Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6846 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6846 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME n. Lucera (Fg) 01/08/1990 avverso l’ordinanza n. 52/24 del Tribunale di Foggia del 18/06/2024
letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Foggia, decidendo in sede di rinvio ai sensi degli artt. 325 e 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., ha confermato il sequestro preventivo
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della somma di 76.890 euro – a sua volta suddivisa in tagli da 100, 50 e 10 frazionati in pacchetti sottovuoto appositamente numerati – custodita in una scatola per scarpe occultata in un soppalco ricavato al di sopra dell’ingresso dei servizi igienici, costituenti pertinenza di un locale adibito a esercizio commerciale di vendita condotto da NOME COGNOME.
Diversamente da quanto stabilito con una precedente ordinanza – che aveva confermato il sequestro del denaro, ravvisando gli estremi del delitto di ricettazione (art. 648 cod. pen.) – annullata da questa Corte di cassazione con sentenza della Seconda Sezione penale del 17/04/2024, il Tribunale, sulla base di un’informativa di Polizia Giudiziaria redatta nelle more processuali, ha individuato quale reato configurabile quello di riciclaggio di cui all’art. 648-bis cod. pen. e come delitto presupposto quello di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis cod. pen.), attribuendo la disponibilità del denaro ad NOME COGNOME – moglie di NOME COGNOME, attualmente in carcere in quanto ritenuto capo indiscusso della consorteria criminale COGNOME–COGNOME – quale provento giornaliero di tale sodalizio derivante da attività di estorsione, usura e traffico di sostanze stupefacenti.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagata, che con un primo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche in ordine all’intervenuta riqualificazione della condotta in termini di riciclaggio e alla documentata non corrispondenza del denaro sequestrato con quello asseritamente riveniente da consorterie criminali.
In particolare, lamenta la difesa che il Tribunale ha assunto le proprie determinazioni, pur dando conto (pag. 3 ord.) che l’indagata ha prodotto specifica documentazione attestante la stipula di alcuni contratti di finanziamento per importi nel loro ammontare compatibili con quelli rinvenuti nella sua disponibilità.
Con un secondo motivo deduce la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, per travisamento del fatto e della prova, con specifico riguardo alla differente catalogazione / numerazione dei pacchetti di denaro, con la prima, eseguita impiegando lettere alfabetiche, attribuita a COGNOME NOME e l’altra (facente ricorso a numeri) alla ricorrente indagata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
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2.1. La difesa del ricorrente denuncia l’erronea applicazione della legge penale nella differente qualificazione giuridica della condotta operata dal Tribunale rispetto a quella delle contestazione provvisoria, passata – fermi restandone gli estremi di fatto – dall’iniziale ipotesi di reato di ricettazione (art. 648 cod. pen.) quella di riciclaggio (art. 648-bis cod. pen.) sulla scorta dei nuovi elementi di valutazione allegati dal Pubblico Ministero.
Tuttavia non v’è alcun dubbio che, in sede di riesame, il tribunale possa confermare il provvedimento di sequestro anche sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto in relazione al quale è stato ravvisato il fumus commissi delicti, mentre quel che non può fare è di mettere a fondamento della propria decisione un fatto diverso (tra molte v. Sez. 6, n. 18767 del 18/02/2014, COGNOME, Rv. 259679).
Nel caso di specie, la diversa qualificazione in iure ha fatto seguito ad un annullamento con rinvio (art. 627 cod. proc. pen.) ed all’apprezzamento delle nuove risultanze investigative, contenute in una nuova informativa approntata dalla Polizia Giudiziaria, allegate dal Pubblico Ministero nel corso dell’udienza svoltasi ai sensi dell’art. 309, comma 9, primo cpv., cod. proc. pen. ovvero in una situazione processuale che non altera né riduce i poteri del Tribunale di dare al fatto la qualificazione giuridica che ritenga più corretta.
2.2. Quanto all’asserita omessa considerazione di un rilevante elemento difensivo, rappresentato dalla documentazione attestante il conseguimento di prestiti coincidenti con l’ammontare della somma rinvenuta, potenzialmente rilevante come violazione di legge ex art. 597, comma 1, cod. proc. pen. (violazione del principio devolutivo), va rilevato che a pag. 4 dell’ordinanza il Tribunale si è prodotto in una dettagliata ricostruzione dell’origine della provvista di denaro, tale da dimostrarne con ragionevole plausibilità – almeno allo stato delle attuali acquisizioni investigative – la provenienza illecita, attribuendo di conseguenza alla documentazione relativa ai prestiti una funzione di mera copertura di quell’origine.
Il Tribunale ha, infatti, dato conto – sulla scorta di un servizio di osservazione e pedinamento documentato dall’informativa di reato prodotta dal Pubblico Ministero nel corso dell’udienza di rinvio – di come l’indagata e la COGNOME (già ex cognate) si fossero incontrate il giorno 22/01/2023 (antecedente la perquisizione ed il sequestro) nell’abitazione della seconda al fine di procedere al conteggio e allo smistamento delle banconote, alla suddivisione e al confezionamento in pacchetti tramite un dispositivo per il sottovuoto e all’occultamento in una scatola di scarpe, individuando, infine, come luogo di occultamento la pertinenza dell’esercizio commerciale gestito dalla ricorrente.
2.3. Manifestamente infondato, per quanto anzidetto, il primo motivo di censura, risulta per altro verso intrinsecamente improponibile il secondo che, oltre a investire indebitamente la valutazione delle risultanze indiziarie, appare declinato esclusivamente in punto di fatto.
Restano, infatti, al riguardo validi i principi da tempo elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione secondo cui in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limi che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828), senza alcuna possibilità di sostituire il proprio apprezzamento delle risultanze indiziarie a quello rimesso all’esclusiva competenza dei giudici della cautela.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 9 gennaio 2025