Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34652 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34652 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a NAPOLI COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a NAPOLI COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a NAPOLI COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a NAPOLI RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza in data 12/03/2024 del TRIBUNALE DI NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
sentito l’AVV_NOTAIO che, nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ha illustrato i motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento;
sentito l’AVV_NOTAIO che, nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE, si è associato alle conclusioni formulate dall’AVV_NOTAIO;
lette le note fatte pervenire dall’AVV_NOTAIO COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per il tramite dei loro procuratori speciali e con ricorsi congiunti, impugnano l’ordinanza in data 12/03/2024 del Tribunale di Napoli, che ha rigettato l’appello da loro presentato avverso l’ordinanza in data 19/01/2024 del G.i.p. del tribunale di Napoli, che aveva rigettato l’istanza di revoca del sequestro preventivo disposto dallo stesso G.i.p. in data 21/07/2023, in relazione ai reati di cui all’art. 648-ter cod. pen. e all’art. 648-ter.1 cod. pen…
Deducono:
1. Violazione di legge e inosservanza di norma processuale in relazione all’art. 240 cod. pen. e agli artt. 648-ter e 648-quater cod. pen., omessa motivazione, inosservanza dell’art. 407, comma 3, cod. proc. pen. che vieta l’utilizzazione degli atti d’indagine compiuti dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari.
Il ricorso muove dalla indicazioni della accuse sottese al sequestro preventivo e illustra i contenuti dell’istanza che aveva indotto gli interessati a rivolgere al g.i.p. l’istanza di revoca, sostanzialmente fondata su di una consulenza di parte e sui contenuti di alcuni messaggi WhatsApp dai quali -secondo l’assunto difensivoemergeva che -diversamente da quanto contestato nei capi d’imputazione- la fatturazione incriminata non era stata emessa per operazioni inesistenti, così che doveva ritenersi decaduto il costrutto accusatorio secondo cui il contratto di appalto stipulato con il RAGIONE_SOCIALE doveva considerarsi assolutamente simulato.
Si denuncia, quindi, il vizio di omessa motivazione o comunque apparente, in quanto il tribunale non si è avveduto che la principale doglianza aveva a oggetto l’astratta configurabilità del reato di cui all’art. 648-ter cod. pen., atteso che l’accusa era fondata sul presupposto della falsità delle fatturazioni, perché riferite a un appalto simulato, là dove, invece, era stata offerta la dimostrazione del contrario con le descritte indagini difensive.
Si assume che le argomentazioni difensive sono state disattese tramite la falsificazione del tenore degli atti proposti con l’appello, oltre che con argomentazioni non pertinenti con i motivi d’impugnazione, con argomentazioni fantasiose e menzognere oltre che viziate dalla mancata considerazione della documentazione prodotta.
Tutti tali profili vengono illustrati e compendiati.
I ricorrenti si dolgono anche della mancata considerazione della doglianza con cui si puntualizzava che il sequestro era stato eseguito per un valore pari a oltre tredici milioni di euro, mentre era stata offerta la prova che erano stati realizzati lavori per un valore pari ad almeno otto milioni, così che la confisca aveva un valore eccedente il valore del profitto eventualmente realizzato, non essendo ammissibili ingiustificate duplicazioni tra il profitto dei reati di riciclaggio e di autoriciclagg dovendosi limitare la confisca all’arricchimento aggiuntivo eventualmente
procuratosi.
Viene denunciata, infine, l’inutilizzabilità patologica di tutti gli atti d’indagin compiuti dopo il 23/10/2023, ossia in data successiva alla scadenza del termine di durata delle indagini preliminari.
Osserva che il tribunale ha respinto la doglianza facendo erroneo riferimento alla data di iscrizione degli indagati nel registro delle notizie di reato, mentre bisognava rivolgersi al pià recente orientamento di legittimità, che riconosce al giudice un potere di controllo circa il potere di iscrizione demandato alla discrezionalità del pubblico ministero, così potendosi rilevare la tardività di tale iscrizione.
Con nota difensiva pervenuta il 14/06/2024, la difesa segnala che il pubblico ministero-in data successiva alla pronuncia dell’ordinanza oggi impugnataha rivisto la propria impostazione accusatoria e, con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, in luogo dell’impiego di Euro 10.672.500,00 di provenienza illecita , ha contestato il riciclaggio (art. 648-bis c.p.) del minore importo di Euro 4.875.192,86 . Mentre, rispetto all’originario addebito di emissione di 14 fatture per operazioni (asseritamente) inesistenti , il P.M. ne ha contestate solo 5 ..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché propone questioni non consentite in sede di legittimità.
1.1. Il procedimento si inserisce in un più ampio contesto investigativo, riguardante principalmente il RAGIONE_SOCIALE, che nel costrutto accusatorio viene indicato come l’artefice e il fulcro di un complesso sistema fraudolento, attraverso il quale -a fronte di lavori inesistenti- venivano realizzati crediti d’imposta altrettanto inesistenti, in frode alla normativa del c.d. superbonus.
Da questo filone principale origina l’odierno procedimento.
Secondo l’ipotesi d’accusa, il RAGIONE_SOCIALE ha operato dei trasferimenti di denaro a favore di alcune società compiacenti e queste ultime, per giustificare tali flussi di denaro in entrata, emettevano false fatturazioni per operazioni inesistenti.
Tanto viene contestato agli odierni ricorrenti.
Proprio sull’effettiva esistenza di tali fatturazioni si concentra l’odierna impugnazione.
1.2. A tale proposito, il tribunale ha preso atto che l’istanza di revoca era fondata su di “un’articolata confutazione della falsità delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE“, sostenuta principalmente sulla base di una consulenza tecnica firmata dall’AVV_NOTAIO, attraverso la quale,
secondo i ricorrenti, era stato possibile appurare che l’85% delle fatture emesse in favore della RAGIONE_SOCIALE riguardavano opere effettivamente eseguite, per un valore di mercato pari a circa otto milioni di euro, così venendo meno l’ipotesi d’accusa, anche grazie alle dichiarazioni rese da undici committenti dello stesso RAGIONE_SOCIALE.
Il COGNOME tribunale COGNOME dava COGNOME conto, COGNOME inoltre, COGNOME dell’eccezione COGNOME di COGNOME inutilizzabilità dell’informativa della Guardia di RAGIONE_SOCIALE datata 11/12/2023, in quanto redatta in epoca successiva alla scadenza del termine di durata delle indagini preliminari.
Il tribunale, quindi, rigettava, anzitutto, l’eccezione d’inutilizzabilità osservando che l’informativa in questione era stata redatta in data 11/12/2023 e che l’iscrizione nominativa degli indagati nel registro notizie di reato era stata disposta con provvedimento del pubblico ministero in data 19/05/2023, in relazione ai reati di cui all’art. 8 decreto legislativo n. 74 del 2000 e all’art. 648-ter cod. pen.
Il ricorrente sostiene che -tuttavia- non si deve guardare alla data di iscrizione disposta dal pubblico ministero, dovendosi verificare che tale iscrizione non fosse -piuttosto- tardiva.
In realtà il tribunale ha fatto corretta applicazione dell’orientamento dominante nel regime della normativa previgente alla c.d. riforma Cartabia, da cui non si intende discostarsi, secondo il quale «Il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al giudice per le indagini preliminari sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407, comma 3, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del pubblico ministero che abbia ritardato l’iscrizione (Sez. 6 – , Sentenza n. 4844 del 14/11/2018 Ud., dep. 2019, Ludovisi, Rv. 275046 – 01).
In ciò la manifesta infondatezza della doglianza difensiva, in quanto in contrasto con un orientamento di legittimità assolutamente consolidato.
Quanto al tema della falsità delle fatturazioni, il tribunale l’ha ritenuta sussistente alla luce una serie di emergenze procedimentali, già considerate in sede di applicazione originaria del decreto di sequestro preventivo e ribadite nel provvedimento impugnato, con motivazione più che adeguata al fine di soddisfare il requisito del fumus commissi delicti.
A tale proposito va ricordato che, secondo l’orientamento più rigoroso di questa corte, «In tema di misure cautelari reali, il giudice, nel valutare il fumus commissi delicti, presupposto del sequestro preventivo, non può limitarsi all’astratta verifica della sussumibilità del fatto in un’ipotesi di reato, ma è tenuto
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V ……,
ad accertare l’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, indicativi della riconducibilità dell’evento alla condotta dell’indagato, pur se il compendio complessivo non deve necessariamente assurgere alla persuasività richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali», (Sez. 4 – , Sentenza n. 20341 del 03/04/2024, Balint, Rv. 286366 – 01).
Tale parametro è stato ampiamente soddisfatto dai giudici, che dalla pagina 7 alla pagina 17 -dopo avere rimarcato come le indagini difensive sopravvenissero a distanza di due anni dal provvedimento genetico- hanno spiegato le ragioni per cui gli elementi introdotti dalla difesa non avessero mutato il quadro indiziario, avendo riguardo alla tempistica delle operazioni e alla rilevanza dei pagamenti; alla scarsa attendibilità delle operazioni di sub-appalto, giustificate da fatturazioni anch’esse inverosimili rispetto alla tempistica delle loro operazioni; alla genericità delle intitolazioni delle fatture, senza alcun riferimento ad alcun immobile, contratto, cantiere, committente o pratica; all’esame della banca dati RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’assunzione dei lavoratori, che dimostrava una forza lavoro effettiva assolutamente inadeguata (inferiore a 19 lavoratori) rispetto a centinaia di cantieri aperti e -per di più- dislocati in regioni italiane lontane tra loro (Piemonte, Lombardia, Toscana, Campania e Calabria).
Sono stati quindi analizzati: gli andamenti dei flussi finanziari (par. 5.1.) e alcuni specifici aspetti dei rapporti RAGIONE_SOCIALE (par. 5.2.) (evidenziando che, per entrambi i temi, la difesa «nulla controbatteva e documentava, né nell’istanza di revoca, nè nell’atto di appello»); gli aspetti documentali (par. 5.3.).
Il tribunale si è altresì confrontato con i contenuti della consulenza COGNOME <8a1 par. 6) e ha ritenuto che i dati dianzi evidenziati fossero prevalenti rispetto a questi, in quanto complessivamente insufficienti allo scopo di neutralizzare l'ipotesi accusatoria, tanto più in sede di giudizio avente a oggetto il fumus commissi delicti e non i gravi indizi di colpevolezza.
Il Tribunale analizzava puntualmente i contenuti della consulenza e le raffrontava con i contenuti dell'informativa della Guardia RAGIONE_SOCIALE, spiegando le ragioni per cui riteneva quelli recessivi a fronte di questi.
Specificava che gli spunti difensivi potevano essere oggetto di successivi accertamenti istruttori incompatibili con un giudizio fondato sul mero fumus del reato.
Da tale (parziale) disamina dei contenuti del provvedimento impugnato emerge la manifesta infondatezza dell'assunto difensivo secondo il quale i giudici avrebbero reso una motivazione apparente, là dove, invece, risultano riscontrate ed esaminate tutte le deduzioni difensive, che sono state disattese sulla base di una motivazione puntuale che -in quanto tale- non può dirsi omessa.
Le deduzioni difensive, in realtà, non denunciano il vizio di violazione di legge, ma sono esclusivamente mirate ad attribuire alle proprie indagini difensive una valenza e decisività diversa e antagonista rispetto a quella ritenuta dai giudici, così prospettando valutazioni in fatto che sono inammissibili in questa sede di legittimità, con l'impugnazione di un provvedimento pronunciato in materia cautelare reale.
Va ricordato che «il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice», (Sez. 2 – , Sentenza n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).
Valutazioni di fatto che i ricorrenti sviluppano massimamente con riguardo all'esatto ammontare del profitto confiscabile, dedotto sulla base di argomentazioni che suppongono accertamenti ricostruttivi preclusi al giudice di legittimità.
A ciò si aggiunga che -per come peraltro evidenziato anche dal tribunale- il ricorso si concentra solo su taluni elementi, trascurando gli ulteriori molteplici elementi sui quali si fonda il giudizio di sussistenza del requisito del fumus commissi delicti, come sopra (in parte) richiamati.
Da ciò discende anche il difetto di specificità del ricorso, dovendosi ricordare che «In tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato», (Sez. 5, Sentenza n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Ud. (dep. 26/06/2013 ) Rv. 255568 – 01; Sez. 2 – , Sentenza n. 42046 del 17/07/2019,COGNOME, Rv. 277710 – 01).
da ultimo, va evidenziato come le determinazioni del pubblico ministero sopravvenute al provvedimento oggi impugnato non possono essere prese in considerazione da questa Corte, chiamata ad apprezzare la correttezza dell'ordinanza impugnata, parametrandola agli elementi che erano a disposizione del giudice al momento della decisione.
Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
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,• 5. .,
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27 giugno 2024 Il Consigliere estensore COGNOME
La Presidente