Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23520 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23520 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Frascati il 27/12/1984
avverso l’ordinanza del 16/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
sentito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Roma, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata il giorno 11 febbraio 2025, il Tribunale del riesame di Roma ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Velletri confronti d NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 648-ter cod. pen., e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
1.1. Quanto al fumus commissi delicti, analizzando le conversazioni intercettate i giudici della cautela hanno ritenuto provato il coinvolgimento del COGNOME in ripetute cessioni di sostanza stupefacente del tipo cocaina, in favore di NOME COGNOME nel mese di giugno 2023.
Escluso il fumus quanto al reato di cui all’art. 648-ter cod. pen., gli orologi e il denaro contante (euro 19.650) sono stati sequestrati ai sensi degli artt. 73, comma 7-bis, e 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, dunque sia quale profitto del reato sia perché di beni di valore sproporzionato rispetto al reddito.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione l’indagato, a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione della legge processuale penale, lamentando l’inutilizzabilità delle attività di indagine, poiché compiute oltre termine di durata di cui all’art. 405 cod. proc. pen.
Osserva al riguardo che NOME COGNOME fu iscritto nel registro delle notizie di reato il 21 ottobre 2022, e che la richiesta di proroga ex art. 406 cod. proc. pen., poiché intervenuta in data 3 maggio 2023, doveva pertanto ritenersi tardiva.
La conseguente inutilizzabilità ex art. 407, comma 3, cod. proc. pen., quindi, avrebbe dovuto travolgere quelle attività di indagine per effetto delle quali si è giunti alla identificazione del COGNOME, che era risultato in contatto con l’COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione della legge processuale penale, in relazione all’art. 355 cod. proc. pen., in quanto la polizia giudiziari sottoponeva a sequestro anche due orologi e del denaro contante, in alcun modo menzionati nel decreto di sequestro.
Decreto che non fu poi convalidato dal Giudice per le indagini preliminari, il quale, senza restituire i beni all’avente diritto, ne dispose il sequestro preventivo.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione della legge processuale penale, in relazione agli artt. 321 e 324, comma 7, cod. proc. pen., nella parte in cui il provvedimento impugnato reputa irrilevante il vincolo pertinenziale con il reato.
Quanto al rapporto di sproporzione, gli orologi furono acquistati tra il 2019 ed il 2020, e dunque difetta ogni correlazione temporale con gli illeciti (in ipotes
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consumati nel 2023), mentre la derivazione lecita delle somme di denaro si desume dall’attività lavorativa svolta dal ricorrente (dipendente di una società amministrata dalla madre).
Infine, manca la motivazione in ordine al c.d. periculum in mora, in aperto contrasto con il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite della Corte d cassazione.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione orale, e le parti hanno formulato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va subito osservato che, ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692 – 01; conf., Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656 – 01).
Non vi rientra invece l’illogicità manifesta, la quale può essere denunciata nel giudizio di legittimità soltanto attraverso lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 2 del 28/01/200 Ferrazzi).
Dunque, allorquando, come nella specie, il ricorso per cassazione sia limitato alla sola violazione di legge, va esclusa la sindacabilità del vizio di manifesta illogicità mentre è possibile denunciare il vizio di motivazione apparente, ovvero la violazione dell’art. 125, comma, 3 cod. proc. pen., che impone l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 224611 – 01).
Quest’ultimo vizio è ravvisabile allorché la motivazione sia completamente priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, oppure le linee argomentative siano talmente scoordinate e privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento (Sez. U, COGNOME, cit.).
1.1. Ciò posto, e venendo all’esame del ricorso, il primo motivo è inammissibile poiché reiterativo e manifestamente infondato.
Rispondendo all’analogo motivo proposto con la r .ichiesta di riesame, il Tribunale ha evidenziato che l’iscrizione nel registro delle notizie di reato è stata effettuata il 9 novembre 2022, come del resto emerge dall’esame degli atti, cui ha provveduto questa Corte quale giudice del fatto processuale (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 – 01; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 255304 – 01).
D’altra parte, a fronte di tale motivazione il ricorrente si limita a riproporr la censura già adeguatamente scrutinata dal Tribunale.
1.2. Il secondo motivo è in parte aspecifico ed in parte manifestamente infondato.
Va subito esclusa rilevanza alcuna, nel caso in esame, alla fattispecie di cui all’art. 648-ter cod. pen. su cui si appuntano taluni rilievi (ad es., p. 7 ricors poiché esclusa già dal Giudice per le indagini preliminari.
Lamenta poi il ricorrente un vizio del provvedimento di sequestro disposto dalla polizia giudiziaria, poiché intervenuto su beni non riconducibili all’originari decreto di perquisizione del pubblico ministero.
Costituisce ius receptum il principio secondo cui il sequestro probatorio operato dalla polizia giudiziaria non necessita di convalida da parte del Pubblico Ministero se meramente esecutivo delle specifiche disposizioni contenute nel decreto di perquisizione e sequestro.
In caso contrario, se cioè la polizia giudiziaria sequestra beni ulteriori è sempre necessaria la convalida ex art. 355 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 42517 del 15/10/2021, Soave, Rv. 282208 – 01; Sez. 4, n. 8867 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 278605 – 02; Sez. 5, n. 4263 del 15/12/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233625 – 01).
Nella specie, tuttavia, si è in presenza di un sequestro disposto d’urgenza dalla polizia giudiziaria, che in relazione al denaro ed agli orologi, è stato qualificat come preventivo dal Pubblico ministero (prima) e dal Giudice per le indagini preliminari (poi).
Spetta infatti al pubblico ministero la qualificazione giuridica del sequestro operato dalla polizia giudiziaria, che ha poteri di sequestro in via di urgenza sia ai fini probatori che ai fini preventivi (Sez. 4, n. 21000 del 26/04/2016, COGNOME, Rv. 266863 – 01; Sez. 3, n. 26916 del 14/05/2009, COGNOME, Rv. 244241 – 01): di conseguenza, nel caso del sequestro probatorio il pubblico ministero dovrà procedere direttamente alla convalida, mentre invece nel caso del sequestro preventivo la dovrà richiedere al giudice, come accaduto nel caso in esame, ove,
ai sensi dell’art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen., il Pubblico ministero ha chiesto la convalida, non ritenendo di disporre la restituzione delle cose sequestrate in via preventiva, nonché l’emissione del provvedimento di sequestro.
Non appare quindi pertinente il richiamo agli artt. 253 e 355 cod. proc. pen., fermo restando che i beni della cui apprensione ci si lamenta sono stati ritenuti profitto del reato (p.1 ordinanza impugnata), secondo la nozione desumibile dallo stesso art. 253, commi 1 e 2, cod. proc. pen.
Il fatto poi che il pubblico ministero sia già intervenuto nel procedimento, per essere già in corso indagini relativamente agli stessi fatti, non è di ostacolo a che la polizia giudiziaria disponga il sequestro preventivo nei casi in cui, non è possibile attendere il provvedimento del pubblico ministero; ciò sia nelle ipotesi in cui gli ufficiali di polizia giudiziaria agiscano di loro iniziativa, sia in quelle operino eseguendo compiti loro affidati dall’autorità giudiziaria, nel corso dei quali devono poter fronteggiare una situazione imprevista (Sez. 2, n. 31451 del 21/09/2020, Prassede, Rv. 280031 – 01, in un caso, analogo a quello per cui si procede, in cui la Corte ha ritenuto corretto il sequestro di beni di interesse storico, archeologico ed artistico, per violazione dell’art. 176 d.lgs. n. 42 del 2004, eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria, nel corso di una perquisizione delegata finalizzata alla ricerca di un quadro, in relazione al diverso reato di cui all’art. 6 cod. pen.).
Quanto invece alla mancata restituzione, il Collegio richiama l’orientamento, che condivide, secondo il quale in materia di sequestro preventivo d’urgenza ordinato dal pubblico ministero o disposto dalla polizia giudiziaria, la caducazione della misura dovuta alla mancata convalida per inosservanza dei termini non preclude al giudice il potere di imporre ugualmente il vincolo reale (Sez. 5, n. 21920 del 04/05/2010, COGNOME, Rv. 247309 – 01; cfr., anche Sez. 6, n. 29960 del 06/07/2022, COGNOME, Rv. 283881 – 01).
È stato osservato, infatti, che i termini previsti dall’art. 321, comma 3-ter, cod. proc. pen. riguardano l’ordinanza di convalida, non il decreto di sequestro, per cui l’eventuale mancata restituzione non rende invalido il decreto di sequestro pur tardivamente sopravvenuto; sequestro che potrebbe intervenire anche dopo la restituzione dei beni (così, in motivazione, Sez. 5, COGNOME, cit.).
1.3. Il terzo complesso motivo è inammissibile.
Va subito osservato che i plurimi riferimenti (pp. 8 e 9 ricorso) al sequestro preventivo di tipo impeditivo appaiono aspecifici, essendosi proceduto a disporre il vincolo in vista della confisca ai sensi degli artt. 73, comma 7-bis, e 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
1.3.1. Ciò posto, con un recente intervento questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha chiarito che la confisca del denaro che costituisce il
prezzo o il profitto del reato è diretta se vi è la prova del nesso di derivazione del denaro dal reato (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287756 – 02; cfr., anche par. 19 considerato in diritto).
In difetto, la stessa deve essere considerata come confisca per equivalente, non potendosi far discendere la qualificazione dell’ablazione dalla natura del bene che ne costituisce l’oggetto.
In ogni caso, l’obbligo motivazionale del giudice, con riguardo al sequestro funzionale alla confisca, deve essere modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agli elementi acquisiti (conf., Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848 – 01).
Nella specie il Tribunale, analizzando le argomentazioni difensive (pp. 3 e 4 ordinanza impugnata), ha indicato, seppur con le peculiarità della fase procedimentale, le ragioni per le quali deve ritenersi la derivazione del denaro ma anche degli orologi – dal reato, avuto riguardo al contenuto delle conversazioni (con specifici riferimenti ai guadagni del COGNOME, alle partite di droga movimentate ed alla frequenza degli scambi), alle modalità di rinvenimento ed alla percezione di redditi incompatibili con tali disponibilità.
Sicché, non si è in presenza di una motivazione mancante o apparente ovvero gli unici vizi rilevabili ex art. 325 cod. proc. pen. – posto che il Tribunale ha esplicitato le ragioni della propria decisione, confrontandosi con le argomentazioni difensive.
1.3.2. Quanto alla c.d. confisca per sproporzione, disposta ex art. 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (che rinvia all’art. 240-bis cod. pen.), anche in questo caso con motivazione non certo apparente, il Tribunale ha indicato le ragioni per le quali i beni rinvenuti nella sua disponibilità appaiono di valore del tutto sproporzionato rispetto ai redditi documentati, di cui sono state analizzate la genesi e la consistenza, giungendo alla conclusione che si tratta di redditi appena sufficienti al mantenimento del COGNOME e della famiglia.
A fronte di tali argomentazioni il ricorrente si limita a sollecitare una non consentita rivisitazione degli elementi di fatto scrutinati dal Tribunale.
1.3.3. Ad analoghe conclusioni deve giungersi in relazione alla cosiddetta ragionevolezza temporale tra acquisto del bene e commissione del reato.
Va premesso al riguardo che il criterio di temperamento della “ragionevolezza temporale” fra le acquisizioni patrimoniali e l’attività illecita non s estende alla confisca per equivalente (Sez. 6, n. 35789 del 10/07/2024, Russo, Rv. 286974 – 01): si tratta, infatti, di un principio che la giurisprudenza ha elaborato con riferimento alla confisca cosiddetta “allargata” ai sensi dell’art. 240bis cod. pen., al fine di circoscrivere la presunzione di illegittima acquisizione.
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Osserva inoltre il Collegio che il ricorrente sul punto lamenta un difetto di motivazione, ed in tal modo non si confronta con le argomentazioni del Tribunale, il quale ha sottolineato come dall’analisi dei dialoghi intercettati si desume, a livell di fumus, che il COGNOME avesse avviato il traffico di stupefacenti in epoca anteriore al 2023, data di accertamento dei reati (p. 4 ordinanza impugnata).
1.3.4. Inammissibile poiché aspecifico il motivo di ricorso nella parte in cui si intende “contestare la sussistenza del fumus del reato ed il periculum in mora” e ciò anche a prescindere dagli incongrui riferimenti ai reati di ricettazione e riciclaggio, nonché alla posizione del terzo inciso dalla cautela reale (pp. 11 e 12 ricorso).
In punto di fumus, in questa sede è quindi sufficiente rinviare all’ampia analisi effettuata dal Tribunale, attraverso l’analisi dei dialoghi intercettati e de ulteriori risultanze (pp. 2 e ss.).
Neppure in relazione al periculum in mora si è in presenza di una motivazione mancante o apparente – ovvero gli unici vizi rilevabili ex art. 325 cod. proc. pen. – posto che il Tribunale ha esplicitato le ragioni della propria decisione (p. 4), confrontandosi con le argomentazioni difensive, ed indicando gli elementi da cui ha desunto il pericolo di dispersione dei beni e, quindi, la necessità di procedere all’anticipazione degli effetti della confisca.
Così facendo, a dispetto di quanto immotivatamente sostenuto dal ricorrente, il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte, nella sua più autorevole composizione, secondo cui il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione d giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege (Sez. U, n. n. 36959 del 24/6/2021, Ellade, Rv. 281848 – 01).
Inoltre, osserva il Collegio che le censure relative alla solvibilità del ricorrent si traducono nella (non consentita) prospettazione di vizi riguardanti la tenuta logica della motivazione, a fronte di un percorso argomentativo in cui si è dato conto, pur sinteticamente, degli indicatori fattuali da cui inferire il rischi dispersione del patrimonio.
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 7 giugno 2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 4 giugno 2025
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