Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6577 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6577 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a San Lorenzo del Vallo il 15/09/1953; avverso l’ordinanza del 29/05/2024 del Tribunale di Cosenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 maggio 2024, il Tribunale di Cosenza ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagato avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Castrovillari 1’11 aprile 2024, ad oggetto l’area demaniale marittima – costituita da una pineta, adiacente ad un’area legittimamente occupata, in forza di concessione balneare
dall’indagato, gestore del campeggio Thurium – catastalmente identificata dal foglio di mappa n. 23, particelle 26, 178, 179 e 300, per complessivi mq 33.685,00, e le opere in essa insistenti – quali: una struttura in legno a piano fuori terra, dotata di finestre, porta di ingresso, tetto in coibentato e climatizzatori, lungo tre lati della quale risultavano adagiate altrettante roulotte collegate tra loro e sigillate con poliuretano espanso che ne creava, di fatto, un ampliamento di superficie pari a 92 mq; 19 colonnine elettriche in plastica e metallo ancorate al suolo e dotate, ciascuna, di sei prese per approvvigionamento di corrente elettrica; 12 pali in metallo dotati di fari per l’illuminazione e diverse telecamere di videosorveglianza; 1 struttura in legno dotata di tetto di mq 10, sotto cui erano posizionati due bagni chimici – disposto in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 633 e 639-bis cod. pen., nonché 54 e 1161 cod. nav., ascritti all’indagato per avere realizzato, in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE in assenza di titolo concessorio suppletivo ex art. 24 del reg. cod. nav., innovazioni e variazioni strutturali non autorizzate, altresì occupando il suolo demaniale marittimo in assenza dell’autorizzazione rilasciata dall’Ente preposto.
2. Avverso l’ordinanza, l’indagato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con quattro differenti censure: a) la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sul rilievo che il Tribunale avrebbe illogicamente ritenuto sussistenti le condotte in contestazione, sebbene, al contrario, occorresse valorizzare altre circostanze; b) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, evidenziandosi al riguardo che la misura applicata avrebbe potuto giustificarsi nell’immediatezza dei fatti e non a distanza di tempo; c) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla scelta della misura cautelare applicata; d) il vizio di violazione di legge ed il connesso vizio di motivazione in relazione agli artt. 633 e 639-bis cod. pen., nonché artt. 81 cod. pen. e 54 d 1161 cod. nav., anche con riferimento agli artt. 24 reg. cod. nav. e 321, comma 2, cod. proc. pen.
Nella prima parte del ricorso, la difesa propone preliminarmente una ricostruzione dei fatti di causa.
Questi, a parere del ricorrente, traggono origine da un controllo della Guardia Costiera di Corigliano Calabro, avvenuto negli anni 2010-2012, e dal successivo sequestro preventivo di parte dell’area disposto nei confronti di tale NOME NOME NOME, precedente titolare del campeggio in questione, avendo riguardo, dunque, al medesimo contesto fattuale. Nello specifico, osserva la difesa come, in quell’occasione, il difensore di parte ricorrente si fosse lamentato del fatto che la Capitaneria di porto avesse proceduto ad acquisire la notizia di reato, entrando
all’interno della proprietà privata, senza procedere alla misurazione dei confini in contestazione. Più precisamente, si evidenziava che l’area oggetto di sequestro doveva essere considerata di proprietà privata, perché era stata restituita, nel 1983, all’originario proprietario, COGNOME Giuseppe, dal competente Assessorato regionale, ed era stata perciò legittimamente recintata dall’indagato stesso; situazione, questa, conosciuta dalla Capitaneria di porto, che non aveva mai riscontrato anomalie nei diversi sopralluoghi effettuati negli anni. Secondo la difesa dell’epoca, inoltre, la misurazione dell’area sarebbe stata scorretta perché avrebbe dovuto essere eseguita dalla battigia verso la pineta. Né si sarebbe tenuto conto di quanto rilevato dal consulente tecnico di parte, nel senso che l’area oggetto di causa non era normalmente interessata da mareggiate e non si poteva considerare, dunque, destinata agli usi pubblici del mare. Peraltro, dalla fotografia aerea allora in atti, si sarebbe dovuto desumere che il sistema informativo demaniale non aveva tenuto conto delle modifiche dello stato dei luoghi, con particolare riferimento all’arretramento del mare rispetto all’entroterra.
Ebbene, nel caso oggi in esame, il ricorrente richiama espressamente le argomentazioni spese nell’ambito del predetto procedimento, osservando come la situazione di fatto di riferimento non sia mutata nel corso del tempo: ora come allora, infatti, emergerebbe che, sin dal 2012, la particella n. 25 sarebbe di proprietà del Campeggio e non del demanio marittimo.
Ancora una volta, dunque, i giudici del riesame avrebbero erroneamente · ritenuto sussistente il fumus commissi delicti, omettendo altresì di considerare come, in ogni caso, nell’ambito di quel precedente sequestro, i sigilli non fossero mai stati violati e come le centraline e i cancelli di accesso fossero già state specificamente dissequestrate.
Secondo la difesa, peraltro, sbarrare i cancelli di accesso ad una spiaggia comporterebbe una duplice violazione di legge: la prima, attinente alla sicurezza delle persone ed alle norme del d.m. del 28 febbraio 2014; la seconda, concernente la sicurezza e l’incolumità della vita delle persone villeggianti, tenuto conto che il campeggio è situato in una fascia costiera attraversata da una folta pineta, nella quale le roulotte stazionano.
Mancherebbero, infine, la motivazione sul periculum in mora non potendosi ritenere sufficiente a tal fine il riferimento alla natura fungibile e facilment occultabile del bene in sequestro, con conseguente pericolo di indisponibilità del bene che potrebbe essere in uso alla collettività, atteso che, altrimenti, si ingenererebbe in materia un indebito automatismo – e un’adeguata valutazione in ordine alla proporzionalità della misura, la quale, introducendo un vincolo di indisponibilità di fonte giudiziaria, renderebbe inutilizzabile l’intera area, con evidente rischio di paralisi di un’attività già di per sé stagionale.
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In data 19 novembre 2024, la difesa dell’indagato ha depositato memoria, con la quale, insistendo nella già censurata violazione di legge, ribadisce la natura privata dell’area oggetto di sequestro.
Si afferma, inoltre, che tra le persone aventi diritto alla restituzione del bene sequestrato di cui all’art. 322-bis cod. proc. pen., rientrano non soltanto il proprietario ed i titolari di un diritto reale di godimento o di garanzia sul bene stesso, ma anche il soggetto che ne abbia il possesso o la detenzione e che, nella specie, mancherebbe in ogni caso la descrizione della condotta ipotizzata a carico dell’indagato, di talché l’ordinanza impugnata dovrebbe ritenersi viziata, in quanto priva di un suo requisito motivazionale essenziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È opportuno premettere che, a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argonnentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656). E nello specificare tale presupposto si è chiarito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, è ammissibile quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013, Rv. 254893), visto che, solo in questo caso può configurarsi la violazione di legge e, in particolare, la violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., che prescrive, a pena di nullità, l’obbligo di motivazione delle sentenze e delle ordinanze in attuazione del disposto dell’art. 111 Cost. Non possono, invece, formare oggetto di ricorso in cassazione le censure dirette ad evidenziare l’insufficienza, l’incompletezza, l’illogicità o la contraddittorietà della motivazione.
Ebbene, le doglianze formulate in questa sede, le quali reiterano le censure mosse davanti al Tribunale del riesame, esorbitano dai limiti entro cui è consentito esercitare il sindacato di legittimità ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., e per questo motivo devono essere dichiarate inammissibili. Il ricorrente, infatti, nell’articolazione dei motivi di doglianza, non lamenta una scorretta
interpretazione di norme; piuttosto si duole di una scorretta valutazione dei presupposti di fatto per l’applicazione del sequestro, limitandosi ad argomentazioni generiche e di carattere fattuale, in ogni caso precluse al sindacato di questa Corte.
1.1. Nel caso di specie, del resto, il Tribunale del riesame ha fornito una motivazione pienamente adeguata sia in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti che del periculum in mora, prendendo in considerazione tutti i profili essenziali.
In primo luogo, i giudici del riesame, sotto il profilo degli indizi di reato, hanno correttamente rilevato che l’indagato – il quale, in base all’originaria concessione, doveva occupare mq 11.500 di suolo demaniale marittimo mediante la posa di ombrelloni e sdraio, con annesse passerelle, area attrezzata a giochi, area verde e pavimentazione a secco, e i restanti mq 185 mediante area destinata a servizi, infermeria, bar ed altre strutture di facile rimozione – aveva in realtà effettuato innovazioni e variazioni strutturali non autorizzate – consistite, nello specifico, nella realizzazione della struttura costituente le cabine in due blocchi, posizionati in diverse aree in concessione, nonché nella realizzazione della copertura dell’area antistante il locale bar mediante la posa di una tettoia in legno di forma ottagonale, anziché tramite un pergolato di forma rettangolare – così occupando un’area, di circa 292 mq, ulteriore rispetto a quella oggetto della concessione demaniale di cui era titolare, pari a 185 mq; in secondo luogo, hanno rappresentato come, dagli atti delle indagini, non fosse emersa né la natura privatistica della pineta, né la sussistenza di alcun titolo autorizzativo o concessorio, dovendosi ritenere irrilevante a tal fine la circostanza che tale area fosse stata oggetto di una riconsegna al supposto originario proprietario COGNOME NOME da parte dell’Assessorato regionale nel 1983, dal momento che tale atto di riconsegna non teneva luogo di formale concessione d’uso di bene demaniale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Analoghe considerazioni valgono quanto al periculum in mora, in relazione al quale il provvedimento impugnato correttamente richiama, sia pur in maniera succinta, la complessiva valutazione svolta dai giudici in ordine al pericolo di aggravamento e di protrazione delle conseguenze del reato, derivante dalla libera disponibilità da parte dell’indagato delle aree occupate, stante, evidentemente, l’implicito riferimento al pericolo di incremento del carico urbanistico e di pregiudizio al territorio e all’ambiente relativo a tutte le aree interessate. In ciò risultando, peraltro, implicita anche la valutazione in ordine alla proporzionalità della misura.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/11/2024.