Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17263 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17263 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
pen., inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in ordine alla mancanza di autonoma motivazione del decreto di sequestro preventivo.
Lamenta il ricorrente che il G.I.P., come confermato dal Tribunale del riesame, non aveva motivato circa la sussistenza delle ipotesi di reato di cui agli artt. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 e 648 cod. pen., mentre, quanto alle ipotesi accusatorie di cui agli artt. 2 e 4 d.lgs. n. 74 del 2000, dette ipotesi venivano riportate pedissequamente dal G.I.P. senza alcuna effettiva valutazione della vicenda, senza formulare alcuna valutazione relativa all’elemento soggettivo e senza spendere alcuna considerazione in ordine alla qualificazione del profitto dei reati fiscali, per cui il Tribunale del riesame aveva ammesso erroneamente la legittimità della motivazione per relationem, anzi per incorporazione, senza rilevare la mancanza di un vaglio critico ed autonomo del G.I.P. rispetto a quanto contenuto nella richiesta del pubblico ministero.
2.3 Con il terzo motivo, deduce nullità dell’ordinanza per violazione di legge ai sensi dell’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 321, comma 1 e comma 2, cod. proc. pen., motivazione mancante e/o apparente in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora dei reati contestati.
Lamenta il ricorrente che, quanto alla finalità impeditiva del sequestro, il Tribunale del riesame non si era minimamente confrontato con il motivo di doglianza circa l’insussistenza del nesso di pertinenzialità tra i beni oggetti apprensione e i reati commessi; mentre, quanto alla finalizzazione del sequestro alla confisca, il ricorrente deduce che la documentazione rinvenuta presso la sede della società (documenti compilati dalla società comprovanti cessioni di partite di metallo nei confronti di società olandesi prive di allegata fattura e dunque indicanti cessioni in nero) non fosse sufficiente a configurare le ipotesi di reato di cui agli artt. 2 e 4 d.lgs. n. 74 del 2000, non essendo stata riportata nØ la data di riferimento, nØ l’oggetto del documento e non essendone stata controllata la registrazione nella contabilità societaria, nØ la successiva eventuale indicazione in dichiarazione di elementi passivi fittizi o di ricavi in misura inferiore a quella reale, tanto che di tali reati non viene neppure quantificato il profitto, nØ viene citato l’elemento soggettivo.
Quanto al periculum in mora, il ricorrente lamenta che la motivazione del Tribunale risulta del tutto apparente nella parte in cui afferma che la giacenza fisica di cassa Ł pari a zero, in contrasto con il dato contabile, poichØ la doglianza della difesa si riferiva alla giacenza dei conti correnti societari che l’Autorità giudiziaria avrebbe dovuto verificare per decidere se ivi effettuare il sequestro in via preferenziale, come richiederebbe l’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, prima di apprendere l’intera somma in contanti sequestrata in via di urgenza dalla polizia giudiziaria.
E’ pervenuta memoria dell’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME, con la quale si ribadisce il vizio di ultrapetizione del decreto di sequestro del G.I.P., sia perchØ il pubblico ministero non aveva specificato la finalità, sia perchØ la richiesta di sequestro era sprovvista di qualsivoglia funzione servente rispetto all’eventuale successiva confisca. Si ribadisce, inoltre, che il
G.I.P. non aveva operato un vaglio critico ed autonomo degli elementi di indagine riportati nella richiesta del pubblico ministero. Si aggiunge, infine, che il Tribunale del riesame non si Ł minimamente confrontato con le doglianze esposte dalla difesa, sia con riferimento alla genericità della individuazione delle fattispecie criminose, circa la condotta contestata e il periodo nel quale la stessa si sarebbe verificata, sia con riferimento alla mancata quantificazione del profitto del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso con cui si deduce il vizio di ultrapetizione Ł infondato.
1.1 Giova preliminarmente, per la migliore comprensione della vicenda e l’adeguato apprezzamento delle censure, riassumere brevemente la vicenda che ha condotto alla pronunzia dell’ordinanza impugnata.
La Guardia di Finanza, nucleo di polizia economico-finanziaria di Padova, nell’eseguire una verifica fiscale nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, ha rinvenuto una ingente somma di denaro in contanti: in cinque pacchi contenuti in un’anfora in metallo in un locale adibito ad ingresso la somma di euro 808.000,00; in undici pacchi all’interno di una credenza sita in un locale adibito a deposito la somma di euro 1.145.770,00; in cinque pacchi all’interno di un armadio sito in una camera matrimoniale la somma di euro 1.359.000,00; in sette pacchi all’interno della mansarda la somma di euro 1.136.860,00; in un borsello custodito sotto la scrivania, nell’ufficio dell’amministratore unico, la somma di euro 15.390,00; infine, presso l’abitazione del ricorrente, la somma in contanti di euro 23.980,00. In totale, il denaro complessivamente rinvenuto dai militari in contanti era di euro 4.489.000,00.
La Guardia di Finanza ha operato il sequestro preventivo d’iniziativa del denaro rinvenuto ai sensi dell’art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen., facendo riferimento, per quanto concerne il fumus commissi delicti, agli indici di pericolosità consistenti nella incongruenza della giacenza fisica di cassa rispetto a quella contabile, nella tipologia di attività economica svolta agevolatrice di possibili frodi fiscali per la difficoltà di misurare e tracciare le movimentazioni di rottami, nella rilevante sproporzione tra la somma di denaro contante rinvenuta e i redditi dichiarati dalla società; quanto al periculum in mora, si Ł invece fatto riferimento al pericolo che la disponibilità delle somme di denaro potesse aggravare o protrarre le conseguenze dei reati o agevolare la commissione di ulteriori condotte di riciclaggio o autoriciclaggio, nonchØ di evitare che il prodotto del reato potesse essere disperso attraverso ulteriori attività riciclatorie, anche mediante trasferimenti all’estero, circostanza comprovata da contabile di bonifico bancario in favore di soggetto svizzero rinvenuta unitamente al denaro contante. I militari hanno così sottoposto a sequestro la somma di denaro ai sensi dell’art. 321, commi 1 e 2, cod. proc. pen., finalizzata alla confisca anche per equivalente ex art. 648-quater cod. pen.
Il Pubblico ministero, nel fare riferimento agli indici di pericolosità messi in evidenza dalla polizia giudiziaria, ha richiesto al G.I.P. la convalida del sequestro d’iniziativa della polizia giudiziaria e l’emissione di decreto di sequestro preventivo del denaro contante, ipotizzando la violazione degli artt. 2, 4 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000 e dell’art. 648 cod. pen., valorizzando, quanto al fumus, il rinvenimento di una contabile di bonifico bancario eseguito dalla RAGIONE_SOCIALE il 12/06/2024 in favore di soggetto svizzero, in una busta contenente euro 144.000,00 in contanti, ritenendo il denaro la monetizzazione della fattura n. 150 del 04/06/2024 emessa da un fornitore svizzero nei confronti della società a fronte di operazioni oggettivamente inesistenti, con corrispettivo retrocesso, previa applicazione di una commissione sugli importi fatturati; valorizzando, inoltre, alcuni documenti CMR comprovanti cessioni di partite di metallo eseguite nei confronti di operatore olandese,
sintomatici di vendite non regolarizzate, non essendovi allegata la relativa fattura. Sotto il profilo del periculum in mora, il Pubblico ministero ha sottolineato la finalità di evitare il rischio che il denaro potesse essere disperso, anche mediante trasferimenti all’estero, circostanza supportata dal bonifico eseguito in favore di soggetto svizzero.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova, con provvedimento del 07/10/2024, in accoglimento della richiesta del Pubblico ministero, ha convalidato il sequestro eseguito in via d’urgenza e ha disposto il sequestro preventivo della somma di denaro, ritenendo sussistente il fumus dei reati di cui alla incolpazione provvisoria (artt. 81 cod. pen. e 4 d.lgs. n. 74 del 2000; artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000; art. 648 cod. pen.), nei termini rappresentati dal Pubblico ministero, affermando che gli indici di pericolosità fiscale e la ulteriore documentazione rinvenuta lasciassero intendere la provenienza illecita della ingentissima somma di denaro sottoposta a vincolo d’iniziativa della polizia giudiziaria; il G.I.P. ha ritenuto sussistente anche il periculum in mora circa la necessità di impedire l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato o l’agevolazione della commissione di ulteriori reati, nonchØ circa la possibile dispersione del denaro che vanificherebbe la futura confisca, trattandosi di utilità suscettibili di confisca obbligatoria ex artt. 240-bis cod. pen. e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000.
Con l’ordinanza impugnata, infine, il Tribunale di Padova ha rigettato l’istanza di riesame cautelare, confermando il provvedimento impugnato.
1.2 Tanto premesso, va innanzitutto ricordato che, nel procedimento incidentale cautelare, il giudice Ł privo di poteri istruttori officiosi, essendo vincolato al ” petitum” introdotto dal pubblico ministero con la domanda di cautela ed agli elementi posti a fondamento di essa, ai sensi degli artt. 291, comma 1, e 321, comma 1, cod. proc. pen., sì che il Tribunale del riesame non può fondare le proprie valutazioni su atti che il primo giudice abbia assunto di propria iniziativa (Sez. 6, n. 826 del 29/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284145), nØ ha il potere di confermare il sequestro preventivo, motivando la decisione con riguardo ad esigenze diverse da quelle poste a fondamento esclusivo della misura da parte del primo giudice (Sez. 3, n. 24986 del 20/05/2015, Pleban, Rv. 264098), atteso che, in tal modo, il Tribunale del riesame non si limita – com’Ł nel suo potere – ad integrare la motivazione del decreto impugnato, ma sostanzialmente adotta un diverso provvedimento di sequestro in pregiudizio del diritto al contraddittorio dell’interessato (Sez. 6, n. 15852 del 28/02/2023, Caprio, Rv. 284598). L’emissione del provvedimento cautelare, anche se di natura reale, postula insomma, come indefettibile presupposto, la domanda del Pubblico ministero, titolare esclusivo del potere di iniziativa che devolve al giudice di apprezzare la domanda per accoglierla o respingerla senza potersi sostituire al richiedente nell’individuare la tipologia o l’oggetto materiale della misura, o il delitto investigato per il quale accordarla (Sez. 6, n. 2658 del 20/12/2013, dep. 2014, Saa’, Rv. 257791).
Tuttavia, nel caso di specie, il Tribunale ha escluso il vizio di ultrapetizione e la violazione del principio della domanda cautelare, interpretando come la richiesta del Pubblico ministero, nel rappresentare la necessità di evitare “il rischio che il denaro possa essere fatto sparire eventualmente anche mediante trasferimento all’estero, circostanza che sembra già emergere dal bonifico eseguito a favore della società svizzera”, fosse tale da legittimare l’adozione da parte del G.I.P. di un provvedimento di sequestro impeditivo e di sequestro finalizzato alla confisca ai sensi dell’art. 321, commi 1 e 2, cod. proc. pen.
L’affermazione Ł coerente al principio di diritto affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 1313 del 04/11/2015, dep. 2016, Casella, Rv. 265720) secondo cui «non incorre nel vizio di ultrapetizione il provvedimento con il quale il giudice accoglie la richiesta di applicazione di sequestro preventivo, sulla base di una delle plurime finalità rappresentate dal P.M. nella domanda cautelare», laddove, nel caso sottoposto all’esame del giudice di legittimità, la considerazione complessiva dell’atto
d’impulso del procedimento cautelare aveva consentito di rintracciare ‘l’indicazione del perseguimento con la misura reale invocata, non soltanto dell’esigenza impeditiva di evitare che la libera disponibilità del denaro aggravi o protragga le conseguenze del reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, oggetto d’investigazioni, ma anche la considerazione di tale cespite quale provento del medesimo reato e di condotte estorsive compiute dal sodalizio, da sottrarre all’indagato’.
Del resto, deve essere rimarcato come il sequestro d’iniziativa della polizia giudiziaria, nella fattispecie in esame, fosse stato motivato ai sensi sia del primo che del secondo comma dell’art. 321 cod. proc. pen., mentre nell’atto di impulso del procedimento cautelare del Pubblico ministero può ravvisarsi sia l’esigenza impeditiva, sia l’esigenza di confisca obbligatoria, avendo l’organo d’accusa fatto riferimento al denaro rinvenuto come provento dei reati tributari iscritti, sottolineando il rischio della dispersione del denaro stesso, anche mediante trasferimenti all’estero. In tal modo, l’intervento decisorio del giudice per le indagini preliminari ha inciso soltanto sulla finalità della misura e sulle ragioni giustificatrici, non sulla sua tipologia e sui presupposti legittimanti, rimasti immutati (Sez. 2, n. 43957 dell’11/10/2022, La Commara, non mass.).
Il secondo e il terzo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente perchØ incentrati sulla sussistenza dei presupposti legittimanti il sequestro preventivo, sono infondati.
In proposito deve innanzitutto richiamarsi la costante affermazione di questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., Ł ammesso per sola violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli ” errores in iudicando ” o ” in procedendo “, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, COGNOME, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656). Ed Ł stato anche precisato che Ł ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perchØ sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'” iter ” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893). Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
2.1 Alla luce di tali principi, la motivazione resa dal provvedimento impugnato, quanto ai dati di fatto valorizzati e alle conclusioni da essi tratte, non risulta affatto apparente, avendo il Tribunale del riesame, adeguatamente e senza vizi logici, dato conto della autonoma valutazione degli elementi indiziari da parte del G.I.P. con riferimento al fumus dei reati tributari di cui agli artt. 2 e 4 d.lgs. n. 74 del 2000, muovendo dal rinvenimento di una ingentissima somma di denaro in contanti, della quale il legale rappresentante non aveva saputo fornire alcuna giustificazione circa un possesso legittimo, da porre in relazione ad una cassa della società pari a zero e a redditi dichiarati nell’ultimo triennio (poche centinaia di migliaia di euro) in misura notevolmente inferiore alla somma oggetto di sequestro (quattro milioni di euro), nonchØ alla ulteriore documentazione rinvenuta (fattura emessa da un fornitore svizzero nei confronti della società amministrata dal ricorrente a fronte di operazioni ipotizzate come oggettivamente inesistenti, nonchØ contabile di bonifico bancario effettuato dalla società nei confronti del fornitore svizzero, documenti di trasporto e contabili di bonifici a partire dal 2021, infine documenti comprovanti cessioni di partite di metallo nei confronti di società olandesi
prive di allegata fattura e dunque indicativi di cessioni di merce non regolarizzate), sì da legittimamente far ritenere che i contanti rinvenuti costituissero provento di illeciti fiscali, tenendo conto dei plurimi indici di sussistenza del fumus di commissione di tali reati.
Emerge, in buona sostanza, uno sviluppo argomentativo del provvedimento impugnato tale da far ritenere come il Tribunale non sia venuto meno all’obbligo di esaustiva verifica del fumus dei reati ipotizzati, della verifica dell’autonoma valutazione da parte del G.I.P. ed anche del requisito di pertinenzialità, essendo oggetto dell’ipotesi di reato ritenuta proprio la provenienza del denaro dalla commissione di illeciti tributari.
In definitiva, alla luce delle valutazioni tipiche della fase cautelare, consegue l’infondatezza delle censure in merito al fumus commissi delicti, dovendosi comunque ricordare che il giudizio in ordine alla misura cautelare reale resta correlato con la fase delle indagini preliminari nella quale, come Ł noto, la delibazione che viene compiuta Ł diversa da quella piena della fase del giudizio (Sez. 3, n. 25990 del 02/07/2020, COGNOME, non mass.).
2.2 Con riferimento al periculum in mora, il Tribunale ne ha affermato la sussistenza quantomeno relativamente alla finalizzazione alla confisca obbligatoria ex art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, avendo il provvedimento genetico sottolineato la necessità di evitare che il denaro venga disperso o trasferito, con il rischio di compromettere la realizzabilità del provvedimento ablatorio definitivo.
La giurisprudenza di legittimità ha fissato i criteri di riferimento per ravvisare la sussistenza delle esigenze cautelari necessarie per il mantenimento del sequestro preventivo a fini di confisca, in particolare sul denaro.
Come precisato dalle Sezioni Unite, il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, ad eccezione delle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, per le quali Ł sufficiente la mera indicazione della appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili “ex lege” (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848).
Tanto in modo da garantire coerenza con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare reale, evitando appunto un’indebita compressione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti, quali il diritto di proprietà o la libertà di iniziativa economica, e la trasformazione della misura cautelare in uno strumento, in parte o in tutto, inutilmente vessatorio. Ed Ł stato conseguentemente aggiunto come l’indicazione che la definizione del giudizio non possa essere attesa, posto che, diversamente, la confisca rischierebbe di divenire, successivamente, impraticabile, comporti una diversa modulazione del contenuto motivazionale del provvedimento coercitivo, dove «Ł il parametro della “esigenza anticipatoria” della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalmente, potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio» (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, cit., in motivazione).
Nella fattispecie, la motivazione del G.I.P., riassuntivamente ripresa dal Tribunale del riesame, fa perno sulla finalità di evitare il pericolo di dispersione o di trasferimento del denaro, ritenendolo proveniente dalla commissione di reati tributari, pericolo attuale di dispersione patrimoniale idoneo a
giustificare l’anticipazione degli effetti della futura confisca; gli argomenti esposti sostengono la motivazione del periculum in mora, avuto riguardo alla documentazione rinvenuta unitamente all’ingentissimo denaro contante che fornisce la misura delle condotte delittuose ipotizzate nei rapporti con soggetti esteri, e rendono non apparente, ma realmente esistente, una motivazione facente leva sul fatto che, dalla permanente disponibilità del denaro, si possa desumere la possibile dispersione, anche in ragione della difficile, dal punto di vista obiettivo, rintracciabilità e, di conseguenza, del recupero ai fini della confisca in caso di condanna (cfr., Sez. 3, n. 44874 dell’11/10/2022, Fricano, Rv. 283769).
In conclusione, stante la infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell’interesse del ricorrente deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente medesimo, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/03/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME NOME