Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34298 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3   Num. 34298  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME
avverso l’ordinanza del 19/3/2025 del Tribunale del riesame di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19/3/2025, il Tribunale del riesame di Roma rigettava la richiesta avanzata ex art. 324 cod. proc. pen. da RAGIONE_SOCIALE, terzo interessato, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 28/2/2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con riguardo ai reati di cui agli artt. 256, comma 1, lett. a), comma 2 e 137, commi 1 e 9, d. Igs. 3 aprile 2006, n. 152, contestati ad RAGIONE_SOCIALE, legale rappresentante della società, gestrice del centro di raccolta comunale-isola ecologica del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
 Propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, deducendo i seguenti motivi:
violazione di legge, per avere il Tribunale del riesame trascurato di rilevare la nullità del decreto di sequestro preventivo, emesso in difetto di una valutazione autonoma degli elementi rappresentati dal Pubblico Ministero. Il Collegio si sarebbe sostituito al G.i.p. quanto all’indicazione degli argomenti a fondamento della misura, non limitandosi, dunque, ad un intervento meramente integrativo; il provvedimento genetico, infatti, conterrebbe al riguardo una mera clausola di stile, ed il Tribunale avrebbe dovuto evidenziare la radicale assenza di motivazione, con conseguente nullità dell’atto;
la violazione di legge è poi dedotta quanto al fumus commissi delicti, che sarebbe stato riconosciuto in termini evidentemente errati, confondendo l’attività di consegna e trasbordo dei rifiuti con quella di gestione degli stessi e, in particolare, facendo malgoverno della previsione di cui all’art. 193, d. Igs. n. 152 del 2006. L’ordinanza, dunque, si reggerebbe su una motivazione apparente, che non terrebbe conto del legittimo utilizzo, da parte della società, dell’area prevista dalla norma appena indicata. Ancora, il Tribunale non avrebbe esaminato i documenti attestanti l’ampia interlocuzione tra la RAGIONE_SOCIALE e gli enti preposti al controllo dell’appalto (tra cui la RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE), diffusamente riportata, dalla quale emergerebbero l’assoluta correttezza dell’operato della prima, l’esecuzione dell’appalto ed il rispetto delle prescrizioni imposte (tra cui gli opportuni accorgimenti concernenti le operazioni di trasbordo che, non rientrando nell’attività di stoccaggio, non richiederebbero misure ulteriori). L’ordinanza impugnata, inoltre, conterrebbe una motivazione illogica quanto alle doglianze difensive circa la inesigibilità di una condotta alternativa, richiamando un irragionevole (per la società), possibile mancato rinnovo del contratto di appalto, ed omettendo di valorizzare adeguatamente numerosi elementi individuati dalla RAGIONE_SOCIALE a sostegno, per contro, della effettiva inesigibilità di un comportamento diverso (come da circostanze di fatto riportate alle pagg. 10-11). In forza di tutti questi argomenti, il ricorso conclude per l’illegittimi dell’ordinanza, in quanto l’attività di trasbordo non integrerebbe quella di trasRAGIONE_SOCIALE e raccolta rientrante nella fattispecie di cui all’art. 256, d. Igs. n. 152 del 2006 non emergendo, dunque, il fumus dei reati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Preliminarmente, la Corte rileva che, nelle more della celebrazione dell’udienza, con Pec del 13/6/2025 il difensore ha comunicato la rinuncia al ricorso qui in esame; il contenuto della stessa mail (rectius: dei suoi due allegati, quali la
procura speciale e la dichiarazione di rinuncia), tuttavia, non riguarda il ricorso medesimo, ma un altro (n. 15131/2025), proposto – in ordine alla stessa vicenda cautelare – in relazione ad una differente ordinanza del Tribunale del riesame (n. 212/2025) e chiamato – innanzi a questa Corte – all’udienza del 27/6/2025.
3.1. Con riferimento al procedimento n. 15877/2025, pertanto, non risulta depositata alcuna rituale rinuncia.
Nel merito, poi, l’impugnazione risulta manifestamente infondata.
Il primo motivo, che contesta al Tribunale di avere esercitato un potere concretamente sostitutivo dell’attività motivazionale del G.i.p., non meramente integrativo di questa, è privo di ogni concretezza e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
 In primo luogo, la censura non specifica quali passi dell’ordinanza impugnata esprimerebbero un tale intervento sostitutivo, né, tantomeno, quale decisivo rilievo gli stessi avrebbero sull’intero impianto argomentativo del provvedimento, apparendo, pertanto, una doglianza del tutto priva di ogni specificità.
6.1. In secondo luogo, si osserva che il Tribunale del riesame si è comunque pronunciato sulla questione, superandola con una motivazione non censurabile nei termini della assenza o della mera apparenza, gli unici consentiti dall’art. 325 cod. proc. pen. nell’ottica della violazione di legge. In particolare, l’ordinanza, dopo aver sottolineato il carattere (anche allora) generico del motivo, ha affermato che il decreto del G.i.p. doveva ritenersi “senza alcun dubbio insufficiente, ma non inesistente e come tale integrabile”; lo stesso provvedimento, peraltro, non poteva ritenersi mera riedizione della richiesta formulata dal Pubblico Ministero, non fosse altro che per una maggiore ampiezza rispetto a quest’ultima.
Il ricorso, di seguito, risulta inammissibile anche sulla seconda censura, che tende ad ottenere una nuova e differente valutazione del materiale raccolto in sede di indagini, quanto al fumus commissi delicti: in particolare, l’impugnazione contesta la lettura che il Tribunale ha compiuto di questi atti, specialmente quanto alle “interlocuzioni” che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe avuto con gli organi competenti in ordine alle problematiche intervenute nell’esecuzione del contratto di appalto, da ciò emergendo l’assoluta correttezza nell’operato della società e l’impossibilità di esigere un comportamento diverso. In questi termini, dunque, il ricorso si pone evidentemente al di fuori del rigoroso ambito di cui all’art. 325 cod. proc. pen. citato, in quanto, lungi dal concretamente riscontrare una motivazione assente o di sola apparenza, contesta nel merito la stessa struttura del provvedimento, che avrebbe confuso “l’attività di consegna e trasbordo di rifiuti con l’attività di gestione” di questi.
7.1. In senso evidentemente contrario ad una radicale mancanza di ogni apparato argomentativo, poi, la Corte evidenzia che il Tribunale del riesame, proprio in punto di fumus, si è invece dilungato con ampie e solide considerazioni, basate su specifici e ben individuati atti di indagine (contratto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE del 3/3/2022; servizio di controllo ambientale del 24/6/2024; esiti degli accertamenti con drone del 22/7/2024; ulteriore sopralluogo del 24/10/2024; situazione all’atto dell’esecuzione del vincolo, del 5/3/2025; immagini fotografiche). Ebbene, muovendo da questo ampio compendio documentale, che il ricorso non contesta affatto nei suoi contenuti, l’ordinanza ha confermato il fumus dei reati in rubrica, riscontrando che la società aveva utilizzato una determinata area per ampliare l’operatività dell’isola ecologica; ha superato la tesi difensiva legata alla presunta insufficienza dello spazio in cui quest’ultima si sarebbe trovata; ha negato fondatezza all’ulteriore tesi (riproposta in questa sede) secondo cui l’area in questione sarebbe stata utilizzata soltanto per attività di trasbordo dei rifiuti, da mezzi più piccoli ad al (la analitica descrizione dello stato dei luoghi, contenuta nel provvedimento, costituisce più che adeguato argomento su tale ultimo punto, non certo qualificabile come motivazione di mera apparenza).
7.2. Infine quanto agli argomenti difensivi, dunque evidentemente esaminati e congruamente trattati, il Tribunale ha valutato la “scriminante” rivendicata dalla ricorrente, quale l’inesigibilità di una condotta diversa a fronte dell’inerzia del RAGIONE_SOCIALE nel negare un’area più ampia. A questo proposito, ed ancora con una motivazione che di certo sfugge ai rigorosi ambiti dell’art. 325 cod. proc. pen., il Tribunale ha affermato, per un verso, che le condizioni di fatto dell’area stessa (ampiamente descritte e, si ribadisce, non contestate nel ricorso) non potrebbero comunque impedire l’adozione della misura cautelare reale, e, per altro verso, che la società avrebbe potuto rifiutare il rinnovo del contratto di appalto, qualora non fosse stata posta nelle condizioni di adempiere in termini di piena legittimità.
Da ultimo, la Corte rileva che il ricorso risulta inammissibile nella parte in cui richiama i documenti che attesterebbero le interlocuzioni tra la RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE: questi atti, invero, non possono evidentemente costituire oggetto di valutazione in questa sede, al pari, peraltro, degli ulteriori elementi riportati alle pagg. 10-11, oggetto di doglianze della società non “adeguatamente valorizzate” (specie in punto di condotte alternative), il cui profilo evidentemente risulta estraneo all’intervento della Corte di legittimità, a maggior ragione ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2025
Il C dsigliere estensore
Il Presidente