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Sequestro preventivo: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una legale rappresentante di una società cooperativa contro un’ordinanza di sequestro preventivo. La decisione si fonda su plurimi motivi procedurali, tra cui la mancanza di una procura speciale per impugnare a nome della società, l’assenza di interesse ad agire per la stessa (non essendo stati sequestrati beni societari) e la manifesta infondatezza dei motivi addotti dalla ricorrente in proprio. La sentenza ribadisce i requisiti formali per l’impugnazione da parte di terzi e la sufficienza del ‘fumus commissi delicti’ per disporre il sequestro preventivo.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo: la Cassazione fissa i paletti per l’impugnazione

Il sequestro preventivo è uno strumento incisivo a disposizione dell’autorità giudiziaria, ma le vie per contestarlo sono rigidamente definite dalla legge. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 9325 del 2024, offre un’importante lezione sui requisiti procedurali per l’impugnazione, dichiarando inammissibile un ricorso per una serie di vizi formali e sostanziali. Analizziamo la decisione per comprendere quali sono le regole da seguire per non vedere la propria istanza rigettata.

I Fatti di Causa: Il Sequestro e l’Impugnazione

Il caso trae origine da un’indagine penale per reati fiscali, tra cui l’indebita compensazione di crediti d’imposta inesistenti (art. 10-quater D.Lgs. 74/2000), e altri illeciti. Il Giudice per le Indagini Preliminari aveva disposto un sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, per un valore di oltre 300.000 euro, colpendo i saldi attivi di un conto corrente intestato alla legale rappresentante di una società cooperativa per circa 18.500 euro.

La donna, agendo sia in proprio che in qualità di rappresentante della società, aveva impugnato il provvedimento davanti al Tribunale del Riesame, che aveva però rigettato la richiesta. Contro questa decisione, veniva proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi principali:
1. Violazione dei termini per il deposito dell’ordinanza da parte del Tribunale del Riesame.
2. Incompetenza territoriale del Tribunale che aveva emesso il decreto originario.
3. Carenza di gravi indizi di colpevolezza.
4. Mancanza di motivazione sulla sussistenza di un altro reato contestato (art. 483 c.p.).

L’Analisi della Corte: i motivi di inammissibilità del sequestro preventivo

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile sotto ogni profilo, distinguendo la posizione della società da quella della persona fisica.

Carenza di Interesse e Procura Speciale per la Società

Il ricorso presentato a nome della società è stato ritenuto inammissibile per due ragioni fondamentali:
* Carenza di interesse: Alla società non era stato sequestrato alcun bene. Il sequestro aveva colpito un conto corrente personale della legale rappresentante. Di conseguenza, la società non aveva un interesse concreto e attuale a impugnare il provvedimento.
Mancanza di procura speciale: Anche qualora avesse avuto interesse, il difensore non era munito di una procura speciale rilasciata dalla società per proporre il ricorso. La Corte ha ribadito un principio consolidato: i soggetti terzi rispetto all’indagato, che agiscono per tutelare un interesse di natura civilistica (come la restituzione di un bene), devono conferire al proprio avvocato una procura speciale, come previsto dall’art. 100 del codice di procedura penale. L’indagato, invece, è rappresentato ex lege* dal suo difensore, senza necessità di tale atto specifico per le impugnazioni ordinarie.

Infondatezza dei Motivi del Ricorso Personale

Anche i motivi presentati dalla ricorrente in proprio sono stati giudicati manifestamente infondati o generici.

* Termini del riesame: Il Tribunale aveva rispettato i termini. La decisione (il dispositivo) era stata assunta entro 10 giorni dalla ricezione degli atti, mentre la motivazione era stata depositata successivamente, ma ben prima del termine di 45 giorni che lo stesso collegio si era auto-assegnato, nel rispetto della normativa.
* Competenza territoriale: Il motivo è stato considerato generico. Il Tribunale aveva già spiegato che la competenza era radicata nel luogo di commissione del reato più grave (associazione per delinquere, art. 416 c.p.), che attraeva per connessione tutti gli altri reati contestati. La ricorrente non aveva fornito alcun argomento specifico per contestare questa affermazione.
Nozione di ‘Fumus Commissi Delicti’ nel sequestro preventivo: La Corte ha ricordato che, ai fini del sequestro preventivo, non sono necessari i ‘gravi indizi di colpevolezza’ richiesti per le misure cautelari personali. È sufficiente il cosiddetto ‘fumus commissi delicti’*, ovvero la semplice astratta sussumibilità del fatto contestato in una fattispecie di reato. Il Tribunale aveva adeguatamente motivato su questo punto, evidenziando che la società di consulenza che avrebbe dovuto erogare la formazione (generatrice del credito d’imposta) non era in grado di farlo, rendendo quindi inesistente il credito stesso.
* Carenza di interesse sull’ultimo motivo: L’ultimo motivo, relativo al reato di cui all’art. 483 c.p., è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse, poiché il profitto del reato da sequestrare derivava esclusivamente dalla consumazione del reato fiscale di indebita compensazione.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su un’applicazione rigorosa dei principi procedurali che governano le impugnazioni in materia di misure cautelari reali. La Suprema Corte ha inteso ribadire che l’accesso alla giustizia, specialmente in sede di legittimità, è subordinato al rispetto di requisiti formali non eludibili, posti a garanzia della funzionalità del sistema e della certezza del diritto. La distinzione tra la posizione dell’indagato e quella del terzo interessato è cruciale: mentre il primo gode di una rappresentanza legale automatica da parte del difensore, il secondo deve manifestare la propria volontà di agire attraverso un atto formale come la procura speciale. Inoltre, la sentenza ha riaffermato la differenza sostanziale tra i presupposti per le misure cautelari personali (gravi indizi) e reali (fumus), sottolineando come per il sequestro preventivo sia sufficiente una valutazione di mera verosimiglianza della commissione del reato.

Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un monito per chi intende contestare un sequestro preventivo. È essenziale verificare scrupolosamente la sussistenza di tutti i presupposti processuali prima di adire le vie legali. In particolare, occorre accertare: l’esistenza di un interesse diretto e concreto all’impugnazione; il corretto conferimento dei poteri al difensore, specialmente nel caso di soggetti terzi come una società; la formulazione di motivi di ricorso specifici e non generici, che si confrontino puntualmente con le argomentazioni del provvedimento impugnato. Ignorare questi aspetti conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali.

A quali condizioni una società terza può impugnare un sequestro preventivo?
Secondo la sentenza, una società, in quanto soggetto terzo portatore di un interesse civilistico, per impugnare un sequestro deve conferire al proprio difensore una procura speciale, come previsto dall’art. 100 c.p.p. Inoltre, deve avere un interesse concreto e attuale, che sussiste solo se il sequestro ha colpito beni di sua proprietà.

Per disporre un sequestro preventivo sono necessari i ‘gravi indizi di colpevolezza’?
No. La Corte ha ribadito che per le misure cautelari reali, come il sequestro preventivo, non è richiesta la sussistenza di ‘gravi indizi di colpevolezza’, necessari invece per le misure cautelari personali. È sufficiente il cosiddetto ‘fumus commissi delicti’, ovvero la astratta configurabilità di un reato nel fatto contestato.

Quali sono i termini che il Tribunale del Riesame deve rispettare per decidere sull’impugnazione di un sequestro?
Il dispositivo contenente la decisione deve essere depositato entro dieci giorni dalla ricezione degli atti. L’ordinanza completa di motivazione, invece, deve essere depositata entro trenta giorni dal deposito del dispositivo. Questo termine può essere esteso dal tribunale stesso, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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