporzionalità del sequestro ma, anche in questo caso, si tratta di affermazione illegittima, poiché la pertinenzialità del bene sequestrato si caratterizza per una intrinseca specifica e strutturale strumentalità, rispetto al reato commesso, non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale.
Nel caso in esame le somme rinvenute nella disponibilità degli indagati e dei terzi interessati non possono essere considerate cosa pertinente al reato e, in effetti, in forza delle indagini è emerso che NOME e NOME trasportavano in Toscana il denaro ricevuto la sera prima; quello ritrovato nella loro camera da letto, in quella dei genitori e dei figli non può essere considerato una cosa pertinente al reato.
Il denaro per essere sequestrato in via diretta deve essere pertinente al reato o meglio derivare da esso e deve corrispondere al profitto ottenuto dal delitto: due elementi completamente assenti nel caso di specie.
Anche recentemente le Sezioni unite hanno ribadito che il sequestro così come la confisca di denaro ha natura di confisca diretta soltanto in presenza della prova della derivazione del bene rispetto al reato e ciò vale anche per il profitto del reato che deve essere sempre accompagnato dal requisito della pertinenzialità , deve, cioè, derivare dal reato che lo presuppone; sicché la confisca di denaro è diretta solo nei casi in cui risulti che la somma sia proprio quella derivata dal reato. Nel caso di specie manca una specifica evidenza e una motivazione in ordine al rapporto di pertinenzialità tra il denaro sequestrato e il reato contestato così come manca una motivazione in ordine alla proporzionalità tra il sequestro e il profitto del reato.
2.7 Violazione delle norme relative al periculum in mora in particolare degli articoli 321 e 324 cod.proc.pen. poiché il periculum è stato incentrato solo ed esclusivamente sulla fungibilità del bene, valorizzando le condotte pregresse. Questa motivazione non risulta conforme ai principi affermati dalla Suprema Corte, secondo cui il pericolo di dispersione del bene in sequestro, rappresentato nella specie dal denaro, non può essere genericamente giustificato richiamando la qualità e natura del bene, ma occorre evidenziare le circostanze che rendono necessario anticipare il provvedimento ablatorio.
2.8 Con memoria trasmessa il 15 settembre 2025 l’AVV_NOTAIO ha proposto motivi nuovi a sostegno delle censure già dedotte e ha replicato alle considerazioni del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, reiterando le argomentazioni già svolte e allegando a sostegno dell’assunto difensivo copia del provvedimento del Tribunale di Cagliari del 13 giugno 2025, che ha annullato il decreto di sequestro preventivo disposto il 14 maggio 2025 dal GIP, avente ad oggetto la somma di euro 570.000 e l’autovettura rivenuta ne l possesso di NOME, e ne ha disposto la restituzione in data 13 giugno 2025.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso non appare meritevole di accoglimento.
Occorre premettere che la difesa ha presentato ricorso congiunto nell’interesse degli indagati e dei terzi interessati, senza distinguere circa la legittimazione e l’interesse ad impugnare connessi alla distinta posizione dei soggetti coinvolti nel l’indagine in corso, con una RAGIONE_SOCIALElità promiscua di proposizione delle censure che si pone al limite dell’inammissibilità in forza dell’art. 581 cod.proc.pen.
Il presente provvedimento riguarda la posizione di NOME che, unitamente al coniuge COGNOME, risulta indagata per il reato di riciclaggio.
Giova inoltre ribadire che (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 49739 del 10/10/2023 Cc., dep. 14/12/2023, Rv. 285608 -01) il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Requisiti che, nel caso di specie, sono pienamente rispettati.
1.1 Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va tenuto presente che il sequestro di cui si discute è stato emesso nell’ambito di una più vasta indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Livorno, nella quale l’indagata è accusata in concorso nel reato di riciclaggio.
A tale indagine originaria (n. 5625/2023 R.G.N.R.) è da ricondursi il decreto di perquisizione locale, personale e conseguente sequestro emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Livorno in data 14 marzo 2025, che aveva dato luogo, tra le altre, alle perquisizioni avvenute in Cagliari presso l’abitazione della ricorrente e presso la ditta della madre del marito (la RAGIONE_SOCIALE), in esito alle quali si era avuto il rinvenimento della somma di danaro oggetto dell’odierno incidente cautelare , oltre che di orologi di lusso.
Del citato provvedimento del 14 marzo 2025, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Livorno, la difesa dà atto nelle premesse della sua memoria di replica, depositata agli atti dopo le conclusioni adottate dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, a dimostrazione del fatto che ne fosse a conoscenza.
Il provvedimento è agli atti del fascicolo ed è stato visionato da questa Corte, stante la natura processuale della questione posta.
In esso, l’organo deputato alla formulazione del capo di imputazione, ha ampiamente assolto al suo compito di indicare i termini dell’accusa a carico della ricorrente e del di lei marito e di altri tre soggetti di nazionalità cinese.
Risulta dal provvedimento indicato che la ricorrente è persona sottoposta ad indagini in ordine al reato di riciclaggio, con condotte ‘commesse almeno dall’anno 2020 ed attualmente ancora in corso a Cagliari, Livorno, Montemurlo, Prato e all’estero’.
Tali condotte si sono estrinsecate in una ‘serie di operazioni su ingenti quantitativi di denaro provenienti da delitti di evasione fiscale (artt. 2, 3, 4, 5 d.lgs. n. 74 del 2000)’.
Più, in particolare, nella imputazione sono descritte condotte di trasporto di ingente valuta da Cagliari a Prato (come quella avvenuta il 15 novembre 2023 in cui era stata sequestrata la somma di 246.250 euro in contanti), di conversione di importanti importi di valuta da euro in yen (mediante un sistema di ricarica di carte di credito ed altri sistemi di pagamento cinesi), di acquisto di orologi di lusso.
Nella motivazione del decreto citato, assai articolata, è stata analizzata la genesi dell’indagine, la stessa che è riportata nella prima parte del provvedimento impugnato in questa sede.
A seguito del primo sequestro del 15 novembre 2023, si era accertato che il marito della ricorrente non era percettore di redditi da lavoro e che la ditta RAGIONE_SOCIALE riferibile alla madre presentava dati di fatturazione con ‘valori del tutto incongruenti r ispetto al quantitativo di contante trasportato in quella circostanza dall’indagato’.
NOME, nell’immediatezza e con dichiarazioni spontanee, aveva affermato che il denaro sequestrato era provento di evasione fiscale, sia pure attribuendo tale reato alla sola RAGIONE_SOCIALE e non anche ai soggetti cinesi con i quali aveva contatti sospetti, siccome emersi dalle indagini in corso.
Tali dichiarazioni spontanee erano state ritenute utilizzabili dalla Corte di cassazione, chiamata a decidere sul ricorso proposto dal ricorrente avverso l’ordinanza del Tribunale di Livorno che aveva rigettato la richiesta di riesame del provvedimento di sequestro della somma di danaro sequestrata (sentenza Sez. 2, n. 15931 del 20 febbraio 2024, non massimata).
Tanto premesso, non può revocarsi in dubbio che fosse stata formulata una adeguata imputazione da parte dell’organo della pubblica accusa, che tale imputazione fosse nota alla ricorrente e agli organi giurisdizionali le cui decisioni si erano succedute nel prosieguo delle
indagini e che essa imputazione contenesse l’indicazione dei reati, di natura fiscale, presupposti rispetto a quello di riciclaggio, secondo le stesse ammissioni dell’indagato COGNOMEdelle quali si dà atto nel provvedimento impugnato (fg. 2) – ben al corrente delle accuse contro di lui formulate.
Per il che, in questa fase cautelare, ciò è sufficiente a far ritenere l’assenza di ogni violazione di legge inerente alla formulazione del capo di imputazione, non potendo avere rilevanza, in quanto esclusi dal perimetro fissato dall’art. 325 cod. proc. p en., eventuali vizi motivazionali del provvedimento impugnato.
1.2 Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono infondati poiché l’ordinanza impugnata, dopo avere dettagliatamente esposto le risultanze investigative, ha inquadrato correttamente la vicenda delittuosa nell’ambito di una attività di riciclaggio attraverso il reinvestimento in beni di lusso, la cui provvista nella prospettazione accusatoria è fornita dalla consumazione di reati tributari da parte di soggetti che si sono avvalsi dei due indagati per inviare somme di denaro dalla Sardegna alla Toscana dove gli stessi sono stati fermati.
In particolare, la ricorrente aveva effettuato diverse trasferte dalla Sardegna, in compagnia del coniuge coindagato, il 17 gennaio 2025, il 15 febbraio 2025, il 28 febbraio 2025 e si era poi giunti alla operazione che aveva portato al rinvenimento della somma sequestrata di cui oggi si discute e di orologi Rolex.
Inoltre, circa la provenienza della somma in sequestro, nessuno dei familiari della ricorrente, presenti alla perquisizione, aveva saputo fornire una giustificazione ed essa era occultata in modo insolito.
Dagli allegati alla memoria difensiva depositata dal difensore a confutazione delle conclusioni del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, risulta, altresì, che, contemporaneamente alla perquisizione ed al sequestro oggi all’esame in questa sede, la ricorrente ed il coniug e erano stati fermati a Montemurlo in Toscana (dove erano sbarcati con la loro auto provenienti dalla Sardegna) e trovati in possesso di 570.000 in contanti, che erano stati sequestrati.
La circostanza che il decreto di sequestro relativo a tale somma sia stato annullato dal Tribunale di Cagliari -secondo la produzione depositata non toglie nulla all’elemento oggettivo, poiché, come si legge dai documenti allegati, la ragione dell’annul lamento è stata dovuta ad una mancata allegazione di atti che non avevano consentito al Tribunale di comprendere bene i termini della vicenda, con rilevata violazione delle prerogative difensive nella fase che aveva preceduto il provvedimento adottato in quella sede.
1.3 Anche le censure formulate in ordine alla individuazione del reato presupposto e al mancato accertamento delle soglie di rilevanza penale delle condotte tributarie illecite
ipotizzate, non sono condivisibili poiché in questa fase delle indagini non è necessario individuare l’esatta tipologia e gli autori del reato presupposto, posto che il giudice può desumerne l’esistenza attraverso prove logiche. Nel caso in esame il tribunale ha valorizzato diversi elementi di fatto, tra i cui la cospicua entità di somme rinvenute nella disponibilità degli indagati in almeno altre due occasioni; le RAGIONE_SOCIALElità di occultamento delle somme rinvenute nell’abitazione e nel negozio; le RAGIONE_SOCIALElità di condotta dei due imputati osservati mentre raccoglievano il denaro portato da terzi imprenditori asiatici presso i locali della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, intestata alla madre di NOME; le immagini desunte dal telefono dei due indagati che attestano la presenza di numerosissime fotografie di 157 orologi di lusso scattate in una gioielleria di Cagliari; i rapporti sospetti tra gli indagati e terzi estranei all’attività della ditta ritenuti meritevoli di approfondimento.
Si tratta di risultanze che nel complesso, unitamente alla mancanza di giustificazione sul possesso delle ingenti somme rinvenute, offrono significativo riscontro alla prospettazione accusatoria, secondo cui i due indagati sarebbero coinvolti in una attività di riciclaggio di denaro provento di reati tributari.
1.4 Il quarto motivo di ricorso è infondato poiché il denaro è stato rinvenuto nell’abitazione condivisa dagli indagati con i terzi interessati e nella sede della ditta della madre del marito della NOME, che è stato individuato come centro di raccolta delle somme consegnate agli indagati da altri connazionali e destinate ad essere trasportate in Toscana.
1.5 La censura in ordine alla asserita violazione della proporzionalità del sequestro è infondata poiché il Tribunale ha confermato il sequestro preventivo con finalità impeditive e cioè allo scopo di impedire che il reato possa essere portato ad ulteriori conseguenze e pertanto non si pone un problema di proporzionalità, ma piuttosto di pertinenzialità rispetto alla condotta illecita; tale rapporto è stato correttamente evidenziato nel senso che si tratta di denaro prodotto dell’attività illecita, come si d esume anche dalle RAGIONE_SOCIALElità di occultamento delle somme.
Giova ricordare al riguardo che ai fini dell’adozione della misura cautelare del sequestro preventivo delle cose “pertinenti al reato” finalizzato ad evitare la protrazione del reato, non è necessario accertare, a differenza di quanto richiesto per il sequestro ai fini di confisca, l’esistenza di un collegamento strutturale fra il bene da sequestrare e il reato commesso, in quanto la “pertinenza” richiesta dal primo comma dell’art. 321 cod. proc. pen. comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (Sez. 3, n. 9149 del 17/11/2015, dep. 2016, Plaka, Rv. 266454-01; nello stesso senso, più di recente, a proposito della nozione di cosa pertinente al reato, Sez. 2, n. 28306 del 16/04/2019, Rv. 276660-01).
1.6 La doglianza concernente l’insussistenza del periculum in mora appare infondata poiché il tribunale ha correttamente valorizzato a tal fine precise circostanze di fatto legate ai concreti comportamenti illeciti posti in essere dalla ricorrente nel periodo di tempo indicato, validi a lasciar dedurre come concreto ed attuale il pericolo di dispersione del bene sequestrato, considerata la condotta degli indagati, adusi a trasportare denaro e/o a investirlo in beni di lusso, con RAGIONE_SOCIALElità organizzate e sistematiche, e ne ha desunto il rischio che il delitto di cui all’incolpazione possa essere portato ad ulteriori conseguenze.
In conclusione, non ricorrono i presupposti delle violazioni di legge dedotte dalla ricorrente.
Per le considerazioni sin qui esposte si impone il rigetto del ricorso con le conseguenti statuizioni.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 24 settembre 2025
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME