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Sequestro preventivo reati tributari: come si calcola?

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso di sequestro preventivo per reati tributari, legato a una presunta operazione di svuotamento aziendale. La sentenza chiarisce due punti fondamentali: dichiara inammissibile il ricorso della società terza per mancanza di procura speciale al difensore e rigetta il ricorso dell’indagata, confermando che il profitto del reato, oggetto del sequestro, corrisponde all’intero debito tributario evaso (imposte, sanzioni e interessi) e non solo al valore dei beni sottratti alla garanzia patrimoniale dello Stato.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro preventivo reati tributari: la Cassazione sulla quantificazione del profitto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta temi cruciali in materia di sequestro preventivo per reati tributari, fornendo chiarimenti sia di natura procedurale che sostanziale. Il caso analizzato riguarda una complessa operazione societaria, ritenuta fraudolenta, finalizzata a sottrarre beni alla garanzia patrimoniale del Fisco. L’analisi della Corte si concentra sulla corretta quantificazione del profitto confiscabile e sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi.

I Fatti di Causa: Svuotamento Aziendale e Nascita di una ‘Società Fotocopia’

La vicenda trae origine da un’indagine su due coniugi, amministratori di fatto di una società (la ‘Società A’) gravata da ingenti debiti tributari. Secondo l’accusa, per sottrarsi agli obblighi verso l’Erario, i due avrebbero architettato un’operazione di svuotamento aziendale.

Poco prima di mettere in liquidazione la ‘Società A’, veniva costituita una nuova entità, la ‘Società B’, con il medesimo oggetto sociale e amministrata formalmente da uno dei coniugi, ma di fatto da entrambi. I contratti più redditizi della ‘Società A’, inclusa una commessa di valore per l’allestimento di uno yacht, venivano ceduti gratuitamente alla ‘Società B’. Anche operai e attrezzature venivano trasferiti dalla vecchia alla nuova società. Grazie a questa operazione, la ‘Società B’ realizzava un ingente fatturato, incamerando corrispettivi che, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbero dovuti rientrare nel patrimonio della ‘Società A’ a garanzia dei debiti fiscali.

Sulla base di questi elementi, il Giudice per le Indagini Preliminari disponeva un sequestro preventivo:
1. Sui conti dei coniugi fino a concorrenza del debito tributario della ‘Società A’ (circa 476.000 euro), quale profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
2. Sui conti della ‘Società B’ fino a 134.000 euro, quale profitto del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione.

Il Tribunale del Riesame confermava il provvedimento, spingendo sia la ‘Società B’ che uno dei coniugi a ricorrere in Cassazione.

Questioni Procedurali: la Procura Speciale e l’Uso delle Intercettazioni

Prima di entrare nel merito, la Corte si sofferma su due aspetti procedurali.

Inammissibilità del Ricorso della Società Terza

Il ricorso presentato nell’interesse della ‘Società B’ viene dichiarato inammissibile. La Corte ribadisce un principio consolidato: quando un soggetto terzo (non indagato), interessato alla restituzione dei beni sequestrati, propone ricorso per cassazione, il suo difensore deve essere munito di una procura speciale, come previsto dall’art. 100 c.p.p. Nel caso di specie, l’amministratore della società si era limitato a nominare un difensore di fiducia senza conferirgli tale potere specifico, rendendo l’impugnazione inefficace.

L’onere della Prova sulle Intercettazioni

L’indagata lamentava il mancato deposito dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche, sostenendo che ciò avesse leso il suo diritto di difesa. La Cassazione rigetta il motivo, chiarendo che la mancata allegazione di tali decreti non comporta né l’inefficacia della misura né l’inutilizzabilità dei risultati. Spetta alla parte interessata, qualora lo ritenga necessario, farne specifica richiesta di acquisizione al Tribunale del Riesame, cosa che in questo caso non era avvenuta.

Il Cuore della Decisione: Il calcolo del profitto nel sequestro preventivo per reati tributari

Il punto centrale del ricorso dell’indagata riguardava la quantificazione del profitto del reato di sottrazione fraudolenta. Secondo la difesa, il profitto non poteva coincidere con l’intero debito tributario, ma doveva essere limitato al valore dei beni effettivamente sottratti alla garanzia dell’Erario.

La Corte Suprema respinge questa tesi, allineandosi alla propria giurisprudenza più autorevole, incluse le Sezioni Unite.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione chiarisce che, in tema di reati tributari, il profitto confiscabile (anche per equivalente) è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito dalla consumazione del reato. Questo vantaggio si identifica con il risparmio di spesa derivante dal mancato pagamento del tributo dovuto.

In altre parole, il profitto è rappresentato dall’intero importo che il contribuente ha illecitamente sottratto alla sua destinazione fiscale, comprensivo non solo dell’imposta evasa, ma anche degli interessi e delle sanzioni. L’importo del sequestro preventivo per reati tributari, funzionale alla confisca, deve quindi essere commisurato al totale del debito erariale maturato.

L’argomentazione della ricorrente, che mirava a distinguere tra l’imposta evasa in senso assoluto e quella specifica del reato contestato, viene ritenuta non pertinente. La Corte sottolinea come qualsiasi alterazione artificiosa dell’obbligazione tributaria che comporti la sottrazione di importi alla loro destinazione fiscale costituisce il profitto del reato.

Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza pratica. Stabilisce con chiarezza che, ai fini del sequestro preventivo per reati tributari, il valore da aggredire non è limitato al valore dei singoli beni oggetto dell’atto fraudolento, ma corrisponde all’intero vantaggio economico ottenuto, ovvero all’intero debito fiscale non onorato. Questa interpretazione rafforza gli strumenti a disposizione dello Stato per recuperare le somme evase, garantendo che le misure cautelari reali siano effettivamente commisurate al danno causato all’Erario. La decisione serve anche da monito sull’importanza del rispetto delle formalità procedurali, come la necessità della procura speciale per i ricorsi dei terzi, la cui mancanza può precludere l’accesso al giudizio di legittimità.

Perché il ricorso della società è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il difensore della società, qualificata come ‘terzo interessato’ alla restituzione dei beni, non era munito di una procura speciale per proporre ricorso per cassazione, come richiesto dalla legge per questo specifico atto.

Come si calcola il profitto in un sequestro preventivo per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte?
Secondo la Corte di Cassazione, il profitto del reato, confiscabile anche per equivalente, è costituito dal risparmio di spesa derivante dal mancato pagamento del tributo. Pertanto, corrisponde all’intero debito tributario evaso, comprensivo di imposte, interessi e sanzioni.

Il mancato deposito dei decreti di autorizzazione delle intercettazioni rende la misura cautelare inefficace?
No. La Corte ha stabilito che l’omessa allegazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni non determina automaticamente né l’inefficacia della misura cautelare né l’inutilizzabilità delle conversazioni. Obbliga però il Tribunale del Riesame ad acquisire d’ufficio tali decreti se la parte ne fa specifica richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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