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Sequestro preventivo: quando il ripristino non basta

L’appello di una proprietaria immobiliare contro un sequestro preventivo per abuso edilizio viene dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione ha confermato che un ripristino superficiale, come la muratura di un accesso, non è sufficiente a revocare la misura cautelare se la struttura abusiva persiste fisicamente, mantenendo concreto il rischio di un futuro utilizzo illecito.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro preventivo e abuso edilizio: murare la porta non basta

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema del sequestro preventivo in materia di abusi edilizi, chiarendo un punto fondamentale: un ripristino parziale e superficiale non è sufficiente per ottenere la revoca della misura cautelare. Se la struttura abusiva continua a esistere fisicamente, anche se resa temporaneamente inaccessibile, il pericolo di un suo futuro utilizzo illecito permane e giustifica il mantenimento del vincolo.

I Fatti del Caso: La Costruzione Abusiva e il Tentativo di Ripristino

Il caso riguarda la realizzazione ex novo di un locale tecnico di circa 14 metri quadrati, creato attraverso lo sbancamento di un terrapieno e la costruzione di muri in cemento armato. L’opera, totalmente abusiva, era stata eseguita in un’area soggetta a vincolo sismico, paesaggistico e ricadente nel perimetro di un Parco Regionale, in assenza di qualsiasi permesso o autorizzazione.

In seguito al sequestro dell’immobile, la proprietaria aveva richiesto la revoca della misura, sostenendo di aver ripristinato lo status quo ante. Tale ripristino, tuttavia, si era concretizzato nella sola chiusura del vano di accesso al locale con una parete in pietrame calcareo. Il Tribunale del riesame, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero, aveva ripristinato il sequestro, ritenendo l’intervento del tutto inadeguato a eliminare l’abuso.

Il Ricorso in Cassazione della Proprietaria

La proprietaria ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo principalmente su tre motivi:
1. Violazione del principio devolutivo: lamentava che il Tribunale avesse fondato la sua decisione anche su un reato (violazione della legge sui parchi) non contestato nell’originario decreto di sequestro.
2. Mancanza di motivazione: sosteneva che il Tribunale non avesse adeguatamente motivato la permanenza del periculum in mora, ossia il pericolo concreto e attuale, dopo il suo intervento di ripristino.
3. Insussistenza dell’opera: affermava che, a seguito della chiusura, l’opera abusiva non esistesse più e, pertanto, il sequestro fosse privo di oggetto.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul Sequestro Preventivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni della ricorrente infondate e generiche. I giudici hanno innanzitutto ricordato che il ricorso in Cassazione contro le misure cautelari reali, come il sequestro preventivo, è consentito solo per violazione di legge. Questo include la mancanza totale di motivazione o una motivazione meramente “apparente”, ma non la valutazione della logicità o della correttezza delle conclusioni del giudice di merito basate sui fatti.

Nel merito, la Corte ha stabilito che la motivazione del Tribunale del riesame non era né mancante né apparente. Anzi, spiegava in modo chiaro e coerente perché il ripristino effettuato dalla proprietaria fosse fittizio. La semplice chiusura della porta di accesso con una parete facilmente rimovibile non aveva eliminato gli elementi principali dell’abuso:
– Lo sbancamento del terreno.
– La creazione di un piano fuori terra.
– La costruzione di muri in cemento armato.
– L’alterazione del profilo urbanistico, paesaggistico e sismico del territorio.

L’opera, quindi, continuava a esistere nella sua fisicità e a persistere “con dannosi effetti”. La sua inaccessibilità temporanea non eliminava il pericolo che, una volta restituito l’immobile alla proprietaria, l’abuso potesse essere facilmente riattivato per un futuro utilizzo illecito. La persistenza fisica dell’opera abusiva è la chiave che giustifica il mantenimento del sequestro preventivo.

Conclusioni: L’Inammissibilità del Ricorso e le Implicazioni Pratiche

La Corte ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali. La decisione ribadisce un principio fondamentale: per ottenere il dissequestro di un bene oggetto di abuso edilizio, non basta un intervento superficiale o di facciata. È necessario un ripristino effettivo e completo dello status quo ante, che comporti la reale eliminazione fisica dell’opera illecita e di tutti i suoi effetti dannosi sul territorio. La mera inaccessibilità del manufatto, se questo può essere facilmente reso di nuovo agibile, non fa venir meno il periculum in mora e, di conseguenza, la legittimità del sequestro.

È sufficiente chiudere l’accesso a un’opera abusiva per ottenerne il dissequestro?
No, la Corte ha stabilito che una chiusura superficiale e facilmente rimovibile non costituisce un ripristino idoneo a far cessare il pericolo. Se la struttura abusiva persiste fisicamente, il sequestro preventivo rimane legittimo per prevenire futuri utilizzi illeciti.

Cosa si intende per “motivazione apparente” in un’ordinanza cautelare?
Si tratta di una motivazione che esiste solo formalmente ma non spiega le ragioni effettive della decisione, non confrontandosi con le argomentazioni difensive o utilizzando clausole di stile. È equiparata a una totale mancanza di motivazione e costituisce una violazione di legge, unico motivo per cui si può ricorrere in Cassazione contro misure cautelari reali.

Il sequestro preventivo può essere mantenuto anche se l’opera abusiva non è attualmente utilizzata?
Sì, la Corte ha chiarito che il sequestro è giustificato dalla persistenza fisica del manufatto abusivo e dalla concreta possibilità di un suo futuro riutilizzo. La restituzione del bene, senza una reale eliminazione dell’abuso, creerebbe un pericolo attuale di nuovi interventi illegittimi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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