Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 17464 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 17464 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TARANTO il 25/04/1954
avverso l’ordinanza del 19/12/2024 del TRIB. LIBERTA’ di TARANTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 19 dicembre 2024 il Tribunale per il riesame di Taranto, in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Taranto in data 2 dicembre 2024 limitatamente ai monili in oro e gioielli con smeraldi e diamanti sequestrati al prevenuto, invece confermando il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, disposto ai sensi dell’art. 321, commi 1 e 2, cod. proc. pen., di una somma di denaro contante, suddivisa in banconote di vario taglio, di importo pari a euro 129.600,00, contenuta in una cassetta di sicurezza la cui chiave era stata rinvenuta nella disponibilità dell’indagato. Tale somma era stata ritenuta, infatti, il profitto del delitto di cui agli artt. 81, 112, comma 1 n. 1, 603-bis, commi 1 n 1, 2, 3 n. 1, 4 n. 1 cod. pen. – contestato al prevenuto al capo 3) di incolpazione, unitamente ai reati di cui agli artt. 416 cod. pen. (capo 1) e 81, 112, comma 1 n. 1, cod. pen., 12, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (capo 2) -.
1.1. Il Tribunale di Taranto ha, in particolare, rigettato la richiesta riesame del sequestro preventivo dell’indicata somma di denaro nella ritenuta concreta e attuale ricorrenza del fumus commissi delicti della fattispecie prevista dall’art. 603-bis cod. pen., ritenendo che il COGNOME avesse la detenzione dell’indicata somma in quanto soggetto tenuto alla cura dell’incasso dei proventi derivanti dall’illecita attività svolta dal sodalizio criminoso di cui era parteci consistente nell’intermediazione e nello sfruttamento illecito del lavoro, posto in essere favorendo la permanenza illegale di cittadine extracomunitarie clandestine sul territorio nazionale allo scopo di sfruttarne il relativo lavoro badanti collocate presso famiglie italiane.
Il giudice del riesame ha, più specificamente, desunto la pertinenzialità della somma sequestrata rispetto all’illecita attività svolta, dando soprattutto rilievo: alla modalità di conservazione del denaro, suddiviso in 12 pacchetti all’interno di una cassetta di sicurezza; al quantitativo ingente di denaro sequestrato, peraltro presente interamente in contanti; all’impossibilità di ritenere che le disponibilità finanziarie del COGNOME, considerate le proprie fonti guadagno, potessero essere compatibili con il possesso di una così elevata somma di denaro; all’incapacità da parte del prevenuto di imputare il possesso del denaro all’espletamento di una qualsiasi attività di natura lecita.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME AngeloCOGNOME a mezzo del suo difensore, deducendo, due motivi di doglianza, con il primo dei
quali ha eccepito violazione degli artt. 606 lett. b) e d) cod. proc. pen., pe carenza dei presupposti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 321, commi 1 e 2, cod. proc. pen. ovvero del nesso di pertinenzialità tra le somme di denaro rinvenute nella cassetta di sicurezza nella sua disponibilità e il reato di cui all’art. 603-bis cod. proc. pen.
A dire del ricorrente, infatti, il disposto sequestro avrebbe natura prettamente impeditiva ex art. 321, comma 1, cod. proc. pen., per cui la motivazione resa dal Tribunale per il riesame non avrebbe evidenziato, in maniera logica e congrua, le ragioni di pertinenzialità della somma di denaro sottoposta a vincolo al contestatogli reato di cui all’art. 603-bis cod. proc. pen., risultando invece comprovata, in termini diametralmente opposti, la provenienza lecita dell’indicata somma.
NOME COGNOME, infatti, avrebbe lavorato per circa quaranta anni come agente di commercio, percependo il conseguente reddito da lavoro autonomo (per un complessivo importo superiore a euro 400.000,00), mentre a oggi riceve una pensione mensile pari a euro 1.400,00 mensili. E’ un soggetto anziano che vive solo in una casa in affitto, senza coniuge né figli, per cui la suddetta somma rappresenterebbe il risparmio di un’intera vita di lavoro.
Trattasi, peraltro, di somma non confiscabile, tenuto altresì conto del fatto che, per come emerso dalle risultanze probatorie, l’attività illecita avrebbe riguardato solo sei donne di nazionalità giorgiana, di cui quattro clandestine e due regolari, che avrebbero subito una illegittima decurtazione di soli 150,00 euro mensili per un arco temporale limitato e risalente, tanto da ingenerare un profitto palesemente irrisorio, del tutto incompatibile con l’ingente somma di denaro sequestrata.
Con la seconda censura il ricorrente ha eccepito violazione degli artt. 606 lett. b) e d) cod. proc. pen., e in particolare degli artt. 321 e 130 cod. proc. pen lamentando che nel decreto di sequestro preventivo del G.I.P. del Tribunale di Taranto del 2 dicembre 2024 vi sarebbe stata un’errata indicazione delle sue generalità, e in particolare della propria data di nascita, viceversa, poi, correttamente indicata nell’impugnata ordinanza del Tribunale per il riesame di Taranto del 19 dicembre 2024.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
2. Con riguardo all’introduttiva doglianza, deve essere osservato, infatti, come ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., le ordinanze emesse dal Tribunale del riesame all’esito del procedimento regolato dall’art. 324 cod. proc. pen. possono essere impugnate per cassazione unicamente per violazione di legge. Sulla base dell’interpretazione resa da questa Corte di legittimità, il sintagma «violazione di legge» va inteso come riferito agli errores in iudicando ovvero agli errores in procedendo (art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen.) commessi dal giudice di merito, la cui decisione risulti di conseguenza radicalmente viziata. E’ stato, poi, precisato che il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dall’organo investito del procedimento (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692-01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 26965601); non rientrando, quindi, nell’ambito dei vizi deducibili quello della illogici manifesta (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-01).
Ne consegue, pertanto, come corollario logico, che costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche – come nel caso di specie – la ritenuta erronea interpretazione delle risultanze in atti, che, a tutti gli effe deve intendersi rientrante nel vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod proc. pen.
2.1. Il ricorrente, infatti, si è limitato a esprimere, con la sua censura, una dissenziente e alternativa interpretazione della vicenda fattuale, volta a escludere la sussistenza di ogni relazione eziologica tra il denaro sottoposto a sequestro e l’ascrittagli condotta criminosa, sul presupposto che tale somma avrebbe costituito il risparmio dei redditi da lavoro percepiti nel corso di una vita.
A fronte di tale doglianza, il Tribunale del riesame ha, invece, offerto, in ordine alla sussistenza del nesso di pertinenzialità tra il denaro sequestrato e i reati contestati – che solo integrerebbe il vizio della violazione di legge ove mancassero i requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza della motivazione – delle argomentazioni del tutto logiche e congrue, oltre che fondate sulle emergenze probatorie acquisite nel corso della svolta attività istruttoria.
Il Tribunale del riesame ha, in particolare, valorizzato, a tal fine, rilevant aspetti quali la particolare modalità di conservazione del denaro, suddiviso in
contanti all’interno di una cassetta di sicurezza in n. 12 pacchetti ben distinti tr loro, ovvero l’elevato ammontare della somma sequestrata (pari a euro
129.600,00), palesemente sproporzionata rispetto ai guadagni percepiti dal prevenuto nel corso della sua vita lavorativa, nonché al suo attuale
status di
pensionato.
Con motivazione del tutto adeguata e logica, quindi, il giudice del riesame ha ritenuto che proprio il quantitativo ingente e le modalità di occultamento del
denaro fossero indicative della sua provenienza dall’illecita attività del sodalizio, considerato il rilevante giro di affari derivante dal collocamento come badanti di
un imponente numero di cittadine straniere, come risultante dalle verifiche documentali in atti e dalla circostanza che le famiglie assistite fossero solite
pagare il corrispettivo del servizio loro fornito in denaro contante.
Trattasi di motivazione che, in termini evidenti, non può essere ritenuta carente, apparente, contraddittoria o manifestamente illogica, e perciò viziata ai
sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
Del tutto priva di pregio è, poi, la doglianza con cui il ricorrente ha lamentato l’errata indicazione della sua data di nascita nel decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Taranto in data 2 dicembre 2024, atteso che, per come del resto indicato dallo stesso COGNOME in ricorso, il medesimo errore non è stato reiterato nell’ordinanza in questa sede impugnata.
Trattasi, in ogni modo, di censura manifestamente infondata, non avendo comportato nessun tipo di vizio né lesione alcuna alle prerogative defensionali riconosciute all’odierno ricorrente.
Il ricorso deve, conclusivamente, essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente