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Sequestro preventivo: quando è legittimo sul conto?

Un professionista, indagato per gravi reati tra cui l’associazione mafiosa, si è opposto al sequestro preventivo del suo conto corrente personale, sostenendo che fosse distinto da quello della sua attività. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la legittimità del provvedimento. La decisione si fonda sull’uso promiscuo del conto, utilizzato sia per esigenze personali che per l’attività professionale illecita, e sulla persistente pericolosità del bene. La Corte ha ritenuto sufficiente e logica la motivazione del Tribunale, che giustificava il mantenimento del sequestro per impedire la continuazione del reato.

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Pubblicato il 11 agosto 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo su Conto Corrente: La Cassazione Chiarisce i Limiti

Il sequestro preventivo è uno strumento potente nelle mani della magistratura, finalizzato a neutralizzare i beni che potrebbero essere utilizzati per commettere ulteriori reati. Ma cosa succede quando il bene sequestrato è un conto corrente personale, utilizzato in modo promiscuo anche per un’attività professionale sospettata di essere legata alla criminalità organizzata? Con la sentenza n. 14621 del 2019, la Corte di Cassazione fornisce chiarimenti cruciali su questo delicato equilibrio tra esigenze cautelari e diritti patrimoniali.

I Fatti del Caso: Un Conto Personale sotto la Lente degli Inquirenti

La vicenda riguarda un professionista, indagato per reati gravissimi quali il concorso esterno in associazione di tipo mafioso e l’intestazione fittizia di beni. Nel corso delle indagini, un suo conto corrente bancario, intestato alla persona fisica, era stato sottoposto a sequestro preventivo. Il professionista aveva presentato istanza di dissequestro, sostenendo che si trattasse di un conto puramente personale e distinto da quello della sua attività professionale, per la quale era già stato disposto un dissequestro parziale. Il Tribunale della Libertà aveva rigettato l’istanza, rilevando che il conto, sebbene personale, veniva utilizzato in modo promiscuo e funzionale agli interessi dell’associazione criminale.

Contro questa decisione, il professionista ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e una motivazione carente o meramente apparente. Secondo la difesa, il Tribunale non avrebbe indicato elementi concreti a dimostrazione del nesso tra il conto e le finalità delittuose ipotizzate.

La Decisione della Corte e il Principio del Sequestro Preventivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la piena legittimità del sequestro preventivo sul conto corrente. La Suprema Corte ha chiarito che, in sede di legittimità, il suo sindacato sulla motivazione è limitato alla verifica della sua esistenza e coerenza logica, senza poter entrare nel merito delle valutazioni di fatto.

L’Uso Promiscuo del Conto Corrente come Elemento Decisivo

Il punto centrale della decisione è il concetto di “uso promiscuo”. Il Tribunale aveva accertato, sulla base di informative della polizia giudiziaria, che il conto personale veniva utilizzato non solo per esigenze private, ma anche in funzione dell’attività professionale che si sospettava fosse “piegata agli interessi della ‘ndrangheta”. Questa commistione ha reso il conto stesso uno strumento potenzialmente pericoloso, giustificando il mantenimento del vincolo cautelare. Il dissequestro di un’altra entità (la ditta individuale) non implicava automaticamente la liberazione del conto personale, poiché la valutazione sulla pertinenzialità del bene rispetto al reato deve essere autonoma e specifica per ogni singolo bene.

La Motivazione “per relationem” è Valida

La Corte ha inoltre respinto la censura relativa alla motivazione insufficiente. I giudici hanno affermato che la motivazione del Tribunale, sebbene facesse riferimento (per relationem) a un’informativa della Guardia di Finanza, era tutt’altro che assente o apparente. Essa spiegava chiaramente le ragioni del rigetto: la necessità di mantenere il sequestro derivava proprio dalla persistente pertinenzialità del conto rispetto alle attività illecite dell’indagato. La motivazione, quindi, possedeva i requisiti minimi di coerenza e completezza necessari per rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali. In primo luogo, ha riaffermato che il ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo è consentito solo per violazione di legge. In tale vizio rientra anche la motivazione totalmente assente o meramente apparente, cioè quella che, per la sua illogicità o incompletezza, non consente di comprendere il ragionamento del giudice. Nel caso di specie, la motivazione esisteva ed era idonea a spiegare perché l’istanza di dissequestro fosse stata respinta. Il Tribunale aveva correttamente individuato il punto decisivo: l’uso promiscuo del conto e il suo collegamento funzionale con le attività illecite contestate al professionista. In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che la questione non era riesaminare i presupposti originari del sequestro, ma valutare se, dopo il dissequestro di altri beni, persistessero le esigenze cautelari sul conto personale. La risposta è stata affermativa, poiché la natura delittuosa funzionale a supportare l’associazione mafiosa era stata ipotizzata proprio in relazione alle attività (dissimulate) del professionista, rendendo il suo conto personale uno strumento pertinente al reato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza offre importanti spunti pratici. Anzitutto, evidenzia come la netta separazione tra patrimonio personale e professionale sia cruciale, specialmente per chi opera in settori a rischio. Un conto corrente personale, se utilizzato per finalità illecite legate all’attività d’impresa, perde la sua neutralità e può essere legittimamente sottoposto a sequestro preventivo. Inoltre, la pronuncia conferma la validità della motivazione per relationem, a condizione che l’atto richiamato sia specifico e il ragionamento del giudice rimanga chiaro e comprensibile. Infine, si ribadisce che ogni bene viene valutato autonomamente: il dissequestro di uno non comporta automaticamente la liberazione degli altri, se per questi ultimi persiste un nesso funzionale con il reato.

Un conto corrente personale può essere sottoposto a sequestro preventivo se utilizzato anche per l’attività professionale?
Sì, può essere sottoposto a sequestro preventivo, specialmente se l’attività professionale è sospettata di essere collegata a reati. La sentenza chiarisce che l’uso promiscuo del conto, cioè sia per fini personali che per attività illecite, costituisce un elemento chiave per giustificare la misura cautelare.

È sufficiente una motivazione che si richiama ad altri atti del procedimento per giustificare il mantenimento di un sequestro?
Sì, la Corte di Cassazione considera valida una motivazione ‘per relationem’, ovvero che fa riferimento ad altri atti come un’informativa di polizia. La condizione è che la motivazione risulti comunque coerente, completa e in grado di rendere comprensibile il percorso logico seguito dal giudice, come avvenuto nel caso di specie.

Il dissequestro di un bene appartenente a una ditta si estende automaticamente al conto personale dell’imprenditore?
No, non automaticamente. La valutazione sulla necessità di mantenere il sequestro viene fatta su ogni singolo bene. Anche se un bene aziendale viene liberato, un conto personale può rimanere sequestrato se si ritiene che abbia un legame funzionale e persistente con le attività illecite contestate all’indagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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