Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22096 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22096 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 25/10/1959
avverso l’ordinanza del 19/12/2024 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 19/12/2024 il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato il sequestro preventivo dell’area censita in catasto al fg. 3, Sez. Gallina E, p.11e nn. 2140, 2149 e 2462 disposto nel procedimento a carico di COGNOME e COGNOME in quanto indagati dei reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 25 comma 1 lett. b) e comma 2 d. Igs. 152/2006 rigettando l’appello proposto da COGNOME, quale legale rapp.te della RAGIONE_SOCIALE
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione COGNOME, nella qualità di legale rapp.te della predetta società, che, con il primo motivo, denuncia la violazione di legge sostanziale e processuale in relazione agli artt. 125 comma 3 e 321 commi 1 e 3 cod. proc. pen. Si rappresenta che l’area era stata sgombrata
dai rifiuti presenti, avvalendosi del temporaneo dissequestro disposto dal GIP a tale fine, per cui era venuto meno il “periculum che aveva giustificato l’originaria cautela”. Era pertanto del tutto infondata l’ipotesi del Tribunale secondo cui l’area era stata sgombrata dai rifiuti in modo da ottenerne la restituzione per “ricostruire le condizioni di illiceità”. Si aggiunge, a confutazione dell’argomento del Tribunale, che l’indagato è incensurato e sta realizzando nell’area un intervento edilizio in forza di accordi contrattuali la cui mancata attuazione potrebbe comportare il pagamento di “consistenti danni” per cui non ha interesse a ripristinare una situazione di illegalità che potrebbe determinare nuovi sequestri.
2.1 Con il secondo motivo, si denuncia la violazione degli artt. 256 comma 3 e 242 bis d.lgs. 152/06. Si deduce che con la preliminare rubrica era stato contestato il reato di abbandono incontrollato di rifiuti per cui risultav inconferente il richiamo del Tribunale alla previsione dell’art. 242 bis d. Igs 152/06.
2.2 Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 256 comma 3 d. Igs. 152/2006 e l’omessa motivazione in ordine all’asserita sussistenza dei presupposti della confisca. Si deduce che i reati per cui si stava procedendo non avevano la confisca del terreno quale conseguenza della sentenza di condanna per cui l’argomento del GIP che aveva rigettato l’istanza di dissequestro rilevando la confiscabilità dell’area violava l’art. 256 comma 3 d.lgs. 152/2006. Ancora si aggiunge che non era stata fornita motivazione alcuna in ordine alle ragioni per le quali si era ritenuto necessario anticipare gli effetti ablativi nella fase delle indag preliminari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta inammissibile in quanto articolato in motiv manifestamente infondati o non consentiti.
Deve infatti essere ricordato che in tema di provvedimenti cautelari reali il ricorso per cassazione è consentito solo per violazione di legge ex art. 325 cod. proc. pen. e che tale vizio ricomprende, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239692). E nello specificare tale presupposto si è chiarito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, è ammissibile quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente
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apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013 Cc. (dep. 11/02/2013) Rv. 254893).
Nella specie è la stessa dettagliata confutazione articolata dalla difesa ad escludere che ci si trovi di fronte ad un provvedimento la cui motivazione sia carente o comunque priva dei requisiti di coerenza e completezza tali da rendere incomprensibile il ragionamento seguito, rientrando semmai il vizio denunciato nella manifesta illogicità la cui valorizzazione è preclusa dalla disposizione di cui all’art. 325 c.p.p.
Il Tribunale dà conto degli interventi eseguiti nell’area, che avevano determinato l’asportazione dei rifiuti che si trovavano depositati sul terreno, ma confuta l’argomento difensivo secondo il quale il completamento della “bonifica” aveva determinato il “ripristino dello stato dei luoghi” e “disinnescato la probabilità di cagionare danni all’ambiente e/o di aggravare gli eventuali danni”.
Rileva il Tribunale, in primo luogo, che “la stretta pertinenzialità dei rifiu rinvenuti sul terreno … all’esercizio dell’attività edificatoria” e le “mod spregiudicate” di gestione dell’attività imprenditoriale rendevano concreto il rischio che il terreno potesse essere interessato da “condotte illecite di tenore analogo a quelle censurate mediante il provvedimento odiernamente impugnato”.
Si aggiunge, quindi, che non essendo intervenuta un’operazione di bonifica, così come disciplinata dall’art. 242 bis d.lgs. 152/2006, vi era la concreta possibilità che nel sottosuolo vi fossero altri rifiuti interrati per cui nuove condot illecite avrebbero aggravato o protratto “il danno ambientale ed il conseguente pregiudizio per la salute pubblica derivante dall’infiltrazione dei predetti material nella falda acquifera”.
L’ordinanza fornisce, quindi, una giustificazione aderente alla situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti in ordine al mantenimento del vincolo spiegando le ragioni per le quali la “pulizia del terreno” non giustificava la restituzione dell’area, così da sottrarsi alle censure di violazione di legge denunciate con il primo motivo del ricorso.
Gli stringenti limiti del sindacato riservato alla Corte non consentono di verificare se l’iter argomentativo del Tribunale presenti incongruenze o salti logici nel processo inferenziale ma è evidente che a esso non si attagli la denuncia di violazione degli artt. 256 comma 3 e 242 bis d.lgs. 152/2006, non avendo il Tribunale asserito che i reati per cui si procedeva imponevano all’indagato di procedere alla bonifica del sito. Il riferimento all’art. 242 bis, infatti
ragionamento del Tribunale, era finalizzato a dimostrare che le operazioni compiute non erano riconducibili alla previsione normativa per cui permaneva il
rischio di pregiudizio per l’ambiente e l’inquinamento della falda acquifera.
5. La idoneità del percorso argomentativo sviluppato nel provvedimento impugnato per giustificare il mantenimento del sequestro impeditivo rende
irrilevanti le lamentate omissioni motivazionali in ordine alla confiscabilit dell’area. Il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa del
provvedimento rispetto ad un tema contenuto nell’atto di impugnazione, infatti, può essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati
o disattesi abbiano carattere di decisività (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep.
2016, COGNOME, Rv. 267723 – 01).
6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente stesso, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.,
di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 15/5/2025