Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33800 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33800 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME, nato ad Agrigento il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 24/02/2025 del Tribunale di Agrigento visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; uditi i difensori, AVV_NOTAIO.ti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 24 febbraio 2025, il Tribunale di Agrigento ha confermato il decreto emesso in data 31 gennaio 2025, con il quale il Gip del medesimo Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo, avente ad oggetto gli immobili denominati RAGIONE_SOCIALE A e RAGIONE_SOCIALE B, siti in Agrigento, disposto in relazione alle ipotesi di reato di cui agli artt. 110, cod. pen., 44, comma 1, lettera c), del
d.P.R. n. 380 del 2001, e 110, cod. pen., 181, comma 1-bis, lettera b), del d.lgs. n. 42 del 2004.
Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’indagato, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione degli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen., per assenza e mera apparenza della motivazione in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti, in relazione alla consistenza degli immobili oggetto di ristrutturazione edilizia. Denuncia il difensore l’erroneità del passaggio dell’ordinanza che ravvisa la presenza di fabbricati diversi da quelli indicati nella SRAGIONE_SOCIALE; ovvero il passaggio secondo cui questa faceva riferimento a tre elevazioni fuori terra, mentre dal sopralluogo risultavano tre elevazioni fuori terra a monte, e quattro, ulteriori, a valle. L’assunto si ritiene errato quanto: 1) i fabbricati da ristrutturare, in realtà, erano quattro, tre elevazio fuori terra e un seminterrato; 2) i fabbricati da ristrutturare insistevano su una differente quotazione a livello; 3) la ristrutturazione non era ancora terminata; 4) durante il sopralluogo era riscontrata la presenza di materiale inerte costituente la parte interrata e quella seminterr’ata, sulla quale sarebbe stato inserito l’ascensore; 5) veniva presentata la documentazione di tale seminterrato anche ai tecnici del comune.
Si lamenta, inoltre, che il Tribunale ha ritenuto penalmente rilevante la modifica, di pochi centimetri, delle terrazze non residenziali, della mancata pensilina prevista ovest e il mancato proseguimento di un balcone, nonostante i lavori non fossero ancora terminati; e, ancora, il giudice avrebbe omesso di considerare che l’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 200, consente la modifica durante l’attività di ristrutturazione e che comunque ricorrente aveva eliminato tali modifiche.
Aggiunge la difesa che l’erroneità del sequestro emerge anche dai seguenti elementi: 1) la mancata contestazione dell’esistenza del piano seminterrato, presente nella RAGIONE_SOCIALE, e dunque l’esistenza delle quattro strutture sul piano di sedinne su cui insistono i due manufatti; 2) che la ristrutturazione risultava ancora in corso d’opera e che dunque il sequestro preventivo non interveniva a stigmatizzare un fatto penalmente rilevante; 3) che, per quanto risulta dalla situazione dei luoghi, vi era assoluta conformità alle norme edilizie, non essendovi stato alcun aumento di volume, poiché il seminterrato risultava totalmente chiuso sia a monte che a valle. Infatti, in base all’art. 3 del testo unico dell’edilizia, che regola la ristrutturazione, essa consiste nella sostituzione di elementi costitutivi dell’edificio e nell’inserimento di nuovi elementi ed impianti, tra i quali deve essere incluso anche l’ascensore.
Contraddittorie, inoltre, sarebbero le affermazioni del Tribunale del riesame, che prima ha rilevato come dalle tavole architettoniche progettuali emergesse che gli edifici erano disegnati con tre elevazioni fuori terra, oltre al seminterrato, e, poi, ha afferma che, confrontando le relative fotografie, si riscontra una diversità tra quanto previsto e realizzato con la demolizione-ricostruzione in termini di sagoma e altezza. La ragione della contraddizione starebbe nel fatto che il Tribunale del riesame aveva posto tali affermazioni a fondamento della valutazione in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti e poi aveva ritenuto comunque sussistente la necessità di “ulteriori mirati approfondimenti di natura tecnica”; ciò che risulterebbe incompatibile con l’accertamento del fumus commissi delicti.
2.2. Con un secondo motivo – parzialmente ripetitivo del primo – si lamenta la violazione degli artt. 3, comma 1, lettera c), 10, 23, 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001. La difesa denuncia l’erroneità dell’affermazione del Tribunale del riesame secondo cui l’intervento non consisteva in una ristrutturazione del preesistente manufatto, ma in una nuova costruzione, con la conseguenza che il regime applicabile non sarebbe stato quella della S.C.I.A. bensì quello del permesso di costruire. Al riguardo, il difensore rileva che il Tribunale non ha provveduto a disapplicare l’atto amministrativo e non ha fatto alcun riferimento alle regole relative alla modifica dell’oggetto materiale e tecnico dell’intervento di ristrutturazione; mentre il Comune ha testualmente riconosciuto l’osservanza delle norme che regolano la materia. Inoltre, si sostiene che lo stesso Tribunale del riesame aveva riconosciuto che non erano stati ampliati né la sagoma, né il volume dei preesistenti manufatti, con ciò confermandó la legittimità dell’intervento nel seminterrato, il quale, pertanto, non poteva ritenersi abusivo. Si sarebbe perciò agito nel pieno rispetto di quanto stabilito dall’art. 3, avendo il ricorrente realizzato un’opera che rientra a pien titolo nel regime della S.C.I.A. e non, invece, in quello della RAGIONE_SOCIALE allargata; regime che consente la realizzazione del manufatto con forma anche diversa rispetto a quella originaria. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si ribadisce, inoltre, che, nel caso di specie, la struttura edilizia er assolutamente fedele al fabbricato preesistente. Risulterebbe dunque contraddittoria la conclusione del Tribunale: che prima accoglie la tesi del pubblico ministero circa l’opportunità di un’indagine più approfondita sugli attitecnico amministrativi relativi alle vicende del complesso edilizio, e poi, invece, conclude che la scala e l’ascensore collegati con il piano seminterrato non risultano menzionati nella SRAGIONE_SOCIALEC.I.A. Proprio sulla base di questo errore il Tribunale del riesame avrebbe considerato necessaria la RAGIONE_SOCIALE “allargata”.
Tuttavia, si rileva, l’installazione dell’ascensore poteva concretamente compiersi, anche se non risultava espressamente disegnato nella scia: si trattava infatti di una mera omissione in quanto la pretesa di costruirlo risultava comunque fondata in base alla legge. Al riguardo, si aggiunge, l’art. 3 del testo unico dell’edilizia afferma che la ristrutturazione individua gli interventi rivolt trasformare gli organismi edilizi mediante um insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. A sostegno, si aggiunge, la constatazione di un orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui l’installazione dell’ascensore rientra tra gli interventi di edilizia libera.
2.3. Con un terzo motivo – anch’esso parzialmente ripetitivo dei precedenti – si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R., n. 380, del 2001. La difesa contesta l’opinione del Tribunale, secondo cui la realizzazione del seminterrato avrebbe comportato un aumento volumetrico, avendo quest’ultimo aderito alle conclusioni del consulente tecnico del pubblico ministero. Tuttavia, lo stesso consulente avrebbe affermato una circostanza non corrispondente al vero, giacché risultava in atti che l’oggetto della ristrutturazione in esame erano due manufatti costituiti da tre elevazioni e un “seminterrato”. Inoltre, dagli atti dell’ufficio tecnico comunale, nonché dagli accertamenti e dai sopralluoghi effettuati dai tecnici del Comune e dai carabinieri, risultava la preesistenza dei seminterrati. Ciò spiegherebbe il dubbio del giudice del riesame circa l’esistenza dei seminterrati stessi, nonché l’opinione, condivisa anche dal consulente del pubblico ministero, circa la necessità di maggiori approfondimenti tecnici. Inoltre, aggiunge difesa che l’attività di ristrutturazione è un’attività prescritta proprio per le zon intervento, interrate o seminterrate su cui poggia il fabbricato in base alla legge n. 64 del 1974 sulle costruzioni in zone sismiche. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
È opportuno premettere che, a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. 2, n. 49739
del 10/10/2023, Rv. 285608; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656). (Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013, Rv. 254893).
Ebbene, le doglianze formulate in questa sede, se compiutamente apprezzate al di là della loro intestazione formale, afferiscono, nella loro ripetitività, alla consistenza dei manufatti preesistente alle opere realizzate, che la difesa considera quali opere di ristrutturazione, concentrandosi su pretesi vizi della motivazione, non deducibili con il ricorso per cassazione.
1.1. Il primo motivo, con cui si denuncia l’omessa motivazione in ordine all’insussistenza del fumus commissi delicti è formulato in modo non specifico. Il Tribunale del riesame – dopo aver ricostruito la vicenda fattuale, tenendo conto delle vicende relative all’acquisto della società titolare degli immobili, dei verbal e assembleari relativi alla costituzione di due condomini sugli stessi, denominati RAGIONE_SOCIALE A e RAGIONE_SOCIALE B, al deposito della segnalazione certificata di inizio attività, al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica – ha correttamente considerato che, dall’esame delle relazioni istruttorie a corredo della predetta segnalazione certificata di inizio attività, era possibile ricavare che ciascun progetto prevedeva opere di ristrutturazione edilizia di un fabbricato uso abitativo e tre elevazioni fuori terra e copertura a falde inclinate. In altri termini, tali opere consistevan nella demolizione del fabbricato e nella ricostruzione con stessa sagoma, volumetria, area di sedime virgola e numero di unità abitative. Tuttavia, dall’esame delle istanze istruttorie il Tribunale del riesame riscontrava la presenza di ulteriori quattro elevazioni fuori terra a valle rispetto alle tre previst in progetto. In particolare, si rilevava: che le quattro strutture ulteri risultavano difformi da quelle previste in progetto; che nel piano che veniva eseguito erano presenti un ascensore in cemento armato e una rampa di scala di collegamento con il piano superiore, anch’essi non previsti nel progetto presentato; che vi era un aumento di superficie dovuto alla modifica delle terrazze; che in entrambi i fabbricati non risultava realizzata la pensilina prevista; che il balcone del lato nord del piano secondo dell’immobile denominato RAGIONE_SOCIALE presentava una superficie inferiore a quanto previsto. Da tutto ciò, il giudice ricavava, ai fini cautelari, indizi del fatto che l’opera realizzata non foss conforme a quella prevista nel progetto relativo alla segnalazione certificata di inizio attività. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In questo quadro, non assumono rilievo le considerazioni difensive circa il numero dei fabbricati da ristrutturare, circa le quote a livello, circa la mancata conclusione della ristrutturazione, circa la presenza del materiale inerte per la successiva edificazione dell’ascensore, circa la presentazione della documentazione relativa al seminterrato. Né rileva il riferimento all’opportunità di ulteriori accertamenti tecnici, avendo il giudice del riesame evidenziato
elementi sufficienti a fondare sul piano logico una valutazione in ordine al fumus, così che questi sarebbero stati al più utili a costituire elementi ulteriori, ma non necessari a fondare valutazione in ordine a tale requisito (p. 14 del provvedimento impugnato).
Si tratta, evidentemente, di valutazioni relative alle opere e alla loro comparazione con i progetti depositati e non di considerazioni interpretative relative alle norme applicabili, le uniche deducibili ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.; con la conseguenza che – come già evidenziato – il sindacato di questa corte non può trovare spazio.
1.2. Il secondo motivo, con cui si denuncia l’erronea applicazione dell’art. 3 del testo unico sull’edilizia, è inammissibile per analoghe ragioni. Non si controvertere dell’interpretazione di tale disposizione, ovvero della distinzione tra interventi di nuova costruzione, interventi di ristrutturazione urbanistica e interventi di ristrutturazione edilizia, che portano alla formazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Si contesta invece il rilievo del Tribunale – tanto corretto sul piano logico quanto insindacabile in questa sede – secondo cui, nella fattispecie in esame, in base alla documentazione esaminata, la volumetria dei fabbricati risultava essere aumentata mediante un ampliamento della sagoma e dell’altezza, comportando in tal modo la qualificazione dell’intervento di “ristrutturazione del fabbricato” come di “nuova costruzione”, in quanto tale soggetta a permesso di costruire.
Sotto questo profilo, non acquisisce rilevanza il mancato riferimento del giudice alla disapplicazione della SRAGIONE_SOCIALE, la quale, essendo un atto del privato e non un provvedimento non necessita di disapplicazione, ma del semplice accertamento – qui condotto in via indiziaria, fatti salvi gli ulteri approfondimenti dibattimentali – della sua illegittimità. Né acquisisce alcun rilievo in riferimento alla scala e l’ascensore collegati col piano seminterrato, e alla qualificazione del loro mancato inserimento all’interno della segnalazione come una mera omissione: secondo la valutazione del Tribunale, era infatti già evidente la presenza di un aumento volumetrico che rendeva abusivo il manufatto.
1.3. Neanche il terzo motivo, con cui si lamenta l’errata applicazione dell’art. 44, comma 1, lettera c), appare sostanzialmente riconducibile alla categoria della violazione di legge. Esaminando in modo esauriente la documentazione in atti, ivi comprese le deduzioni difensive, il giudice della cautela e il Tribunale hanno ritenuto sussumibile il fatto nella fattispecie penale, considerando che, dalla descrizione delle opere e dallo stato dei luoghi, si desumeva che i detti lavori erano in corso realizzazione in assenza del necessario permesso di costruire, nonché su area sottoposta a vincolo paesaggistico. Né può essere contestata in
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A),
questa sede l’esistenza di aumenti volumetrici, perché una tale contestazione si basa sulla valutazione comparativa tra quanto preesistente e quanto realizzato; valutazione già condotta dal Tribunale sulla base della delle risultanze di indagine ed afferente al profilo fattuale.
Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/07/2025