Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15492 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15492 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato ad Avellino il 23 ottobre 1983;
avverso la ordinanza n. 53/24 RGTRS del Tribunale di Milano del 24 maggio 2024;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 24 maggio 2024 il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’appello cautelare, ha rigettato il ricorso proposto da COGNOME Marco avverso il diniego opposto dal Gip del Tribunale di Milano alla t’istanza con la quale lo stesso COGNOME persona indagata per plurime condotte ritenute violative dell’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000, aveva chiesto la revoca del provvedimento di sequestro preventivo, sia nella forma strumentale alla confisca diretta che a quella per equivalente, emesso anche a suo carico ed avente ad oggetto la somma complessiva di euri 24.663.831,00.
Avverso detta ordinanza ha interposto ricorso per cassazione la difesa dell’indagato, affidando le proprie doglianze a tre motivi di impugnazione.
Un primo motivo concerne la violazione del diritto di difesa, non essendo stato realizzato il pieno contraddittorio circa gli atti posti a fondamento dell decisione assunta dal Tribunale ambrosiano.
Osserva, infatti, il ricorrente che, essendo stata fissata la trattazio dell’appello cautelare da lui proposto per l’udienza del 29 aprile 2024, in tal data il Tribunale emise un’ordinanza con la quale disponeva l’acquisizione di taluni atti non trasmessi al giudice del riesame, sul presupposto che, comunque, gli stessi già fossero noti alla difesa dei Casale.
Detta ordinanza sarebbe, ad avviso del ricorrente, viziata sia perché mai essa è stata comunicata alla difesa di quello sia perché non è stata data la possibilità alla citata difesa, mai posta a conoscenza della natura degli att trasmessi, di sapere, prima della decisione del Tribunale del riesame, sulla base di quali atti esso avrebbe espresso il proprio giudizio.
In particolare, il ricorrente ha lamentato che non fossero stati portati alla sua conoscenza i verbali degli atti compiuti in occasione della esecuzione del sequestro preventivo in esame, ciò tanto più ove si rifletta che, essendo il sequestro stato disposto anche nella forma “per equivalente”, esso non è destinato ad attingere dei beni specifici ma esclusivamente dei valori.
Ha, altresì, aggiunto il ricorrente che la produzione documentale fatta dalla pubblica accusa, in esecuzione del provvedimento del Tribunale del riesame, non ha avuto ad oggetto solo atti che la difesa del ricorrente già conosceva ma ha riguardato anche atti a detta difesa ignoti e dei quali quella ha avuto contezza solo in esito alla consultazione del fascicolo del Tribunale del
riesame, avvenuta, peraltro, successivamente alla adozione del provvedimento ora impugnato.
Con un secondo motivo di ricorso il Casale si è doluto del fatto che il Tribunale dell’appello cautelare non abbia accolto il motivo di gravame avente ad oggetto la violazione dell’art. 292, comma 2, cod. proc. pen. per essere stata omessa la autonoma valutazione da parte del Gip del materiale probatorio, avendo questo emesso il provvedimento di sequestro solo sulla base degli elementi sottoposti dal Pm alla sua attenzione ed avendo pertanto il Gip semplicemente ricevuto e fatto propria la richiesta di sequestro formulata dal Pm, riportando stralci di taluni degli atti di indagine precedentemente svolti.
Avrebbe errato il Tribunale del riesame nel ritenere che la nullità prevista dall’art. 292, comma 2, cod. proc. pen. sia una nullità che non poteva essere dedotta in sede di gravame in quanto nella specie “sanata” per la decorrenza del termine di cui all’art. 182, commi 2 e 3, cod. proc. pen., posto che il dett Tribunale non ha affatto considerato la possibilità di rilevare autonomamente ex officio la ricordata nullità.
Infine, con il terzo motivo è stata lamentata la omessa motivazione in relazione al requisito del pericolo nel ritardo nella valutazione del quale non si è tenuto conto del leale comportamento del Casale che, pur informato della pendenza di indagini a suo carico, non ha fatto nulla per occultare eventuali beni nella disponibilità dei destinatari del sequestro, tanto che sono stati trova danari depositati su conti correnti bancari per oltre 2.000.000,00 di euri; comportamenti questi che si pongono in contrapposizione con la volontà di non adempiere all’obbligazione tributaria e che, pertanto, escluderebbero la esistenza del pericolo; questo non potrebbe essere neppure desunto dalla presenza del Casale nel Consiglio di amministrazione di una delle società coinvolte dalla vicenda, atteso che, essendo stata sequestrate le quote sociali, l’amministrazione di quella è stata assunta da un Commissario giudiziale che ne è il custode.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è risultato inammissibile e per tale deve, pertanto, essere dichiarato.
Il primo motivo di ricorso, per come è stato sviluppato dalla ricorrente difesa, non è ammissibile, non essendo stata neppure allegata la effettiva rilevanza nell’ambito del giudizio di appello cautelare della documentazione
della cui acquisizione nel corso del procedimento da cui è scaturita la ordinanza impugnata il ricorrente si lamenta.
Osserva, infatti, questo Collegio che, come accennato, il motivo di ricorso attiene al fatto che, in violazione del diritto di difesa, non sarebbe stato istit un regolare contraddittorio in relazione agli atti, afferenti alle modalità esecuzione del sequestro oggetto di ricorso, la cui acquisizione è stata disposta dal giudice dell’appello cautelare con ordinanza collegiale resa in data 29 aprile 2024.
Al riguardo si rileva che la pretesa violazione del diritto di difesa appare palesemente insussistente sia perché il ricorrente era ben consapevole del contenuto degli atti di Cui si trattava, essendo essi riferiti ai verbali riguarda le operazioni esecutive dell’avvenuto sequestro di beni che erano, sino a quel momento, nella disponibilità del Casale il quale era stato, pertanto, posto a conoscenza della attuazione della misura a suo danno, sia, perché, in ogni caso, non risulta che il ricorrente avesse, in sede di formulazione dell’appello cautelare, articolato la proprie doglianze con riferimento alle modalità di esecuzione della misura, sicché non emerge in quale modo l’avvenuta acquisizione della documentazione in questione sia stata idonea ad incidere concretamente sull’esercizio del diritto di difesa a lui spettante.
Quanto al secondo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la circostanza – non considerata tale da costituire un vizio della applicazione della misura cautelare da parte del Tribunale di Milano con il provvedimento oggetto di impugnazione – che, secondo l’avviso del ricorrente, non fosse stata operata dal Gip la autonoma valutazione degli elementi posti a sostegno della richiesta di adozione del sequestro a suo tempo formulata dal Pm procedente, come previsto dall’art. 292, comma 2, lettera c), cod. proc. pen, osserva il Collegio ricollegandosi a precedenti decisioni assunte da questa stessa Corte (peraltro ben note anche al giudice del gravame ora in discorso essendosi egli riportato ai principi in quelle esposti), le quali, sebbene adottate in occasione dell scrutinio avente ad oggetto ordinanze emesse in sede di appello cautelare di provvedimenti concernenti misure di tipo personale e non reale, come nella presente occasione, esprimono tuttavia un principio certamente applicabile anche alla presente tipologia di fattispecie – come costituisca ragione che in radice osta alla accoglibilità della doglianza ora formulata la circostanza che la stessa non aveva formato oggetto di precedente doglianza in sede di riesame cautelare.
Come, infatti -, questa Corte ha chiarito, in tema di misure cautelari (come detto l’occasio che aveva dato lo spunto per la affermazione ora illustrata era lo scrutinio di un provvedimento reso in sede di appello cautelare personale, ma la regola è applicabile anche alle ipotesi di cautelare reale) la nullità del ordinanza genetica per mancanza di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e degli altri elementi legittimanti l’adozione della misura, secondo l previsione di cui all’art. 292, comma 2, lettera c), cod. proc. pen., va qualificata come nullità di ordine generale a regime intermedio, tale, perciò, da dovere essere dedotta, a pena di decadenza, con la richiesta di riesame (Corte di cassazione, Sezione III penale, 17 novembre 2021, n. 41786, n. 282460; Corte di cassazione, Sezione I penale, 11 gennaio 2019, n. 1262, rv 276482), e non per la prima volta in occasione della trattazione dell’appello cautelare.
Nè ha un qualche rilievo il dato, ricordato dalla ricorrente difesa, che le nullità richiamate dall’art. 292 cod. proc. pen. fra le quali vi è, appunto, omessa autonoma valutazione degli elementi che giustificano l’adozione della misura sia vizio suscettibile di essere rilevato anche di ufficio.
Invero, anche una siffatta rilevabilità è soggetta a venire meno laddove la parte sia incorsa, per effetto della decorrenza del relativo termine d eccepibilità, nella relativa decadenza ed il vizio non sia stato rilevato ex officio, dovendosi, a quel punto, ritenersi sanato il vizio non nei soli confronti di ch aveva interesse a farlo valere ma anche in relazione alla possibilità per il giudice di autonomamente rilevarlo; infatti, l’art. 182 cod. proc. pen. nel prevedere che per le altre nullità di ordine generale, cioè quelle di cui all’art. 180 cod. pr pen., il termine per rilevare la nullità è dato dal momento procedimentale dettato nell’art. 180 cod. proc. pen. – cioè, per quel che qui interessa, deliberazione della sentenza (dovendo ritenersi fatto il riferimento, per ciò che attiene al giudizio cautelare, alla deliberazione della ordinanza con la quale s chiude la fase procedimentale di fronte al giudice del riesame) – chiarisce come la pur esistente rilevabilità di ufficio della nullità non avrebbe potuto comunque indurre il giudice dell’appello cautelare ad esaminare la sussistenza, o meno, del vizio essendo stato questo dedotto solo in sede di istanza di revoca della misura e, poi, in sede di gravame avverso il rigetto della predetta istanza, ma non anche con l’istanza di riesame cautelare.
Deve, peraltro, osservarsi che ai fini della esclusione della ricorrenza del preteso vizio ora in questione non è richiesta – appunto onde scongiurarne la sussistenza ed a riprova della autonomia della valutazione operata dal Gip – una paradossale necessaria divergenza fra le impostazioni ricostruttive contenute
nella istanza di adozione della misura cautelare presentata dal Pm ed il provvedimento del Gip che siffatta misura abbia disposto, essendo richiesto che il giudice espliciti, anche eventualmente per relationem, le ragioni per le quali ha ritenuto di poter attribuire, al compendio indiziario, un significato coerente rispetto alla integrazione dei presupposti normativi per l’adozione della misura (Corte di cassazione, Sezione, III penale, 18 gennaio 2017, n. 2257, rv 268800).
A ciò consegue che, al fine di fare risaltare l’esistenza del vizio non è sufficiente che il deducente alleghi la, pur totale, identità di vedute fra Pm Gip, dovendo egli individuare, segnalando la mancanza di valutazione critica rispetto alla prospettazione accusatoria, i profili di intrinseca debolezza de ragionamento che ha condotto il Gip a concordare con le tesi dei Pm che aveva richiesto l’adozione della misura.
Cosa questa che non emerge sia stata fatta dal ricorrente che si è limitato a contestare la scelta operata dal Tribunale di Milano nel senso di non accogliere la censura in ordine alla mancanza di autonoma valutazione del compendio indiziarlo da parte del Gip che aveva emesso la misura cautelare ora in questione.
Quanto, infine, alla terza doglianza formulata dalla ricorrente difesa, avente ad oggetto il mancato accoglimento del motivo di appello concernente la omessa motivazione in relazione alla sussistenza del pericolo nel ritardo, si rileva l’avvenuto rispetto da parte del Tribunale ambrosiano del pur rigoroso indirizzo interpretativo (il quale ha trovato anche l’autorevole conforto delle Sezioni unite penali di questa Corte attraverso la emissione della nota sentenza n. 36959 del 2021) secondo il quale il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, pur se relativo somme di denaro, deve contenere la concisa motivazione del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablatorio rispetto alla definizione del giudizio, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio – anche se connesso alla obbiettiva maggiore facilità, data la sua naturale fungibilità, di dispersione di un bene quale è il danaro (Corte di cassazione, Sezione III penale, 17 giugno 2024, n. 23936, rv 286671) – che colleghi la pericolosità alla mera natura obbligatoria della confisca o all’oggetto materiale sul quale questa ricadrebbe, in assenza di previsioni di segno contrario (Corte di cassazione, Sezione III penale, 4 marzo 2024, n. 9206, rv 286021; Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 febbraio 2023, n. 4920, rv 284313)..
Un tale indirizzo è stato, infatti, anche in questo caso seguito come dimostrato dal la approfondita motivazione in relazione alla opera di distrazione
finanziaria (il Tribunale di Milano parla di vero e proprio “riciclaggio”) che ha avuto ad oggetto i proventi dei reati fiscali oggetto della complessa indagine
che veda fra i suoi protagonisti il COGNOME, dirottati – quali corrispettivi di prestazioni documentate con fatture di comodo (dato questo ricavabile
attraverso la altrimenti inspiegabile distonia fra l’oggetto delle prestazioni in questione e l’oggetto della impresa svolta dalle società apparentemente
fornitrici delle citate prestazioni) – in direzione dei conti bancari di società
sparse sul territorio anche extraeuropeo riconducibili, a loro, volta, a soggetti di nazionalità non eurounitaria; il tutto con evidente – potenziale ma assai
verosimile – pregiudizio per la possibilità di recuperare in sede di esecuzione anche penale, il profitto eventualmente conseguito attraverso la perpetrazione
dei reati evocati nella provvisoria imputazione contestata anche al Casale.
Il ricorso da questo proposto deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente, visto l’art.- 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Presid