Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2018 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2018 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA a PADOVA VAROTTO NOME nato il DATA_NASCITA a CAMPOSAMPIERO COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a DATA_NASCITA avverso l’ordinanza in data 25/05/2023 del TRIBUNALE DI PADOVA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio in relazione a COGNOME NOME e per il rigetto dei ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME;
sentito l’AVV_NOTAIO che, per delega dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse di COGNOME NOME, si è riportata ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME impugnano l’ordinanza in data 25/05/2023 del Tribunale di Padova che, in sede di riesame, ha confermato il decreto in data 13/04/2023 del G.u.p. del Tribunale di Padova, che aveva disposto il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen. e dell’art. 240 .bis cod. pen. del patrimonio degli indagati e dei beni nella loro disponibilità diretta o indiretta, in relazione al reato di autoriciclaggio.
Deducono:
COGNOME NOME. Nella qualità di terza interessata, in quanto intestataria del fabbricato sito in INDIRIZZO INDIRIZZO, foglio 73, part. 1589 sub 19, 37 e 51, ritenuto nella disponibilità di COGNOME NOME.
1.1. Violazione di legge in relazione all’art. 240-bis cod. pen. e vizio di contraddittorietà della motivazione in relazione alla sussistenza della sproporzione.
La ricorrente riporta la motivazione del tribunale in ordine al requisito della sproporzione, al fine di evidenziarne la contraddittorietà, là dove in un primo momento riconosce la correttezza del rilievo difensivo in ordine alle modalità dell’acquisto dell’immobile -con particolare riguardo all’imputabilità della somma mutuata- e poi afferma che non è stata fornita la prova liberatoria della provenienza lecita delle risorse impiegate per il pagamento delle rate del mutuo.
Produce un atto di compravendita e il correlato contratto di mutuo, al fine di rappresentare le modalità e i tempi dell’acquisto del fabbricato in questione.
Il vizio di contraddittorietà della motivazione viene denunciato anche con specifico riferimento a quanto ritenuto dal Tribunale circa la mancanza della prova liberatoria della provenienza lecita delle risorse utilizzate per pagare le rate del mutuo, con particolare riguardo all’effettività dell’attività lavorativa prestata da COGNOME NOME.
Sotto il profilo della violazione dell’art. 240-bis cod. pen., la difesa rimarca che quando il bene confiscabile appartiene a un terzo è onere dell’accusa dimostrare la discrasia tra intestazione formale e titolarità effettiva del bene oltre che la sproporzione dei beni intestati al terzo rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata dal terzo, da valutarsi con riferimento al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquistati, non già con riguardo al momento dell’applicazione della misura.
Aggiunge, quindi, che tale dimostrazione è mancata nel caso in esame.
COGNOME NOME (indagato, autovettura BMW del valore di 13.000,00 euro).
2.1. Apparenza della motivazione in ordine al fumus commissi delicti, omessa motivazione in relazione al sequestro del veicolo di proprietà dell’indagato; motivazione apparente in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti per un sequestro finalizzato alla confisca per equivalente degli emolumenti rinvenuti sul conto corrente di COGNOME.
Il ricorrente premette i termini della vicenda processuale e in tal senso riassume l’ipotesi accusatoria, la contestazione a carico di COGNOME, i motivi posti a sostegno dell’istanza di riesame, con particolare riferimento al fumus commissi delicti del delitto di autoriciclaggio, per il quale si opponeva l’insussistenza di ruoli operativi ricoperti da COGNOME nell’attività di reimpiego di capitali.
2.1.1. Proprio in relazione a tale argomento viene mossa la prima censura,
in quanto il ricorrente si duole dell’omessa motivazione sul punto, mancando nel provvedimento impugnato ogni determinazione specificamente rivolta a focalizzare la posizione di COGNOME.
2.1.2. Il vizio di omessa motivazione viene denunciato anche con riguardo al sequestro dell’autovettura, il cui acquisto con risorse di lecita provenienza era stato dimostrato con la produzione del contratto di finanziamento stipulato a tale scopo, della prova dell’acconto bonificato dal proprio conto corrente e dell’aiuto economico dei propri genitori.
Sottolinea come il tribunale non si sia espresso in ordine a tale documentazione.
2.1.3. La difesa denuncia, infine, l’apparenza della motivazione in relazione alle somme sequestrate sul conto corrente, al cui riguardo il tribunale non ha dato risposta ai rilievi difensivi con cui si dimostrava la coerenza degli importi versati con l’attività lavorativa di COGNOME. Lamenta, altresì, la mancanza di motivazione in ordine al requisito della sproporzione.
3. VAROTTO NOME.
I motivi sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli ora sintetizzati in relazione alla posizione di COGNOME, con riguardo al vizio di omessa o apparente motivazione in ordine al fumus commissi delicti, alla documentazione prodotta in relazione all’acquisto della BMW X4 in sequestro e agli emolumenti rinvenuti nella cassetta di sicurezza. Documentazione che viene illustrata a supporto e a dimostrazione della fondatezza della censura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME NOME è fondato.
1.1. Va premesso che «la presunzione relativa circa l’illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all’art. 240-bis cod. pen. opera, oltre che in relazione ai beni del condannato, anche in riferimento ai beni intestati al coniuge dello stesso, qualora la sproporzione tra il patrimonio nella titolarità del coniuge e l’attività lavorativa svolta dallo stesso, confrontata con le altre circostanze che caratterizzano il fatto concreto, appaia dimostrativa della natura simulata dell’intestazione. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la decisione del tribunale del riesame che aveva ritenuto il tenore di vita dei coniugi e le giacenze rinvenute nella loro disponibilità del tutto sproporzionati rispetto ai redditi di lavoro, alla percezione della indennità di Cassa integrazione guadagni ed alle vincite derivanti da scommesse)», (Sez. 6, Sentenza n. 38150 del 16/09/2021, Gjolaj, Rv. 282115 – 01).
Va altresì osservato che «in ordine alla confisca atipica, , questa Corte ha già avuto modo di affermare che è la pubblica accusa ad essere gravata dell’onere
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di dimostrare l’esistenza di situazioni indicative della divergenza tra intestazione formale del terzo e disponibilità effettiva del bene in capo al condannato, intesa quale riconducibilità alla sua persona dell’iniziativa economica sottesa all’acquisizione. Da tale accertamento si può desumere con certezza che il terzo intestatario si sia prestato ad assumere la titolarità apparente del bene al solo fine di favorirne la conservazione in capo ad altri. Spetta al giudice che disponga la misura ablativa illustrare efficacemente le ragioni della ritenuta interposizione, reale o fittizia, valorizzando allo scopo circostanze sintomatiche ed elementi fattuali, dotati dei crismi della gravità, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche in chiave indiretta, l’assunto accusatorio secondo lo schema tipico del ragionamento indiziario. A tale fine, non soccorre la presunzione relativa, fondata sulla sproporzione dei valori, operante nei confronti del solo condannato, ma è richiesta un’attivazione probatoria da parte della pubblica accusa istante, analoga a quella necessaria per l’accertamento giudiziale di qualsiasi fatto avente giuridica rilevanza. L’intestazione al terzo del bene in realtà appartenente al condannato va, dunque, dimostrata e la relativa prova può essere desunta anche per facta concludentia mediante la considerazione, ad esempio, dei rapporti e dei vincoli personali tra terzo e condannato, della condizione personale del terzo per età, salute ed attività svolta, della natura giuridica e delle modalità esecutive della vicenda negoziale acquisiva, della sproporzione di valore tra il bene formalmente intestato e il reddito percepito dal terzo, del potere di disposizione esercitato dal condannato, nonostante l’altruità del bene. Circostanze queste da confrontarsi con gli altri aspetti concreti del caso, in modo che risulti sicuramente dimostrata la discrasia tra titolarità ufficiale ed appartenenza del bene (Sez. 5, n. 13084 del 06/03/2017, Carlucci, Rv. 269711; Sez. 2, n. 15829 del 25/02/2014, COGNOME, Rv. 259538; Sez. 1, n. 6137 del 11/12/2013, dep. 2014, Soriano, Rv. 259308; Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, COGNOME, Rv. 254699; Sez. 1, n. 27556 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247722). Inoltre, al terzo non compete l’onere della positiva dimostrazione della lecita origine del proprio patrimonio, ma della sola allegazione di circostanze contrarie all’assunto dell’accusa, che il giudice, secondo il principio del libero convincimento, è tenuto a vagliare (Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 226491). E’ altrettanto vero, però, che tale onere non può essere assolto dalla parte mediante giustificazioni prive di serietà (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME ed altri, Rv. 238216), perché », (Così, Sez. Unite, Sentenza n. 27421 del 25/02/2021, COGNOME, in motivazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. Ciò premesso, dalla lettura dell’ordinanza impugnata emerge come l’odierna ricorrente abbia allegato e provato di avere percepito redditi in ragione dell’attività lavorativa prestata presso la RAGIONE_SOCIALE.
Lo stesso tribunale riconosce che NOME (terza interessata)
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risulta titolare di una voce stipendiale pari a tremila euro al mese, per l’attività lavorativa prestata e «protratta per anni» presso la RAGIONE_SOCIALE. Al contempo, il tribunale riconosce che «è probabile» che l’anticipo per l’acquisto dell’immobile in sequestro «sia stato versato unicamente con risorse formalmente attribuibili alla RAGIONE_SOCIALE».
Il tribunale, dunque, prende atto e riconosce che la donna percepisce da anni uno stipendio mensile pari a tremila euro, ma ritiene che tale stipendio sia troppo alto per l’attività di coordinamento di un cali center per cui esso viene corrisposto.
I giudici, però non spiegano sulla base di quali parametri oggettivi a loro disposizione abbiano ritenuto che la misura dello stipendio dovesse ritenersi troppo elevata rispetto a quello normalmente erogato per le prestazioni fornite da quella figura professionale.
I giudici, invero, non richiamano elementi oggettivi (quali potrebbero esemplificativamente ritenersi la contrattazione collettiva di categoria ovvero il confronto con lo stipendio percepito da figure professionali omologhe o altro) conducenti nel senso da loro ritenuto, là dove il convincimento del giudicante non può essere affidato a mere asserzioni prive di un substrato di concretezza senza macchiarsi del vizio di apoditticità e, in definitiva, di omessa motivazione.
Va analogamente osservato che -a fronte delle dichiarazioni rese dai dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, raccolte con le indagini difensive e che riferiscono dell’attività svolta da NOME– il tribunale ritiene che tale attività non sia “di entit e pregio tali da giustificare le ingenti elargizioni di denaro in suo favore (per circa 3.000 C mensili), protrattasi per anni». Il tribunale aggiunge che le dichiarazioni raccolte dal pubblico ministero (sempre tra i dipendenti del cali center) «ridimensionano sensibilmente l’attività lavorativa della RAGIONE_SOCIALE».
Il tribunale, dunque, riconosce che NOME ha svolto un’attività lavorativa in favore della RAGIONE_SOCIALE, ma ritiene che la prestazione resa dalla donna per «entità e pregio» e per dimensioni- non meriti una retribuzione pari a tremila euro al mese «protratta per anni».
Anche in questo caso, il tribunale non illustra i parametri oggettivi in forza dei quali ha ritenuto che la retribuzione percepita fosse soverchiamente eccessiva rispetto alla sua prestazione lavorativa e non spiega in base a quali riferimenti oggettivi e concreti ne ha valutato il pregio, l’entità e la dimensione.
La ricorrente, pertanto, ha fondatamente eccepito il vizio di omessa motivazione in relazione al requisito della sproporzione, così dovendosi disporre l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al tribunale per nuovo esame alla luce dei rilievi fini qui svolti.
Anche in relazione all’impugnazione di COGNOME e di COGNOME risulta fondato sotto il profilo dell’omessa motivazione in relazione al requisito del fumus commissi
delicti.
Entrambi i ricorrenti, invero, lamentano -fondatamente- che nel provvedimento impugnato non si rinviene alcuna indicazione circa le condotte realizzate da COGNOME e COGNOME.
In effetti il tribunale:
– In relazione a COGNOME evidenzia che al momento dell’acquisto della autovettura BMW (del valore di 13.000,00 euro) l’indagato era disoccupato, così che non risulta provato con quali risorse lecite avrebbe versato l’anticipo, visto che le buste paga prodotte dalla difesa non sono significative, in quanto sono datate da febbraio 2023 e, quindi, si riferiscono a un periodo successivo rispetto ai fatti in disamina.
– In relazione alla posizione di COGNOME, ha osservato che non risulta provata la provenienza lecita della somma di denaro (pari a euro 129.400,00) rinvenuta nella cassetta di sicurezza nella sua esclusiva disponibilità, mentre «i conti correnti prodotti dalla difesa attestano dei flussi di denaro senza dire alcunché circa l’origine degli incrementi del saldo, con ciò mancando nuovamente l’oggetto specifico della prova liberatoria come sopra circoscritto».
In entrambi i casi la motivazione è esclusivamente riferibile al requisito della sproporzione che, tuttavia, suppone come previamente acquisiti elementi dimostrativi della sussistenza del fumus commissi delicti, che «pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 cod. proc. pen., necessita comunque dell’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato», (in tal senso, Sez. 5, Sentenza n. 3722 del 11/12/2019 Cc., dep. il 2020, Gheri, Rv. 278152 – 01).
Va, dunque, rilevato che il sequestro preventivo è stato emesso soltanto in relazione al reato di autoriciclaggio, che, a norma dell’art. 648-ter.1 cod, pen, si configura quando taluno «avendo commesso o concorso a commettere un delitto ((…)) impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa».
In coerenza con la struttura del reato così evidenziata, il tribunale, trattando in via generale il tema del fumus commissi delicti, in relazione -appunto- al delitto di autoriciclaggio, individua la condotta oggetto del procedimento “nel reimpiego di rilevanti importi delle truffe mediante i versamenti ingiustificati ad altre società ricollegabili ai sodali” (cfr. pag. 13 ordinanza impugnata).
La condotta concreta di autoriciclaggio, quindi, viene indicata nel versamento “ad altre società” dei denari costituenti l’ingiusto profitto delle truffe, con l
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conseguenza che l’esame del fumus commissi delicti va rinvenuto nella prospettiva così delineata dal tribunale, ossia nel versamento in favore di varie società di somme di denaro provenienti dal delitto di truffa.
Il Tribunale -in effetti- indica le società coinvolte in tale attività (ossia RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE) in quanto «beneficiarie dei bonifici non giustificati», in tal senso ripercorrendo i contenuti del decreto del G.i.p.
In tale ambito argomentativo, però, non viene esposto alcun rilievo specificamente riferito a COGNOME e COGNOME, se non nella parte in cui (a pagina 6) i giudici osservano che «va messo in evidenza che dalla stessa società sono stati eseguiti ulteriori pagamenti in favore di (…) COGNOME NOME per 85.850 euro; (…); e COGNOME NOME per 37.850,00».
Ih tale periodare, tuttavia, il tribunale non specifica in alcuna maniera a che titolo (e da quale società) COGNOME COGNOME COGNOME abbiano ricevuto tali somme di denaro e, soprattutto, non spiega in che maniera tale ricezione di somme configuri la condotta di autoriciclaggio, a fronte della precisazione fatta dallo stesso tribunale, là dove spiega che il reato veniva realizzato mediante il versamento di somme in favore delle società e non, viceversa, dalle società in favore degli indagati.
Tale omessa indicazione, peraltro, permane anche ove la motivazione del provvedimento impugnato venga letto saldandola con quella del decreto del G.i.p., cui il tribunale fa spesso rinvio, atteso che anche nel decreto la condotta di autoriciclaggio viene indicata nel trasferimento di somme in favore di società e non viceversa, senza che vi siano specifici riferimenti alla condotta di autoriciclaggio in concreto realizzata da COGNOME e COGNOME.
La motivazione, dunque, risulta del tutto omessa in relazione al requisito del fumus commissi delicti.
Anche in relazione a COGNOME e COGNOME l’ordinanza va annullata con rinvio al tribunale per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Padova competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p..
Così deciso il 16/11/2023