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Sequestro preventivo: quando è legittimo mantenerlo?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di sequestro preventivo di un’area, anche se i rifiuti in superficie erano stati rimossi. La Corte ha stabilito che la semplice pulizia non è sufficiente a far cessare il pericolo se sussiste un concreto rischio di reiterazione del reato o di inquinamento non visibile, come quello del sottosuolo. Il sequestro preventivo può quindi essere mantenuto per evitare l’aggravarsi del danno ambientale.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Ambientale: la Rimozione dei Rifiuti è sufficiente?

Il sequestro preventivo di un’area inquinata è una misura potente per fermare un danno ambientale. Ma cosa succede se, dopo il sequestro, l’indagato rimuove i rifiuti? È un gesto sufficiente per ottenere la restituzione del bene? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, chiarendo che la semplice ‘pulizia’ potrebbe non bastare se il pericolo di inquinamento o di reiterazione del reato non è stato completamente eliminato.

Il caso in esame: un’area edile sotto sequestro

Il Tribunale di Reggio Calabria aveva confermato il sequestro preventivo di un’area destinata a un intervento edilizio. Il provvedimento era stato emesso nell’ambito di un’indagine per gestione illecita di rifiuti a carico del legale rappresentante di una società immobiliare.

L’indagato, dopo aver ottenuto un dissequestro temporaneo proprio per bonificare l’area, aveva provveduto a rimuovere i rifiuti presenti. Successivamente, aveva richiesto la revoca definitiva del sequestro, sostenendo che, con la rimozione dei materiali, era venuto meno il periculum, ovvero il pericolo che aveva giustificato la misura cautelare. Il Tribunale, però, aveva respinto la richiesta, confermando il vincolo sull’area.

Le ragioni del ricorso e il mantenimento del sequestro preventivo

L’imprenditore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali:
1. Cessazione del pericolo: La rimozione dei rifiuti aveva eliminato ogni rischio, rendendo infondata l’ipotesi del Tribunale secondo cui la pulizia fosse solo un pretesto per riprendere l’attività illecita.
2. Errata applicazione della legge: Il reato contestato era l’abbandono di rifiuti, non l’omessa bonifica. Di conseguenza, il riferimento del Tribunale alla normativa sulla bonifica (art. 242 bis d.lgs. 152/2006) era ritenuto inconferente.
3. Insussistenza dei presupposti per la confisca: Il reato non prevedeva la confisca obbligatoria del terreno, quindi non era giustificato anticiparne gli effetti tramite il sequestro.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti fondamentali sui limiti del sequestro preventivo in materia ambientale.

In primo luogo, la Corte ha ricordato che il ricorso contro misure cautelari reali è ammesso solo per ‘violazione di legge’ e non per contestare il merito della decisione del giudice, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica o inesistente. In questo caso, il Tribunale aveva fornito una motivazione chiara e dettagliata.

Il Tribunale aveva evidenziato che la semplice asportazione dei rifiuti in superficie non garantiva la cessazione di ogni pericolo. Le ‘modalità spregiudicate’ di gestione dell’attività imprenditoriale e la stretta connessione tra i rifiuti e l’attività edificatoria creavano un concreto rischio di reiterazione del reato. Inoltre, vi era la ‘concreta possibilità’ che nel sottosuolo fossero presenti altri rifiuti interrati. Questi avrebbero potuto continuare a inquinare, in particolare la falda acquifera, aggravando il danno ambientale e il pregiudizio per la salute pubblica.

Secondo la Corte, il ragionamento del Tribunale era corretto: non essendo intervenuta una vera e propria ‘bonifica’ (un processo complesso e disciplinato dalla legge), ma solo una ‘pulizia’ superficiale, il rischio non poteva considerarsi eliminato. Il riferimento alla normativa sulla bonifica non serviva a contestare un nuovo reato, ma a spiegare perché l’intervento eseguito non fosse risolutivo.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio importante: la rimozione dei rifiuti da un’area sotto sequestro non comporta automaticamente il diritto al dissequestro. Il giudice deve valutare se il pericolo per l’ambiente sia stato realmente e completamente eliminato. Se sussiste il fondato timore che l’inquinamento possa proseguire (ad esempio, a causa di rifiuti interrati) o che l’indagato possa ripetere la condotta illecita, il sequestro preventivo può e deve essere mantenuto. Questa decisione rafforza la funzione preventiva della misura, garantendo che la tutela dell’ambiente non si fermi a una soluzione di facciata, ma miri a una risoluzione effettiva e duratura del danno.

La semplice rimozione dei rifiuti da un’area sotto sequestro preventivo è sufficiente per ottenerne il dissequestro?
No. Secondo la Corte, la semplice asportazione dei rifiuti non è sufficiente se permane un concreto rischio che la condotta illecita possa essere ripetuta o che il danno ambientale possa aggravarsi, ad esempio per la presenza di altri rifiuti interrati non rimossi.

Quali sono i limiti del ricorso per cassazione contro un’ordinanza che conferma un sequestro preventivo?
Il ricorso è consentito solo per ‘violazione di legge’. Non si possono contestare le valutazioni di merito o la logicità della motivazione del giudice, a meno che questa non sia totalmente assente, meramente apparente o così contraddittoria da non rendere comprensibile il ragionamento seguito.

Perché il Tribunale ha ritenuto ancora esistente il pericolo (‘periculum’) nonostante l’area fosse stata ripulita?
Il Tribunale ha ritenuto che il pericolo persistesse a causa della stretta connessione tra i rifiuti e l’attività edilizia, delle modalità ‘spregiudicate’ di gestione e della concreta possibilità che nel sottosuolo vi fossero altri rifiuti. Questi elementi indicavano un rischio concreto di reiterazione del reato o di aggravamento del danno ambientale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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