Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26986 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26986 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Di Bari NOME nata a San Giovanni Rotondo il 05/05/1971 avverso l’ordinanza del 14/11/2024 del Tribunale della libertà di Potenza
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, da Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Potenza, costituito ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse . di NOME COGNOME avverso l’ordinanza di convalida del sequestro preventivo d’urgenza emesso dal G.i.p. del Tribunale di Potenza il 24 ottobre 2024 in relazione al delitto di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 2 d.lgs. n 74 del 2000, contestato alla ricorrente al capo 44) dell’incolpazione provvisoria.
Avverso l’indicato provvedimento, l’indagata, per il tramite del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con un primo motivo, denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321, 324, 649 cod. proc. pen. per avere il Tribunale erroneamente rigettato l’eccezione del giudicato cautelare, in relazione alla sottoposizione a sequestro preventivo per i medesimi fatti, sui medesimi beni e nei confronti del medesimo soggetto nell’ambito dello stesso procedimento penale. Espone il difensore che, con ordinanza del 10 ottobre 2024, il Tribunale di Potenza, in accoglimento dell’istanza di riesame proposta dall’indagata, aveva disposto l’annullamento del decreto di sequestro preventivo impugnato, con conseguente restituzione dei beni in sequestro all’avente diritto; nondimeno, il pubblico ministero, in data 17 ottobre 2024, prima del deposito della motivazione, aveva disposto il Sequestro preventivo d’urgenza sui medesimi beni, sequestro poi convalidato dal G.i.p. in data 24 ottobre 2024, senza individuare alcun elemento di novità rispetto al prevedente provvedimento poi annullato. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale ha erroneamente rigettato l’eccezione sollevata dalla difesa, in quanto dal dispositivo dell’ordinanza non si evince che la ragione dell’annullamento sia di carattere formale e, in ogni caso, dalla motivazione successivamente depositata risulta che il vaglio svolto dal Tribunale ha riguardo il fumus commissi delicti e il periculum in mora. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con un secondo motivo, eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 309, comma 9, 324, comma 7, 125, comma 3, cod. proc. pen. avuto riguardo al requisito del periculum in mora. Rappresenta il difensore che, con il riesame, si era evidenziato: che il decreto di sequestro preventivo ribadisse il contenuto del precedente decreto annullato proprio per carenza di motivazione in ordine a tale requisito; che il pericolo di depauperamento di scontrava con l’evidenza per cui i beni e il denaro erano rimasti nella disponibilità degli indagati per circa cinque anni dai fatti; che la valutazione di dispersione delle garanzie patrimoniali, effettuata dal G.i.p., fosse del tutto ipotetica. Orbene, ad avviso del difensore il Tribunale ha indebitamente
colmato un vuoto motivazionale, ma in ogni caso, detta motivazione sarebbe apparente, in quanto disancorata dalla posizione processuale dell’indagata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel complesso, infondato.
Il primo motivo è infondato.
2.1. Da quanto risulta dal provvedimento impugnato (p. 17 dell’ordinanza), la nuova ordinanza impositiva del vincolo cautelare è stata emessa quando ancora non era stata depositata la motivazione del precedente annullamento da parte del Tribunale del riesame.
Al riguardo, va ribadito il principio secondo cui, in tema di misure cautelari reali, il principio del ne bis in idem non preclude l’emissione di un nuovo provvedimento di sequestro preventivo sui medesimi beni rispetto ai quali il vincolo, precedentemente disposto, sia stato annullato a seguito di impugnazione, nel caso in cui non siano stata ancora depositata la motivazione dell’ordinanza di annullamento (Sez. 3, n. 33988 del 16/06/2023, COGNOME, Rv. 285206 – 01), e ciò perché, finché non sono conoscibili le argomentazioni della decisione di annullamento del provvedimento impositivo, non sussistono preclusioni derivanti dal cd. “giudicato cautelare”.
Del tutto coerentemente, si è precisato, inoltre, che il principio del ne bis in idem non preclude al pubblico ministero, in pendenza dei termini per proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento di annullamento di un decreto di sequestro preventivo e prima del deposito della relativa motivazione, di richiedere l’adozione di un nuovo vincolo cautelare sui medesimi beni, a condizione che lo stesso si determini a non coltivare il rimedio impugnatorio, in quanto la contemporanea pendenza delle due iniziative cautelari contrasta con il divieto di bis in idem (Sez. 3, n. 20245 del 14/02/2024, De, Rv. 286326 – 01), condizione riscontrabile nella vicenda qui ai vaglio, non avendo il pubblico ministero impugnato la precedente ordinanza di annullamento.
2.2. In secondo luogo, da quanto si apprende dall’ordinanza impugnata (cfr. p. 18), il precedente decreto di sequestro preventivo era stato annullato per totale carenza motivazionale in ordine alla sussistenza del periculum in mora.
Ciò chiarito, va richiamato il principio – correttamente indicato dal Tribunale (cfr. p. 7-8 dell’ordinanza impugnata) – secondo cui l’annullamento di · un decreto di sequestro preventivo per totale assenza di motivazione in ordine al periculum in mora non osta all’emissione, nei confronti della medesima persona, di un nuovo vincolo avente ad oggetto lo stesso bene, posto che il giudicato
cautelare non si forma nel caso in cui, in sede di annullamento, non sia stata espressa alcuna valutazione, pur se solo incidentale o implicita, circa i presupposti richiesti per l’emissione della misura (Sez. 3, n. 15125 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286171 – 01), a condizione, anche in tal caso, che il pubblico ministero non abbia impugnato l’ordinanza di annullamento, ciò che determinerebbe una litispendenza cautelare, che – questa sì – contrasta con il divieto di bis in idem, operante tra procedimenti prim’ancora che tra provvedimenti (Sez. 3, n. 43365 del 08/10/2024, Carta, Rv. 287142 – 01).
In altri termini, in un caso del genere, il pubblico ministero è tenuto a decidere se coltivare la precedente azione mercé l’impugnazione dell’ordinanza di annullamento o reiterare la domanda, dovendo, in tal caso, esimersi dall’impugnare o rinunciare alla proposta impugnazione al più tardi coevamente alla richiesta del nuovo titolo cautelare.
Nel caso di specie, ribadito che, come anticipato, il pubblico ministero si è limitato a proporre una nuova domanda cautelare, il tribunale ha correttamente ritenuto che il precedente annullamento fosse intervenuto per un motivo “pacificamente di tipo formale”, cioè “l’assenza/apparenza di motivazione sul periculum” (p. 18 dell’ordinanza impugnata), in quanto la precedente decisione di annullamento adottata dal Tribunale del riesame era fondata sulla considerazione che il G.i.p. aveva solo genericamente fatto riferimento alla natura del denaro e dei beni che sarebbero stati facilmente alienabili, occultabili o disperdibili (p. 24 dell’ordinanza impugnata).
Il Tribunale, dunque, aveva giudicato la motivazione del primo provvedimento annullato del tutto apparente, concludendo per la mancanza della motivazione sul presupposto del periculum.
2.3. Infine, vi è un ulteriore elemento, pacificamente ammesso dallo stesso ricorrente – laddove, nell’illustrazione dei motivo qui al vaglio, rappresenta che il secondo decreto era “costretto a dedurre un novum investigativo proprio per colmare i vuoti investigativi individuati e censurati dalla prima ordinanza, ovverosia l’annotazione di p.g. n. 76699/2024 del 24 ottobre 2024” (p. 4) – e che emerge dalla motivazione (cfr. p. 24), ossia che il pubblico ministero, nella nuova richiesta di misura cautelare reale, aveva indicato elementi di novità, desumibili dalla citata annotazione di p.g., quali la costituzione di due nuove società, aventi lo stesso oggetto sociale di quelle oggetto di indagine, da parte di altri due indagati, dopo essere venuti a conoscenza dell’attività investigativa svolta nei loro confronti, al verosimile scopo di svuotare il patrimonio, ciò che conforta la legittimità dei provvedimento impugnato, in quanto il principio del ne bis in idem non preclude l’emissione di un nuovo sequestro preventivo sui medesimi beni in relazione ai quali il vincolo reale sia stato già disposto e
successivamente annullato a seguito di impugnazione, allorquando nel secondo provvedimento siano stati valutati dall’autorità giudiziaria elementi precedentemente non esaminati perché non disponibili (Sez. 3, n. 16616 del 18/11/2019, dep. 2020, Iuvinale, Rv. 278947-01; Sez. 3, n. 24963 del 18/02/2015, Aprovitola, Rv. 264095-01).
Il secondo motivo è infondato in relazione ad entrambi i profili dedotti.
Come costantemente predicato da questa Corte di legittimità, la motivazione merita l’appellativo di “apparente” – e, dunque, essa è inesistente solo quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, P.G. in c. COGNOME, Rv. 263100; Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 247682; Sez. 6, n. 6839 del 01/03/1999, P.G. in c. COGNOME, Rv. 214308).
Nel caso di specie, il g.i.p. aveva motivato la sussistenza del periculum in mora “tenuto conto della precedente misura reale – che induce verosimilmente gli stessi a trasferire velocemente le proprie ricchezze in vista di un’ulteriore probabile richiesta cautelare negli stessi termini, dalla personalità dei medesimi prevenuti, i quali, infatti, come emerso dalla attività di indagine, hanno dimostrato una non trascurabile capacità organizzativa nel realizzare le descritte condotte illecite, delle modalità dei comportamenti tenuti, che denotano una spiccata attitudine a porre in essere atti volti a sottrarre le somme spettanti allo Stato” (cfr. p. 2 del decreto), nonché, con riferimento alle posizioni di COGNOME e COGNOME, il fatto che costoro, dopo essere venuti a conoscenza dell’attività di indagine, hanno costituito due nuove società aventi lo stesso oggetto sociale di quelle oggetto di indagine, al verosimile scopo di svuotare i patrimoni di queste ultime.
Come correttamente ritenuto dal Tribunale, la motivazione del secondo provvedimento non può definirsi “apparente”, nel senso dinanzi chiarito, in quanto essa ha argomentato la sussistenza del periculum in mora non mediante l’impiego di formule di stile o attraverso un percorso argomentativo oscuro, ovvero facendo discendere automaticamente il periculum dalla mera realizzazione degli illeciti oggetto di incolpazione provvisoria, avendo indicato specifici elementi sintomatici di un pericolo di dispersione, quale, in particolare, la circostanza che tutti gli indagati, venuti a conoscenza della precedente misura
poi oggetto di annullamento, medio tempore si potessero adoperare per occultare le somme di denaro profitto dei reati in esame.
Si tratta di una motivazione che, seppur incompleta, certamente non merita l’appellativo di “apparente”.
Su queste basi, il Tribunale ha perciò legittimamente esercitato i poteri di integrazione della motivazione del decreto di sequestro preventivo a fini di confisca in punto di periculum in mora, espressamente previsti dal combinato disposto di cui agli artt. 309, comma 9, e 324, comma 7, cod. proc. pen.
5. Quanto, poi, alla sussistenza del periculum in mora, vanno richiamati gli approdi ermeneutici affermati dalle Sezioni Unite Ellade (n. 36959 del 24/6/2021, Rv. 281848), secondo cui il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’ar 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salv restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che la motivazione deve soffermarsi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato; un’esigenza, questa, rapportata appunto alla ratio della misura cautelare, volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo.
In definitiva, è dunque i! parametro della “esigenza anticipatoria” della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalmente, potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi il pericolo di dispersione, utilizzazione o alienazione del bene al generico riferimento alla natura fungibile del denaro (Sez. 3, n. 23936 del 11/04/2024, COGNOME, Rv. 286671), e potendo il giudice valutare ogni elemento presente nel caso concreto, ivi comprese !e modalità di realizzazione degli illeciti
oggetto di provvisoria contestazione, purché indicativo del pericolo di dispersione del bene.
4.2. Ciò posto, richiamati gli stringenti !imiti stabiliti dall’art. 325 cod. pr pen. relativi al sindacato della Cassazione avente ad oggetto le ordinanze
relative a provvedimenti cautelari reali – che è circoscritto alla possibilità d rilevare la sola violazione di legge, così come dispone testualmente l’art. 325,
comma 1, cod. proc. pen., in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores
in iudicando
o
in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da
rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692; Sez.
3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del
14/03/2017, Napoli, Rv. 269656) -, nel caso di specie non può affermarsi che la motivazione resa dal provvedimento impugnato, quanto ai dati di fatto valorizzati
e alle conclusioni da essi tratte, sia omessa o ovvero apparente, in quanto il
Tribunale ha desunto il periculum da elementi specifici puntualmente indicati, vale a dire dal fatto che la società della ricorrente, che “risulta tra le principa beneficiarie del predetto meccanismo fraudolento, avendo evaso di recente (il 17/05/2023) ben euro 177.017”, risulta avere collegamenti con la criminalità lucana, “laddove tali collegamenti rendono agevole l’occultamento e dispersione del patrimonio nelle more del giudizio” (p. 26 dell’ordinanza impugnata).
4.3. A fronte di tale apparato argomentativo, che certamente non può dirsi manifestamente illogico o apparente, il motivo si risolve in una critica nel merito della valutazione degli elementi valorizzati dal Tribunale, critica che esula dal perimetro segnato dall’art. 325 cod. proc. pen.
Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
processuali.
Così deciso il 21/05/2025.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese Depositata in Cancelleria