Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 311 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 311 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME GiuseppeCOGNOME nato a Orgosolo il 16/1/1973
avverso l’ordinanza del 7/5/2024 del Tribunale di Cagliari
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7 maggio 2024 il Tribunale di Cagliari ha confermato il provvedimento emesso il 12 aprile 2024 dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, con cui nei confronti di NOME COGNOME ai sensi
dell’art. 240-bis cod. pen., è stato disposto il sequestro della somma di euro 347.300 in ordine al delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 e ad altri reati.
Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge e omessa motivazione in ordine alle deduzioni difensive con cui era stata evidenziata l’assenza di riscontri in relazione ai reati ascritti al ricorrente.
2.2. Violazione di legge, per essere stata travisata la documentazione allegata dalla difesa al fine di dimostrare la legittima provenienza del denaro sequestrato e l’inesistenza della sproporzione tra la somma vincolata, le attività economiche di proprietà del ricorrente e il reddito familiare. In particolare, la memoria depositata e la consulenza di parte avrebbero fatto emergere che la somma di C 347.280,00, sequestrata il 27.9.2023 presso l’abitazione dell’indagato, era, in parte (per C 154.710,00), un saldo di cassa dell’attività del supermercato della società RAGIONE_SOCIALE, di cui il ricorrente è socio e amministratore legale, in parte (per 173.771,00), una giacenza di cassa del commercio all’ingrosso di altra ditta individuale del medesimo indagato, in parte (per C 18.819,00), il residuo derivante da attività agricole da lui svolte con la moglie NOME COGNOME, così che sarebbe infondata l’ipotesi accusatoria, secondo cui il denaro in oggetto era provento del narcotraffico. Il Tribunale avrebbe anche travisato i dati dei registri contabili, qual il libro mastro (ove i movimenti coincidenti con “avere” sono descritti come pagamenti avvenuti con il POS, ovvero non in contanti ma tramite strumenti contabili) e non avrebbe annullato il decreto di sequestro, pur se connotato da mancanza di motivazione in ordine alla ragionevolezza temporale tra l’acquisizione patrimoniale e la commissione del fatto di reato. Il sequestro di denaro sarebbe avvenuto a 16 mesi di distanza rispetto alla data in cui sarebbe stato commesso il reato spia (dicembre 2021 maggio 2022), tanto da rendere irragionevole la presunzione di derivazione del denaro da un’attività illecita, anche differente da quella per la quale il ricorrente risulta indagato, soprattutto alla luce dell’oggettiv sua capacità reddituale e del volume di affari delle sue attività commerciali. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3. Difetto di motivazione in ordine al periculum in mora, non risultando specificate le ragioni relative alla necessità dell’anticipazione dell’effetto ablatori rispetto alla definizione del giudizio. Il decreto si sarebbe limitato ad evocare una formula di stile e il Tribunale, anziché rilevarne la nullità, avrebbe inserito una sua motivazione anche se non poteva fare ciò.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è privo di specificità.
Il ricorrente, infatti, non si è confrontato con le argomentazioni del provvedimento impugnato, in cui, quanto al fumus commissi delicti, il Tribunale ha richiamato l’ordinanza di applicazione, nei confronti del medesimo ricorrente, della misura cautelare personale e ha indicato ulteriori elementi indiziari a sostegno sia della sua partecipazione all’associazione mafiosa e al sodalizio dedito al narcotraffico sia della sua commissione di singoli reati di detenzione di sostanza stupefacente del tipo marijuana, assolvendo così al proprio obbligo motivazionale.
3. Il secondo motivo non è consentito.
Va premesso che il ricorrente non è legittimato a dolersi della confisca della somma di € 154.710,00, atteso che egli non ha agito quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, a cui è riconducibile l’anzidetta somma.
Ciò posto, deve rilevarsi che, contrariamente a quanto lamentato nel ricorso, nel decreto di sequestro si dà conto della provenienza illecita del denaro sequestrato e, in particolare, del fatto che costituiva provento dell’attività d narcotraffico, legato alla coltivazione e alla successiva commercializzazione di consistenti quantitativi di marijuana. In tale provvedimento si evidenziano anche le ragioni del ritenuto periculum in mora, con la conseguenza che non vi erano i presupposti per dichiararne la nullità da parte del Tribunale del riesame.
La motivazione, formulata nel decreto, è stata poi condivisa e richiamata dal Tribunale, che, quanto al requisito della sproporzione tra il valore della somma rinvenuta nell’abitazione del ricorrente e le attività economiche a lui riconducibili, ha affermato, dopo avere analizzato tutte le deduzioni difensive, che era implausibile che la detenzione in casa di una così rilevante somma di denaro in contanti, peraltro suddivisa in diversi tagli, potesse essere riferita all’attività de società RAGIONE_SOCIALE, di cui il ricorrente è socio e legale rappresentante.
Il Tribunale ha esaminato in modo dettagliato anche i dati contabili, dandone una logica spiegazione e confrontandoli con le giacenze sui conti correnti bancari della società e l’ammontare dei versamenti, ritenuti sostanzialmente sovrapponibili ai ricavi, a supporto dell’inverosimiglianza della detenzione in casa di una somma di denaro non giustificata.
Per quanto riguarda il presupposto della ragionevolezza temporale, il Tribunale ha rilevato che il denaro rinvenuto era del tutto compatibile con l’attività di spaccio di stupefacenti, contestata all’indagato, anche dal punto di vista
temporale, posto che si trattava di reati commessi in un periodo di tempo antecedente di circa un anno rispetto alla data del sequestro e che era verosimile che l’associazione stesse accumulando il denaro contante per reimpiegarlo nel n a rcotraffico.
A fronte di siffatte argomentazioni – corrette, logiche ed esaurienti – le doglianze, messe a fuoco dal ricorrente, pur formalmente etichettate anche come violazione di legge, finiscono per refluire nell’alveo di un non consentito sindacato della motivazione del provvedimento impugnato e del merito, come tale non riconducibile al vizio di violazione di legge, che è l’unico devolvibile a questa Corte in materia di misure cautelari reali.
Costituisce ius receptum, infatti, quello secondo cui «il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli erro res in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice» (da ultimo, Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01).
4. Il terzo motivo è privo di specificità.
Posto che i provvedimenti di sequestro preventivo, finalizzati alla confisca “allargata” di cui all’art. 240-bis cod. pen., devono contenere una concisa motivazione in ordine alla sussistenza del periculum, illustrando, nel rispetto dei criteri di adeguatezza e di proporzionalità della misura reale, le ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio (Sez. U, n. 36959 del 24/6/2021, COGNOME, Rv. 281848; Sez. 5, n. 44221 del 29/9/2022, COGNOME, Rv. 283810), deve rilevarsi che il Tribunale ha adempiuto al suo obbligo motivazionale, avendo evidenziato che il periculum in mora era da ravvisare nel rischio del reimpiego delle somme in questione in ulteriori attività illecite.
5. In definitiva il ricorso è inammissibile e ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 5 novembre 2024.