Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 38140 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 38140 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: RAGIONE_SOCIALE CON SEDE IN INDIRIZZO
NOME nato a LA SPEZIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/03/2024 del TRIB. LIBERTA di LA SPEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO
Il Procuratore Generale si riporta alla propria requisitoria in atti e conclude per i rigetto dei ricorsi.
udito il difensore
AVV_NOTAIO si riporta ai propri scritti difensivi e conclude per l’accoglimento del ricorso;
Per quanto riguarda la posizione della sig.ra COGNOME, si riporta agli scritti difensivi a firma dell’AVV_NOTAIO;
FATTO E DIRITTO
1. Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di La Spezia, adito ex artt. 322 e 324, c.p.p., confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di La Spezia in data 19.2.2024, nei confronti della società “RAGIONE_SOCIALE” e di COGNOME NOME.
In particolare il menzionato titolo ablativo aveva a oggetto, da un lato, i rapporti bancari e finanziari intestati a NOME COGNOME e a NOME COGNOME, fino alla concorrenza di euro 476.481,53, quale profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, e, in caso di mancanza o di non satisfattività di tali saldi, una serie di beni riconducibili ai due indagati, specificamente indicati nell’impugnato provvedimento; dall’altro, l’eventuale saldo attivo di conti correnti intestati alla “RAGIONE_SOCIALE“, sino alla concorrenza di euro 134.000,00, quale profitto del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione.
Per una migliore comprensione dei motivi di impugnazione appare opportuno procedere a una breve esposizione dei fatti che hanno condotto all’adozione del provvedimento cautelare impugnato innanzi al tribunale del riesame, riportandone l’efficace sintesi operata dal sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione nella sua requisitoria scritta del 10.6.2024.
“A fronte delle pendenze tributarie gravanti sulla RAGIONE_SOCIALE, società amministrata di fatto dai coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, in data 13/09/2019 veniva costituita la società RAGIONE_SOCIALE amministrata di diritto da COGNOME NOME e di fatto da COGNOME NOME, con il medesimo oggetto sociale. La RAGIONE_SOCIALE, veniva messa in liquidazione poco dopo e i contratti in essere, aventi a oggetto l’allestimento di uno yacht della linea TARGA_VEICOLO, con la COGNOME RAGIONE_SOCIALE, venivano ceduti alla RAGIONE_SOCIALE
Tale cessione avveniva senza corrispettivo. Gli operai della RAGIONE_SOCIALE venivano licenziati e in parte assunti dalla RAGIONE_SOCIALE
sRAGIONE_SOCIALE che utilizzava anche le attrezzature e gli uffici della RAGIONE_SOCIALE
Grazie a tale contratto la RAGIONE_SOCIALE negli anni 2019 – 2022 ha dichiarato un fatturato di C 1.231.270,89. Tale successione di eventi, accompagnata dall’analisi dei contenuti delle intercettazioni telefoniche di cui il Tribunale ha dato conto, consentono di affermare che con questa operazione i coniugi COGNOME hanno potuto portare a compimento l’esecuzione del contratto con la RAGIONE_SOCIALE, incamerandone il corrispettivo nella sua interezza, sottraendolo alla garanzia patrimoniale per i debiti della RAGIONE_SOCIALE“.
Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione, con distinti atti di impugnazione, sia la “RAGIONE_SOCIALE“, che la RAGIONE_SOCIALE.
2.1. In particolare la “RAGIONE_SOCIALE“, nel ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, lamenta violazione di legge, con riferimento agli artt. 325, c.p.p., 240, c.p., 12 bis, d.lgs. n. 74 del 2000, in ordine “al capo dell’ordinanza attinente al sequestro preventivo dell’intero corrispettivo di un’opera eseguita in appalto, considerandolo profitto”, nonché “al capo relativo al sequestro del motociclo” Yamaha Tracer 900, tg. TARGA_VEICOLO, intestato alla suddetta “RAGIONE_SOCIALE“, del valore di circa 10.000,00 euro.
2.2. La COGNOME, nel ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, lamenta violazione di legge, in ordine: 1) agli artt. 324 e 268, c.p.p., “all’omesso deposito dei provvedimenti relativi alle intercettazioni telefoniche e al materiale probatorio per essi formatosi”; 2) all’art. 321, co. 2, c.p.p., “in riferimento all’onere di motivazione sulla sussistenza del periculum in mora, come devoluto dal ricorso di COGNOME NOME“; 3) “all’onere di motivazione e violazione del principio di legalità e di pertinenzialità della cautela, in relazione al terzo motivo di riesame per COGNOME NOME, dedicato alla commisurazione del profitto del reato, sottoponibile a sequestro, ai sensi dell’art. 321, co. 2, c.p.p.”
2.3. Con requisitoria scritta del 10.6.2024, da valere come memoria, posto che, nelle more, le parti hanno chiesto tempestivamente la
discussione in forma orale dei ricorsi, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che i ricorsi vengano rigettati.
I ricorsi non possono essere accolti per le seguenti ragioni.
Inammissibile, invero, deve ritenersi il ricorso proposto nell’interesse della “RAGIONE_SOCIALE“, posto che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di riesame relativa a decreto di sequestro preventivo proposto dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale (cfr. Sez. 2, n. 310 del 07/12/2017, Rv. 271722).
Si tratta di un orientamento da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità che in più occasioni ha affermato il principio secondo cui il ricorso per cassazione proposto dal difensore del terzo interessato avverso il provvedimento di rispetto della richiesta di riesame relativa a decreto di sequestro preventivo, quando è rilevato il difetto di procura speciale, deve essere dichiarato inammissibile senza che possa trovare applicazione la disciplina della concessione del termine previsto dall’art. 182, comma secondo, c.p.c., per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza, dovendo il terzo interessato alla restituzione dei beni, ai fini della proposizione del ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di misure cautelari reali, conferire una procura speciale al suo difensore, nelle forme previste dall’art. 100, c.p.p. (cfr. Sez. 2, n. 6611 del 03/12/2013, Rv. 258580; Sez. 3, n. 39077 del 21/03/2013, Rv. 257729; Sez. 3, n. 29858 del 01/12/2017, Rv. 273505).
Tale onere non è stato adempiuto dalla “RAGIONE_SOCIALE“, pacificamente qualificabile come terzo interessato alla restituzione dei beni oggetto di sequestro, in quanto il legale responsabile della suddetta società, NOME COGNOME, come si evince dagli atti, consultabili in questa sede, trattandosi di rilevare un error in procedendo, con atto del 3.4.2024, si è limitato a nominare difensore di fiducia l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, conferendogli mandato per impugnare innanzi alla Corte di Cassazione l’indicata ordinanza del tribunale del riesame di La Spezia, senza conferirgli specifica procura speciale.
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Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna della ricorrente RAGIONE_SOCIALE“, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultima immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
Anche il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, non può essere accolto, essendo sorretto da motivi, per un verso infondati, per altro verso inammissibili.
5.1. Infondato, in particolare, appare il primo motivo di ricorso, con cui la ricorrente eccepisce il mancato deposito dei provvedimenti relativi all’autorizzazione e alla proroga delle disposte intercettazioni telefoniche, nonché delle relative acquisizioni probatorie, sia in occasione del deposito della domanda di sequestro da parte del pubblico ministero competente, sia ai sensi dell’art. 324, co. 3 e 6, c.p.p., con la conseguenza che, a suo dire, non solo non è stato possibile per la difesa fare il debito uso del contenuto delle intercettazioni, dopo avene accertato la legittimità e l’utilizzabilità, al fine di procedere a una compiuta redazione dei motivi di riesame e alla relativa discussione in camera di consiglio, ma la stessa cognizione del giudice dell’impugnazione cautelare risulta essere stata limitata da tale mancanza.
Ulteriore conseguenza viene individuata nella perdita di efficacia del titolo cautelare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 324, co. 7, e 309, co. 10, c.p.p.
Al riguardo si osserva che, come affermato da un condivisibile arresto della giurisprudenza di legittimità, in tema di intercettazioni (telefoniche), la mancata allegazione da parte del pubblico ministero dei relativi decreti autorizzativi a corredo della richiesta di l’applicazione di misure cautelari e la successiva omessa trasmissione degli stessi al Tribunale del riesame a seguito di impugnazione del provvedimento
coercitivo, non determina né l’inefficacia della misura né l’inutilizzabilità delle intercettazioni, ma obbliga il Tribunale ad acquisire d’ufficio tali decreti ove la parte ne faccia richiesta (cfr. Sez. 1, n. 823 del 11/10/2016, Rv. 269291).
Ma di tale omessa acquisizione ad opera del tribunale del riesame su specifica richiesta della COGNOME, la ricorrente non si lamenta, preferendo concentrare le sue doglianze sull’interpretazione fornita al disposto dell’art. 268, co. 4, c.p.p.
Ad avviso del giudice dell’impugnazione cautelare, infatti, tale disposizione, nel prevedere che i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni siano conservati in apposito registro riservato tenuto dall’ufficio del pubblico ministero, non ne rendono più richiesta la loro allegazione al fascicolo processuale, laddove la ricorrente evidenzia come tale interpretazione si traduca in un’inammissibile novella dell’art. 324, c.p.p., tale da introdurre un’ingiustificata deroga al principio generale della disco very, limitandosi la norma in questione, piuttosto, a prevedere una particolare modalità di conservazione dei documenti da parte degli uffici.
In ogni caso, come si è detto, il motivo di impugnazione va rigettato, per le ragioni già esposte, a prescindere dalla soluzione della questione prospettate dalla ricorrente.
5.2. Inammissibile appare il secondo motivo di ricorso, con cui la COGNOME contesta la motivazione resa dal tribunale del riesame con riferimento alla ritenuta sussistenza del periculum in mora, evidenziando come il giudice dell’impugnazione cautelare si sia limitato ad affermare acriticamente la validità del percorso argomentativo seguito dal giudice per le indagini preliminari nel provvedimento genetico del vincolo reale, non essendo rinvenibile nell’ordinanza impugnata alcun riferimento al profilo della mancanza di attualità del pericolo per la distanza temporale tra la conversazione avuta dalla COGNOME con un notaio in ordine all’utilità di costituire un fondo patrimoniale (elemento valorizzato ai fini della ritenuta sussistenza del periculum in mora) e il provvedimento di sequestro, senza tacere che la motivazione fornita dal giudice
dell’impugnazione cautelare non attiene alla condotta della COGNOME, ma a quella posta in essere dall’ex marito, NOME COGNOME.
Attraverso tali motivi di impugnazione, infatti, la ricorrente contesta, in definitiva, l’inadeguatezza del percorso motivazionale seguito dal giudice dell’impugnazione cautelare, denunciando, in realtà, un vizio di motivazione, che, per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, non è scrutinabile in questa sede.
Come è noto, infatti, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656).
Nel caso in esame l’ampia valutazione del tribunale del riesanne in punto di sussistenza del periculum in mora, operata anche con riferimento alla posizione della ricorrente, soddisfa i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848), secondo cui il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comnna 2, c.p.p., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240, c.p., deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio (cfr. il relativo paragrafo di cui alle pagine 7 e 8).
Come correttamente evidenziato dal pubblico ministero nella richiamata requisitoria scritta, infatti, il tribunale del riesame non si è limitato a sottolineare il contatto che la COGNOME aveva avuto con un notaio per conferire il proprio immobile in un fondo fiduciario, ma ha fatto, altresì, riferimento alle conversazioni intercettate dalle quali ha ritenuto emergesse, con logico argomentare, la comune volontà della COGNOME e del suo coniuge COGNOME NOME, entrambi amministratori di fatto
tanto della “RAGIONE_SOCIALE“, quanto della “RAGIONE_SOCIALE“, di porre in essere condotte preordinate a eludere eventuali aggressioni patrimoniali.
3. Con il terzo e il quarto motivo di ricorso, infine, la ricorrente deduce, da un lato, la nullità dell’ordinanza impugnata, ai sensi degli artt. 324, co. 7, 309, co. 9, e 125, co. 3, c.p.p., in quanto il tribunale del riesame non si è confrontato con i motivi di impugnazione con cui si era sottolineato che il profitto della condotta non potesse essere individuato nell’ammontare del debito tributario accumulato da “RAGIONE_SOCIALE” nel corso degli anni, ma esclusivamente nell’effetto che la manovra fraudolenta, specifico oggetto della contestazione posta alla base del sequestro preventivo disposto nei confronti di COGNOME NOME, aveva avuto sulle garanzie patrimoniali di quel debito, in parte; dall’altro, la violazione degli artt. 11, 12, d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto il tribunale del riesame, nel confermare il sequestro preventivo per equivalente della somma di euro 476.481,35, in relazione ad un’operazione fraudolenta del valore commerciale di euro 134.000,00, ha ammesso il sequestro non di ciò che rappresenta il profitto del reato di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74 del 2000, ma di tutte le somme che la società, ritenuta amministrata da COGNOME NOME, non ha versato all’Erario nel corso degli anni, con confusione dei piani su cui si trovano la funzione ripristinatoria della confisca ex art. 12 bis, d.lgs. n. 74 del 2000, e il recupero coatto disposto dal tribunale di La Spezia in vece dell’Erario, al di fuori dei termini della contestazione elevata nei confronti dell’indagata.
Si tratta di motivi infondati, in quanto non può dirsi che in relazione al disposto sequestro preventivo dei rapporti bancari e finanziari intestati a NOME COGNOME (e al marito co-indagato), fino alla concorrenza di euro 476.481,53, quale profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, unico profilo aggredito dalla ricorrente, il tribunale del riesame non abbia fornito alcuna risposta
Premesso, infatti, che la ricorrente non contesta il fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74 del 2000 (su cui il tribunale del
riesame si sofferma diffusamente: v. p. 7), che, giova ribadire, è il reato posto a fondamento del titolo ablativo adottato nei confronti della COGNOME, il giudice dell’impugnazione cautelare ha evidenziato come nei reati tributari il profitto confiscabile possa essere costituito da un mancato decremento patrimoniale di tributi, interessi e sanzioni, rilevando che nel caso in esame il profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte conseguito da “RAGIONE_SOCIALE” è stato determinato in euro 476.481,35, pari al debito erariale maturato.
Si tratta di un approdo interpretativo condivisibile, che non integra violazione di legge, men che mai per un preteso difetto assoluto di motivazione.
Come affermato, infatti, dalla giurisprudenza di legittimità nella sua espressione più autorevole, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 del d.lgs n. 74 del 2000, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario (cfr. Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Rv. 255036).
A fronte di tale definizione di profitto, fatta propria dal tribunale del riesame, appare apodittica e non facilmente comprensibile l’affermazione della ricorrente, secondo cui nella menzionata sentenza le Sezioni Unite hanno fatto riferimento alla misura dell’imposta evasa in virtù dello specifico reato commesso e non dell’imposta evasa dal prevenuto in termini assoluti e generici nella sua vita (cfr. p. 9 del ricorso).
Nel contesto ora delineato, peraltro, si inseriscono ulteriori condivisibili arresti, alla luce dei quali, in tema di reati tributari, ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca anche per equivalente, il profitto è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, essendo indifferente se
l’imposta evasa, in concreto, sia stata non pagata o portata a credito dal contribuente.
Costituisce, pertanto, profitto del reato il risparmio di spesa o l’incremento patrimoniale concreto per il contribuente, determinati da qualsiasi artificiosa alterazione unilaterale dell’obbligazione tributaria che, fuori dei casi previsti dalla legge, comporti la sottrazione degli importi evasi alla destinazione fiscale (cfr. Sez. 4, n. 42195 del 21/09/2023, Rv. 285226; Sez. 3, n. 1657 del 27/09/2018, Rv. 275474).
Non ignora il Collegio l’esistenza nella giurisprudenza di legittimità di un orientamento, secondo cui, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex art. 11 d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 12084 del 26/01/2023, Rv. 284568).
Tuttavia, anche volendosi collocare in questa prospettiva, il motivo di ricorso non può essere accolto, perché fondato sull’assunto, indimostrato, che il valore dei beni sottratti fraudolentemente alla garanzia dei crediti dell’Amministrazione finanziaria per le imposte evase (in pratica tutto il compendio della “RAGIONE_SOCIALE“) fosse inferiore all’entità dei crediti da garantire.
Nel resto il terzo motivo di ricorso si sofferma su pretesi vizi motivazionali non scrutinabili in questa sede.
Al rigetto del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso della RAGIONE_SOCIALE e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12.7.2024.