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Sequestro preventivo reati tributari: la motivazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imprenditore contro un sequestro preventivo di oltre 4 milioni di euro in contanti. La Corte ha stabilito che l’ingente somma, ingiustificata rispetto alla contabilità e ai redditi dichiarati, unita a prove di operazioni commerciali irregolari, costituisce un quadro indiziario sufficiente a motivare il provvedimento cautelare per reati tributari, sia per quanto riguarda il ‘fumus commissi delicti’ sia per il ‘periculum in mora’ (rischio di dispersione del denaro).

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo per Reati Tributari: Quando la Motivazione è Valida?

Il rinvenimento di un’ingente somma di denaro contante può far scattare un sequestro preventivo per reati tributari. Ma quali sono i presupposti che rendono legittima una misura così incisiva? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17263/2025, offre un’analisi dettagliata dei requisiti di motivazione del provvedimento, soffermandosi sui concetti di fumus commissi delicti e periculum in mora, e tracciando una linea netta tra una motivazione valida e una meramente apparente.

I Fatti di Causa

Durante una verifica fiscale presso una società, la Guardia di Finanza scopriva una somma di denaro contante superiore a 4,4 milioni di euro, nascosta in vari luoghi tra la sede aziendale e l’abitazione dell’amministratore. Di fronte a tale ritrovamento, le autorità procedevano a un sequestro preventivo d’urgenza.

Successivamente, il Pubblico Ministero chiedeva la convalida del sequestro e l’emissione di un decreto di sequestro preventivo, ipotizzando a carico dell’imprenditore diversi reati tributari (artt. 2, 4 e 8 del D.Lgs. 74/2000) e il reato di ricettazione (art. 648 c.p.). Il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) convalidava il sequestro, ritenendo sussistenti sia il fumus commissi delicti (la parvenza di reato) sia il periculum in mora (il pericolo di dispersione del denaro). La decisione veniva confermata anche dal Tribunale del Riesame.

L’imprenditore, tramite il suo legale, presentava quindi ricorso in Cassazione, lamentando principalmente la nullità dell’ordinanza per mancanza di un’autonoma e adeguata motivazione, sia sulla sussistenza dei reati sia sul pericolo concreto che giustificava la misura cautelare.

L’Analisi della Cassazione sul Sequestro Preventivo per Reati Tributari

La Suprema Corte ha esaminato e rigettato tutti i motivi del ricorso, considerandoli infondati. I giudici hanno chiarito che, nel contesto di un procedimento cautelare, la valutazione del giudice non deve raggiungere la certezza richiesta per una condanna, ma si basa su un giudizio di plausibilità basato sugli elementi disponibili.

Il Fumus Commissi Delicti

Secondo la difesa, il G.I.P. si era limitato a recepire acriticamente la richiesta del Pubblico Ministero, senza una valutazione autonoma degli indizi. La Cassazione ha respinto questa tesi, affermando che il Tribunale del Riesame aveva correttamente dato conto della valutazione autonoma effettuata dal G.I.P. Questa valutazione si basava su un quadro indiziario solido e coerente, che includeva:

* Il rinvenimento di un’enorme somma di contanti, per la quale il legale rappresentante non aveva fornito alcuna giustificazione plausibile.
* La totale discrepanza tra il denaro trovato e la situazione contabile della società, che presentava una cassa pari a zero.
* La sproporzione tra i redditi dichiarati negli anni precedenti e la somma sequestrata.
* Il ritrovamento di documentazione relativa a operazioni commerciali con soggetti esteri (svizzeri e olandesi) prive di fatturazione o basate su operazioni ritenute inesistenti.

Questi elementi, visti nel loro complesso, rendevano del tutto legittimo, secondo la Corte, ritenere che il denaro contante fosse il provento di illeciti fiscali.

Il Periculum in Mora

Anche la critica relativa alla mancanza di motivazione sul pericolo di dispersione del bene è stata ritenuta infondata. La Cassazione ha ribadito che, per il sequestro finalizzato alla confisca (anche per equivalente), è necessario motivare il periculum in mora. Nel caso specifico, tale pericolo era stato correttamente individuato nella finalità di evitare la dispersione o il trasferimento del denaro, rendendo impossibile la futura confisca.

La Corte ha sottolineato che la natura stessa del bene – denaro contante – e la sua enorme quantità, unita alle prove di rapporti con soggetti esteri, rendevano concreto e attuale il rischio che le somme potessero essere facilmente occultate o trasferite all’estero, vanificando le pretese dello Stato.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione sul principio consolidato secondo cui il ricorso contro le ordinanze in materia di misure cautelari reali è ammesso solo per violazione di legge. Tale violazione include anche i vizi di motivazione così gravi da renderla inesistente o puramente apparente, ovvero priva dei requisiti minimi di coerenza e logicità.

Nel caso di specie, la motivazione del provvedimento impugnato non era né assente né apparente. Il Tribunale del riesame aveva adeguatamente ricostruito l’iter logico seguito dal primo giudice, che, partendo da dati di fatto inequivocabili (l’ingente liquidità non giustificata), aveva dedotto in modo logico la probabile provenienza illecita del denaro da reati fiscali. La motivazione, quindi, pur essendo tipica della fase cautelare e non della fase di merito, era completa e permetteva di comprendere le ragioni della decisione.

Inoltre, la Corte ha specificato che la finalità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, come quella prevista dall’art. 12-bis del D.Lgs. 74/2000, giustifica l’anticipazione degli effetti ablatori. La necessità di impedire la dispersione del profitto del reato costituisce una valida ragione per motivare il periculum in mora, specialmente quando si tratta di denaro liquido, facilmente trasferibile e difficilmente tracciabile.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La decisione riafferma un principio fondamentale in materia di misure cautelari reali per reati tributari: un quadro indiziario grave, preciso e concordante, basato su elementi oggettivi come l’enorme sproporzione tra contanti rinvenuti e situazione contabile/reddituale, è sufficiente a fondare una motivazione valida per un sequestro preventivo. Non è richiesta una prova piena della commissione del reato, ma una valutazione di alta probabilità basata sugli atti d’indagine. La Corte ha così confermato la piena legittimità dell’operato dei giudici di merito, che avevano correttamente ravvisato la sussistenza di tutti i presupposti di legge per l’applicazione della misura cautelare.

Quando è legittimo un sequestro preventivo per reati tributari su una somma di denaro contante?
Il sequestro è legittimo quando esiste un quadro indiziario grave, preciso e concordante che fa ritenere plausibile che il denaro sia il profitto di reati fiscali. Elementi chiave sono l’ingente quantità di contante, l’assenza di una giustificazione plausibile, la discrepanza con la contabilità aziendale e i redditi dichiarati, e la presenza di ulteriori prove documentali di operazioni illecite.

Cosa si intende per motivazione ‘apparente’ di un provvedimento di sequestro?
Per motivazione apparente si intende una motivazione che, pur essendo formalmente presente, è talmente generica, illogica o contraddittoria da non rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione. Nel caso esaminato, la Corte ha escluso questo vizio, ritenendo la motivazione basata su elementi concreti e coerenti.

È necessario dimostrare con certezza l’origine illecita del denaro per disporre un sequestro preventivo?
No, per disporre un sequestro preventivo non è necessaria la certezza probatoria richiesta per una sentenza di condanna. È sufficiente un giudizio di elevata probabilità sulla base degli indizi raccolti nella fase delle indagini preliminari, che costituiscano il cosiddetto ‘fumus commissi delicti’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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