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Sequestro preventivo: quando è legittimo in Italia?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una società statunitense contro un sequestro preventivo di un ingente credito IVA fittizio. La Corte ha stabilito la piena giurisdizione italiana, dato che la condotta criminale era interamente radicata in Italia. Inoltre, ha confermato la legittimità del sequestro, evidenziandone la duplice natura, sia impeditiva (per prevenire ulteriori reati) che finalizzata alla confisca, rendendo irrilevanti le contestazioni sulla buona fede del terzo proprietario.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro preventivo: quando è legittimo in Italia?

Il sequestro preventivo è uno degli strumenti più incisivi a disposizione dell’autorità giudiziaria per contrastare le attività criminali, specialmente in ambito economico e finanziario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui presupposti di tale misura, in particolare in contesti transnazionali e in relazione alla posizione di terzi proprietari. Il caso analizzato riguarda il sequestro di un colossale credito IVA, ritenuto fittizio, detenuto da una società statunitense formalmente estranea ai fatti.

I Fatti del Caso

Al centro della vicenda vi è un’ordinanza del Tribunale del Riesame che confermava il sequestro di un credito IVA di oltre 200 milioni di euro. Tale credito era formalmente nella disponibilità di una società statunitense, la quale lo aveva acquisito tramite l’incorporazione di una società italiana. Secondo l’accusa, il credito era fittizio e faceva parte di un complesso schema criminoso orchestrato da diversi soggetti indagati per reati come la tentata truffa aggravata. La società statunitense, attraverso il suo legale rappresentante, ha impugnato il provvedimento di sequestro dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando diversi vizi.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorrente ha basato la sua difesa su tre argomenti principali:

1. Difetto di Giurisdizione Italiana: Sosteneva che, trattandosi di un reato solo tentato e coinvolgendo una società estera, mancasse il presupposto della territorialità per radicare la giurisdizione dei tribunali italiani.
2. Insussistenza dei Presupposti del Sequestro: Contestava la mancanza del fumus commissi delicti (la parvenza di reato) e del periculum in mora (il pericolo nel ritardo), ritenendo la motivazione del Tribunale carente.
3. Erronea Valutazione sulla Veridicità del Credito: Lamentava che i giudici non avessero considerato adeguatamente i documenti che, a suo dire, attestavano la regolarità e la legittimità del credito IVA.

Il sequestro preventivo e la Giurisdizione Italiana

La Corte di Cassazione ha respinto con forza il primo motivo di ricorso. Ha ribadito un principio consolidato: per affermare la giurisdizione italiana è sufficiente che anche solo un frammento della condotta criminosa si sia verificato sul territorio nazionale. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte ha osservato che la condotta era stata interamente commessa in Italia. La società statunitense, infatti, aveva una sede a Milano, un codice fiscale italiano, si interfacciava con l’Agenzia delle Entrate italiana e il tentativo di utilizzare il credito fittizio era avvenuto in Italia. Anche le comunicazioni tra gli indagati, da cui emergeva la consapevolezza della natura illecita del credito, erano avvenute in Italia. Di conseguenza, la questione sulla giurisdizione è stata ritenuta manifestamente infondata.

Le due facce del sequestro preventivo

Particolarmente interessante è l’analisi della Corte sul secondo motivo. I giudici hanno chiarito che il sequestro preventivo nel caso in esame aveva una duplice finalità:

* Impeditiva (art. 321, comma 1, c.p.p.): Volta a impedire che il credito fittizio potesse essere ulteriormente ceduto a terzi o utilizzato in compensazione, così protraendo il reato o commettendone di nuovi.
* Finalizzata alla Confisca (art. 321, comma 2, c.p.p.): Mirata a vincolare il bene in vista di una futura confisca.

Il ricorrente aveva criticato solo la seconda finalità, tralasciando completamente la prima. La Corte ha sottolineato che, quando il sequestro ha una funzione impeditiva, la buona fede del terzo proprietario è irrilevante. Ciò che conta è che la libera disponibilità del bene possa costituire un pericolo. Poiché le indagini avevano dimostrato che gli indagati stavano attivamente cercando di cedere il credito, il periculum era evidente e la misura impeditiva pienamente giustificata. L’impugnazione parziale ha reso il motivo di ricorso inammissibile.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile basandosi su argomentazioni logico-giuridiche stringenti. Sulla giurisdizione, ha concluso che non vi fosse alcun dubbio sulla competenza italiana, data la localizzazione dell’intera operazione fraudolenta nel Paese. Per quanto riguarda i presupposti della misura cautelare, la Corte ha evidenziato come il ricorrente avesse attaccato solo una delle due rationes decidendi (le ragioni della decisione) del provvedimento, ovvero quella relativa alla confisca, ignorando quella impeditiva. Quest’ultima, da sola, era sufficiente a sostenere la legittimità del sequestro, rendendo irrilevante la questione della buona fede della società. Infine, anche il terzo motivo sulla presunta veridicità del credito è stato rigettato, in quanto la motivazione del Tribunale, seppur sintetica, è stata ritenuta esistente e non illogica, e comunque il ricorrente, nel precedente grado di giudizio, non aveva contestato la fittizietà del credito ma solo l’estraneità della sua società.

Le Conclusioni

La sentenza consolida importanti principi in materia di misure cautelari reali. In primo luogo, conferma l’ampia portata del principio di territorialità, che consente alla giustizia italiana di perseguire reati con elementi di transnazionalità anche a fronte di una minima connessione con il territorio. In secondo luogo, chiarisce che la duplice natura del sequestro preventivo (impeditivo e finalizzato alla confisca) ha un impatto decisivo sulle strategie difensive. Un ricorso che non contesti entrambe le finalità è destinato all’inammissibilità. Per il terzo proprietario, anche se in buona fede, diventa quasi impossibile ottenere la restituzione di un bene se la sua libera disponibilità può facilitare la commissione di altri reati.

Quando si applica la giurisdizione italiana per un reato commesso anche all’estero?
La giurisprudenza italiana stabilisce che per radicare la giurisdizione è sufficiente che anche solo una minima parte della condotta criminosa, un ‘frammento’, sia avvenuta nel territorio dello Stato. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che l’intera condotta fosse stata commessa in Italia.

Un terzo proprietario in buona fede può opporsi a un sequestro preventivo?
Sì, ma con dei limiti importanti. Se il sequestro ha anche una finalità ‘impeditiva’, cioè mira a prevenire la commissione di ulteriori reati, la buona fede del terzo diventa irrilevante. La misura è legittima se la disponibilità del bene può aggravare o protrarre le conseguenze del reato, a prescindere dallo stato soggettivo del proprietario.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile per aver criticato solo una parte della decisione?
Perché il provvedimento di sequestro si basava su due diverse ragioni giuridiche autonome (rationes decidendi): la finalità impeditiva e quella finalizzata alla confisca. Il ricorrente ha contestato solo la seconda. Secondo la Corte, quando una decisione è sorretta da più motivazioni indipendenti, il ricorso che ne critica solo una è inammissibile per difetto di specificità, poiché la decisione resterebbe comunque valida sulla base della motivazione non contestata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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