Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37195 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37195 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
SENTENZA COGNOME NOME COGNOME Un’
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Giussano il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/06/2025 del Tribunale di Como visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette per l’imputato le conclusioni scritte dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo voglia annullare il provvedimento emesso dal Tribunale del Riesame di Como nella parte in cui conferma il vincolo reale quantomeno con riferimento alle quote della società RAGIONE_SOCIALE, con le eventuali ulteriori statuizioni di rito.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12/06/2025, il Tribunale di Como, in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME – indagato per il reato di cui all’art. 2 d.lgs 74/2000 quale amministratore unico di “RAGIONE_SOCIALE– avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como in data 12/05/2025, revocava il decreto di sequestro limitatamente alle somme giacenti sui conti correnti intestati a RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e confermava nel resto il provvedimento impugnato.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione degli artt. 321 cod.pen. e 324 comma 5 cod.proc.pen. ed omessa motivazione.
Espone che con la richiesta di riesame il ricorrente aveva contestato il fumus del delitto presupposto del provvedimento reale nonchè la sussistenza del vincolo di pertinenzialità dei beni sottoposti a sequestro – con riferimento alle quote societarie della RAGIONE_SOCIALE – in relazione a condotte che il COGNOME avrebbe posto in essere quale amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE. Lamenta che il Tribunale aveva espresso una motivazione non condivisibile in ordine alla questione della sproporzione tra il valore dei beni sequestrati per equivalente alla RAGIONE_SOCIALE, beni nella disponibilità del COGNOME, motivazione basata sull’erronea applicazione del criterio di valutazione del valore dei beni sottoposti a sequestro; nello specifico, il Tribunale aveva utilizzato il criterio del valore nominale delle quote della società RAGIONE_SOCIALE , senza considerare il valore commerciale o anche solo catastale del patrimonio immobiliare della società.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 111 Cost. Lamenta che il Tribunale del riesame aveva posto a base della decisione l’attività investigativa del PM datata 3.6.2025, non presente all’interno del fascicolo al momento di esecuzione del sequestro e neanche al momento della notifica del provvedimento ex art. 415-bis cod.proc.pen. e neppure reso noto alla difesa nel corso dell’udienza del 12/6/2025; deduce la violazione dell’art. 430, comma 2, cod.proc.pen. e l’inutilizzabilità dell’atto di indagine del 3.6.2025 in forza del precetto AVV_NOTAIO previsto dall’art. 191 cod.proc.pen.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata nella parte in cui conferma il vincolo reale quantomeno con riferimento alle quote della RAGIONE_SOCIALE.
Il PG ha depositato requisitoria scritta; il difensore del ricorrente ha depositato memoria di replica ex art. 611 cod.proc.pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va osservato, in premessa, che l’art. 325 cod. proc. pen. prevede contro le ordinanze in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cassazione per sola violazione di legge. È vero, tuttavia, che la giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo” (art. 606, lett. b e c, cod.proc.pen.), sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Rv. 245093). E che ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, (così sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Rv. 254893).
Va, poi, ricordato che, in tema di sequestro preventivo, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del Tribunale del riesame o della Corte di cassazione non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, Rv.215840 – 01); non è necessario, quindi, valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018,Rv.273069 – 01), con la precisazione che il Giudice deve, comunque, verificare in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato, in quanto la “serietà degli indizi” costituisce presupposto per l’applicazione delle misure cautelari reali (Sez.6, n. 18183 del 23/11/2017, dep.24/04/2018, Rv.272927 – 01; Sez.5, n.3722 del 11/12/2019, dep.29/01/2020, Rv.278152 – 01).
In particolare, con riferimento all’ipotesi che qui ci occupa e, cioè, dell’emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente
del profitto del reato, è stato osservato che non occorre un compendio indiziario che si configuri come grave ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., ma è comunque necessario che il giudice valuti la sussistenza del fumus delicti in concreto, verificando in modo puntuale e coerente tutti gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato, in quanto la “serietà degli indizi” costituisce presupposto per l’applicazione delle misure cautelari reali (Sez.3, n.37851 del 04/06/2014, Rv.260945).
Nella specie, il fumus commissi delicti è stato correttamente valutato dal Tribunale, che, in aderenza alla imputazione ed alle risultanze istruttorie, ha rimarcato come i plurimi elementi fattuali emergenti dal quadro indiziario facessero emergere la fittizietà delle operazioni poste a base delle fatture indicate nei capi 1,2,3 dell’imputazione provvisoria (cfr pp. 6,7,8 dell’ordinanza impugnata).
Il fumus commissi delicti dei contestati reati di cui all’art. 2 d.lgs 74/2000, dunque, risulta sorretto da corretta e non apparente motivazione, in linea con principi di diritto che regolano la materia cautelare reale.
Con riferimento al periculum in mora, il Tribunale ha evidenziato come le argomentazioni contenute nel provvedimento genetico fossero specifiche e condivisibili, emergendo dalle risultanze istruttorie plurimi e rilevanti elementi dimostrativi del pericolo di dispersione delle disponibilità finanziarie introitate pe effetto delle condotte illecite (consistente entità delle risorse nella disponibili dell’indagato; lungo lasso di tempo in cui le condotte si erano protratte, inserimento dei fatti contestati in un più ampio sistema di frode fiscale).
Anche l’ulteriore presupposto applicativo della misura cautelare, dunque, risulta sorretto da corretta e non apparente motivazione, in linea con il principio di diritto affermato da Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848, secondo cui «Il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio; tale principio è applicabile nella specie, avendo chiarito questa Corte che il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, ex art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablatorio rispetto alla definizione del giudizio, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi la pericolosità alla mera natura obbligatoria della confisca, in assenza di previsioni di segno contrario: tra le tante, con riferimento alla confisca obbligatoria
tributaria (Sez. 3, n. 4920 del 23/11/2022, dep. 2023, Rv. 284313 – 01; Sez. 3, n. 25657 del 27/05/2022, non. mass).
A fronte di argomentazioni non apparenti e corrette in diritto, il ricorrente svolge deduzioni generiche, volte a sollecitare un inammissibile riesame delle risultanze istruttorie.
Nè coglie nel segno la censura afferente alla mancata valutazione del nesso di pertinenzialità dei beni sequestrati (quote societarie) con il reato contestato.
Va, infatti, ricordato che qualora – come nella specie – il sequestro preventivo sia prodromico alla confisca per equivalente, la circostanza che i beni oggetto del provvedimento cautelare siano o meno in rapporto di derivazione pertinenziale con i reati contestati, cioè che essi costituiscano o meno il profitto di esso ovvero che ne siano il diretto reimpiego, è fattore del tutto irrilevante ai fini della legitti del provvedimento stesso, essendo assoggettabili a confisca beni nella disponibilità dell’imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (Sez. 3, n. 26548 del 21/03/2025, non mass; Sez.3, n. 46709 del 28/03/2018, Rv. 274561 – 01; Sez. 6, n. 11902 del 27/01/2005, Rv. 231234).
Manifestamente infondata è, infine, la doglianza avente ad oggetto la proporzionalità della misura cautelare reale.
Il Tribunale del riesame, sulla base degli atti disponibili e, cioè dei verbali di sequestro, ha evidenziato che non risultava alcuna sproporzione tra il profitto del reato accertato dalla Guardia di Finanza ed il valore dei beni in sequestro, che anzi risultava inferiore alla somma indicata nel decreto di sequestro.
Trattasi di motivazione non apparente, non sindacabile nel merito in sede di legittimità, ed in linea con í principi affermati in materia da questa Corte.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, il Tribunale del riesame o dell’appello cautelare è organo sprovvisto di poteri istruttori e, quindi, salvi i casi di manifesta sproporzione tra il valore dei beni oggetto del provvedimento ablatorio ed il “quantum” del profitto del reato indicato nella richiesta al giudice per le indagini preliminari della pubblica accusa, non in condizione di compiere accertamenti diretti a verificare il rispetto del principio di proporzionalità (Sez.3, n. 29431 del 10/05/2019, Rv. 276272 – 01; Sez.3, n. 33602 del 24/04/2015, Rv. 265043 – 01; Sez.3, n. 19011 del 11/02/2015, Rv.263554 – 01.). Da tanto consegue l’affermazione che il destinatario del provvedimento di coercizione reale può presentare apposita istanza di riduzione della garanzia al pubblico ministero (che, in caso di mancato accoglimento, deve trasmettere la richiesta, corredata di parere ex art. 321, comma 3, cod. proc. pen., al giudice per le indagini preliminari), e, in caso di provvedimento negativo del giudice per le indagini preliminari, può impugnare l’eventuale decisione sfavorevole con l’appello cautelare (Sez.3, n. 29431 del 10/05/2019, Rv. 276272
01, cit; Sez.2, n. 17456 del 04/04/2019, Rv.276951 – 01; Sez.2, n. 26340 del 28/02/2018, Rv. 272882 – 01; Sez. 2, n. 36464 del 21/07/2015 Rv. 265057; Sez. 3, n. 37848 del 07/05/2014 Rv. 260149).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La doglianza è priva della necessaria specificità perché è formulata senza in alcun modo prospettare a questa Corte la possibile, ed in ipotesi, decisiva influenza degli elementi asseritamente inutilizzabili sulla complessiva motivazione posta a fondamento della affermazione di responsabilità.
Questa Corte, con orientamento (Sez.2, n.7986 del 18/11/2016, dep.20/02/2017, Rv.269218; Sez.6,n.18764 del 05/02/2014, Rv.259452;Sez. 4, n. 18764 del 5.2.2014, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2.10.2014, dep. 2015, Rv. 262011) che il Collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, osservato che, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità o la nullità di prova dalla quale siano stati desunti elementi a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’iden convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento.
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09/10/2025