Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22095 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22095 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 03/03/1971
avverso l’ordinanza del 17/12/2024 del TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 17/12/2024 il Tribunale di Napoli, decidendo in sede di annullamento con rinvio, rigettò l’istanza di riesame presentata nell’interesse di COGNOME Antonio con atto depositato il 5/4/2024 avverso il decreto di sequestro, adottato dal GIP del Tribunale di Napoli in 18/3/2024, avente a oggetto le opere abusive realizzate sull’area esterna di Villa d’Elboeuf, sita in Portici, alla v Peschiera, in relazione ai reati di cui agli artt. 54 e 1161 del cod. nav., 44 d.P.R. 380/01 e 181 d.lgs. 42/2004.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, che, con il primo motivo, denuncia la violazione degli art. 324 comma 5 e 124 cod. proc. pen. Si osserva che: il 3/10/2024 era stata adottata la sentenza rescindente; in data 11/10/2024, la Procura della Repubblica aveva trasmesso il fascicolo processuale alla cancelleria della Sezione del Riesame; nonostante le tre istante di sollecito della difesa, la trattazione del procedimento era stata fissata all’udienza del giorno 11/12/2014, poi differita al 17/12/2024. Si denuncia, quindi, che la decisione era intervenuta dopo la data del 21/10/2024 che avrebbe dovuto costituire il termine massimo entro il quale sarebbe dovuto intervenire il provvedimento del Tribunale del riesame. Si aggiunge la violazione del termine di legge non trova giustificazione della sentenza n. 51345 del 9/10/2018 della Corte di cassazione, richiamata nel provvedimento impugnato, essendo stata in quel procedimento annullata una decisione del Tribunale del Riesame che aveva valutato nel merito la richiesta di riesame, mentre nel caso di Gioia, la decisione del riesame annullata aveva dichiarato inammissibile l’istanza per difetto dell’interesse a impugnare.
2.1 Con il secondo motivo, si denuncia la violazione di legge sostanziale e processuale in relazione agli artt. 44 d.P.R. 380/2001, 54 e 1161 cod. nav. e 321 e 125 cod. proc. pen.
Si assume che la motivazione del Tribunale era meramente apparente e non dava risposta all’argomento che negava la sussistenza del fumus in relazione “a tutti i reati in contestazione e, in particolare, rispetto alla contestazione di all’art. 44 d.P.R n. 380/01 relativa alla piattaforma in cemento realizzata sulla particella catastale n. 425 che, difformemente da quanto si legge, graficamente riportata nella tavola grafica del progetto numero 13 (…), appare palesemente inclusa nel titolo abilitativo (permesso di costruire n. 78)…”. Si sostiene, quindi, richiamando una sentenza di questa Sezione (n. 1485 del 20/10/2021), che la parte della piattaforma insistente sulla particella 425, risultando previsa nel progetto approvato, doveva essere dissequestrata.
2.2 Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 54 e 1161 cod. nav. e degli artt. 321 e 125 cod. proc. pen. Si lamenta che il Tribunale non aveva tenuto in considerazione che la particella 194 era “tutt’altro che pacificamente attribuibile al demanio marittimo” per cui non vi era ragione per ritenere che la parte della piattaforma ricadente su tale particella insistesse su un’area demaniale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il riesame è inammissibile in quanto articolato in motivi non consentiti o manifestamente infondati.
Manifestamente infondato è il primo motivo, essendo pacifico nella giurisprudenza di legittimità che non trovi applicazione alle misure reali la previsione dell’art. 311 comma 5 bis cod. proc. pen. richiamando l’art. 324 cod. proc. pen., che disciplina il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti riguardanti misure cautelari reali, i commi 3 e 4, ma non anche il comma 5-bis, del citato articolo (Sez. 1, n. 39259 del 15/6/2017, COGNOME, Rv. 270752; Sez. 4, n. 51345 del 9/10/2018, COGNOME). Né, si comprenderebbe, alla luce del dato formale che sorregge le predette decisioni, perché l’annullamento di un provvedimento che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di riesame sarebbe soggetto a una disciplina differente da quella applicabile al giudizio di rinvio originato dall’annullamento di un provvedimento che aveva esaminato nel merito le doglianze difensive.
Venendo agli ulteriori motivi, in via preliminare, deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte (cfr. ex plurinnis Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606 cod proc. pen. (in tal senso Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.c. COGNOME in proc. COGNOME, Rv. 226710 – 01).
Tanto premesso, deve ritenersi che, nel caso di specie, non sussistono né una violazione di legge né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del riesame adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione di conferma del sequestro preventivo adottato dal G.I.P.
Il provvedimento impugnato dà atto che:
sulle particelle 416, 495 e 194 erano state realizzate piattaforme di cemento delle “dimensioni complessive di 612”;
la CNR era stata redatta a seguito del sopralluogo effettuato in data 11/3/2024 da “alcuni appartenenti alla Polizia Locale e dell’UTC del Comune di Portici, unitamente a rappresentanti della Capitaneria di Porto di Torre del Greco e della Soprintendenza Beni Archeologici, Belle arti e Paesaggio” che avevano proceduto a comparare “i grafici autorizzati e lo stato dei luoghi” giungendo alla
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conclusione che le piattaforme insistente sulle predette particelle catastali non erano state autorizzate;
i soggetti che avevano proceduto al sopralluogo erano altamente qualificati dal punto di vista tecnico, essendo intervenuti oltre agli ufficiali della Capitaneri di porto gli architetti COGNOME e COGNOME della Soprintendenza, nonché gli arch. COGNOME e Estatico dell’UTC.
Il Tribunale ha, quindi, spiegato gli elementi utilizzati nel ragionamento probatorio che sorreggevano la decisione mentre le censure difensive, afferendo alla prospettata maggior significatività di elementi probatori che si assume confliggenti, potrebbero, nella più favorevole delle ipotesi, configurare un vizio della motivazione nelle forme della manifesta illogicità o del travisamento della prova ma non una motivazione apparente.
L’oggetto dei provvedimenti autorizzatori intervenuti è stato, infatti, definito dal Tribunale mediante l’utilizzazione di elementi probatori effettivamente esistenti, cui la difesa contrappone altri elementi, ritenuti di maggior pregnanza, ma la cui decisività è tutt’altro che palese, non rinvenendosi nella sezione BB della tavola grafica n. 13 richiamata ed allegata dal ricorso, l’unica che rappresenti il mare, la piattaforma ritenuta abusiva. Nella motivazione del Tribunale, quindi, non è riscontrabile alcun omesso esame su aspetti essenziali oggetto delle censure difensive ma valutazioni (nel pur sommario scrutinio che connota la fase) sulla valenza significativa da attribuire alle diverse prove che divergono da quelle della difesa.
Va ancora aggiunto che al CED della Corte di cassazione, utilizzando i riferimenti forniti dalla difesa, non si rinviene la pronuncia indicata in ricorso 1485 del 20/10/2021) e, in ogni caso, non si vede come il principio di diritto a essa attribuito possa trovare applicazione al caso in esame, risultando, dalle foto allegate al ricorso, la piattaforma un organismo edilizio unitario.
Il Tribunale, ancora, sottolinea che il nulla osta della Soprintendenza imponeva:
che le opere insistenti sull’area INDIRIZZO dovessero essere precedute da accurati saggi esplorativi, dovendosi ritenere l’autorizzazione a carattere provvisorio;
“l’utilizzo della muratura in tufo e delle strutture in legno per i solai” nonch per gli spazi esterni al corpo di fabbrica e il “recupero del basolato esterno”;
anche per le opere necessarie alle esigenze di cantiere, il rilascio di specifiche autorizzazioni.
Nella ricostruzione del Tribunale tali prescrizioni non risultano essere state rispettate e tali violazioni costituiscono ulteriori profili idonei a integrare i contestati.
Tali profili, però, risultano ignorati dal ricorso.
Aspecifico e, comunque, manifestamente infondato risulta anche il terzo motivo del ricorso che contesta l’argomento del Tribunale che, dopo aver giustificato il vincolo con la mancata ultimazione delle opere, aveva, ad abundantiam, richiamato la natura permanete del reato di cui all’art. 1161 cod. della nav. per confutare la tesi difensiva prospettante l’ultimazione dell’intervento e, quindi, l’insussistenza del periculum in mora, sostenendo che in ordine alla particella n. 194 non era certa la demanialità. In relazione al periculum, quindi, il ricorso contesta solo uno degli argomenti esposti dal Tribunale per dimostrare la sussistenza del presupposto abbandonando all’oblio quello relativo alla non ultimazione delle opere. L’ammissibilità del motivo, quindi, trova ostacolo nel principio di diritto secondo cui, in presenza di più rationes decidendi autonome ed autosufficienti, manca di specificità, ed è pertanto inammissibile, il ricorso che si limiti ad attaccare solo alcune di esse, ignorando le altre (Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, n. m.; seguita da Sez. 3, n. 2754, del 6/12/2017, Rv. 272448).
La censura difensiva risulta anche manifestamente infondata. Il Tribunale ha dato atto che la particella 194 era in parte sommersa dal mare e, quindi, che solo la rimanente parte poteva ritenersi oggetto del decreto di trasferimento del Tribunale civile in favore della INVEST. Una tale affermazione non è smentita dalle pagine della relazione dell’arch. COGNOME allegate al ricorso che, dando atto che il ristorante-trattoria che insisteva sulla particella era realizzato su palafi conferma che, almeno in parte, la particella era ormai sommersa dal mare, così sottraendo, avuto riguardo agli stringenti limiti del sindacato di legittimità sul ordinanze riguardanti misure cautelari reali, il provvedimento impugnato alle censure difensive.
Il ricorso risulta pertanto inammissibile, seguendo a tale esito, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese processuali.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa del
Ammende
Così deciso il 14/5/2025