Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18960 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18960 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TARANTO il 25/04/1954
avverso l’ordinanza del 19/12/2024 del TRIB. LIBERTA di TARANTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza indicata nel preambolo il Tribunale di Taranto, in funzione di giudice del riesame cautelare reale, ha rigettato l’impugnazione proposta da COGNOME Angelo e, per l’effetto, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari, in data 29 novembre 2024, con riferimento alla somma di denaro di euro 8.110,00
Secondo Le conformi valutazioni dei giudici del merito cautelare, la somma sottoposto al vincolo reale rappresenta il profitto del reato di cui all’articolo bis cod. pen., contestato a COGNOME al capo 3) dell’incolpazione provvisoria, concorso con altri indagati, per avere reclutato, costituendo l’associazione delinquere contestata al capo 1), manodopera straniera – in particolare cittadi
georgiane – allo scopo di destinarle al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, profittando dello stato di bisogno in cui versavano in ragione della presenza irregolare sul territorio italiano e ricorrendo anche a minacce di estromissione dal lavoro, in caso di mancata accettazione delle condizioni loro imposte.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo deduce, ai sensi dell’art. 606 lett. b) e d), violazione di legge per carenza dei presupposti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, nonché del nesso di pertinenzialità fra la somma di denaro rinvenuta presso l’abitazione del Miccoli e il reato di cui all’art. 603-bis cod. pen.
Lamenta che l’apparato argomentativo posto dal provvedimento impugnato a sostegno della decisione sia illogico, incoerente, incompleto e irragionevole, specie nella parte in cui esamina le obiezioni difensive.
Non sono state superate le giustificazioni fornite dalla difesa sull’origine lecita della somma il sequestro, tutte fondate su circostanze pacificamente accertate.
L’odierno ricorrente: – ha lavorato per oltre quarant’anni, percependo redditi da lavoro autonomo; – è allo stato percettore di pensione; – ha ottenuto provvigioni, nel decennio 1990 – 2000, somme superiori ai 170.000 euro; – ha globalmente ha percepito redditi per oltre 400.000 euro; – vive in affitto da solo; – non è mai stato sposato; – non ha figli; – non ha mai speso soldi per la casa per avere fino al 2016 convissuto con la madre.
In tale situazione è logico ipotizzare che la somma sequestrata a Micoli, anche considerata la sua età avanzata, sia di origine lecita.
In ogni caso, l’informativa del 27 marzo 2024, richiamata dal Tribunale del riesame, attesta la percezione di un profitto illecito irrisorio, pari a poche centinaia di euro, per ogni concorrente. La prognosi sull’evoluzione investigativa non lascia allo stato ipotizzare una diversa e maggiore quantificazione.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione degli articoli 321 e 130 cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame, pur sollecitato dalla difesa, non ha formalmente corretto il decreto di sequestro preventivo nella parte in cui indica come destinatario della misura cautelare reale COGNOME NOME nato a Taranto il 16/11/1965, ma si è limitato ad indicare sia del dispositivo dell’ordinanza che nella motivazione una diversa data di nascita – il 25/04/1954 – in tal guisa modificando un dato rilevante per la ricostruzione alternativa proposta dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vedente su censure manifestamente infondate.
L’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. prevede che «Contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge». La giurisprudenza di legittimità ha, in proposito, chiarito che nella nozione di «violazione di legge», per la quale soltanto può essere proposto ricorso per cassazione in ragione della espressa previsione del citato comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’ad. 606 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710; Sez. 1, n. 40827 del 27/10/2010, COGNOME, Rv. 248468).
Ha, altresì, precisato che la «violazione di legge» comprende sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296).
Discutendosi, nella fattispecie, di sequestro preventivo finalizzato anche alla confisca, appare utile ricordare, con la migliore giurisprudenza di legittimità, che il giudice, nel valutare il fumus commissi delicti, non può limitarsi all’astratta verifica della sussumibilità del fatto in un’ipotesi di reato, ma è tenuto ad accertare l’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, indicativi della riconducibilità dell’evento alla condotta dell’indagato, pur se il compendio complessivo non deve necessariamente assurgere alla persuasività richiesta dall’ad. 273 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali (così, tra le altre, Sez. 4, n. 20341 del 03/04/2024, COGNOME, Rv. 286366 – 01; Sez. 5, n. 3722 del 11/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278152 – 01).
Il provvedimento impugnato, valutato alla stregua delle regole ermeneutiche sin qui ricordate, si presenta immune dai rilievi del ricorrente.
Nell’esaminare le doglianze difensive, il Tribunale ha rilevato la sussistenza di entrambi i presupposti applicativi del sequestro preventivo ed ha giustificatamente ritenute infondate i rilievi difensivi in ordine alla sussistenza del nesso di pertinenzialità tra il denaro sequestrato e i reati contestati. pedissequamente riproposti in questa sede.
3.1. Quanto al fumus commissi delicti, l’ordinanza osserva che dal compendio investigativo, approfonditamente esaminato, è emerso che COGNOME aveva operato presso la sede dell’associazione “RAGIONE_SOCIALE“, curando l’incasso delle somme versate in contanti dalle famiglie presso le quali erano collocate le badanti straniere reclutate con le modalità indiate dalla fattispecie incriminatrice contestata, in cambio dei servizi assistenziali ricevuti sicché ben poteva ritenersi il denaro in sequestro fosse “una sorta di tesoretto del sodalizio”
Per la provenienza illecita del denaro in sequestro deponevano il quantitativo ingente e, soprattutto, le modalità anomale di custodia: la somma in contanti è stata rinvenuta – durante le operazioni di perquisizione eseguite nella fase di esecuzione delle misure cautelari personali disposte nei confronti del ricorrente e di altri indagati – nel comodino della camera da letto dall’indagato suddiviso in banconote di vario taglio.
Non erano, al contrario, conducenti le deduzioni difensive volte a dimostrare la provenienza lecita.
La somma di denaro rinvenuta non solo è del tutto sproporzionata rispetto ai redditi percepiti nell’attualità e comunque in epoca recente dall’indagato (ratei pensionistici di 1.400 euro al mese), ma è anche incongrua rispetto allo stile di vita, assai morigerato e parco, che, secondo la stessa prospettazione difensiva, conduceva nel periodo di interesse l’indagato nonché all’accertata disponibilità da parte dello stesso di un conto corrente bancario dove, con maggiore sicurezza, poteva essere custodita.
Osserva al riguardo il Tribunale che mentre è illogico conservare il denaro di provenienza lecita in casa, esponendosi al rischio di furti senza sfruttare il deposito bancario, anche considerato che COGNOME non doveva sostenere nella quotidianità spese elevate tanto da avere necessità di denaro contante di ingente valore, è, al contrario, plausibile adottare tale peculiare modalità di conservazione e occultamento di somme di denaro di provenienza illecita.
L’ordinanza ha esaminato anche la l’obiezione difensiva secondo cui il sodalizio aveva percepito durante la sua operatività profitti esigui evidenziando che dalle verifiche documentali eseguite dal consulente della pubblica accusa, nemmeno
contestate, è emerso un giro di affari assai rilevante in considerazione dell’imponente numero di donne straniere coinvolte.
3.2. Con riferimento al periculum in mora,
i Giudici del merito cautelare hanno opportunamente sottolineato che la somma in sequestro può essere facilmente
occultata o dispersa così da vanificare la confisca in considerazione delle difficoltà
di tracciamento delle somme di denaro liquide nonché della personalità degli indagati, avvezzi ad occultare il denaro contante conseguito attraverso le attività
illecita come controprestazione ai servizi assistenziali forniti dalle badanti.
In ogni caso sussistono gli estremi del sequestro finalizzato alla confisca allargata e non solo di quella diretta del profitto del reato.
4. In definitiva, il provvedimento impugnato è dotato di una motivazione che, in termini evidenti, non può essere ritenuta carente, apparente, contraddittoria o
manifestamente illogica, e perciò viziata ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc.
• pen.
Non si sottrae all’inammissibilità la censura doglianza con cui il ricorrente ha lamentato l’errata indicazione della sua data di nascita nel decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Taranto in data 29 novembre 2024.
È lo stesso ricorrente ad ammettere che il medesimo errore non è stato reiterato nell’ordinanza in questa sede impugnata. Trattasi, in ogni modo, di censura manifestamente infondata, non avendo comportato nessun tipo di vizio né lesione alcuna alle prerogative defensionali riconosciute all’odierno ricorrente.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 9 aprile 2025.