Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34833 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34833 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato in Bangladesh il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 27/11/2024 del Tribunale della Libertà di Asti visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME; udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni rassegnate dall’AVV_NOTAIO, in sostituzione, con delega orale, dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che si è riportato al ricorso chiedendone l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 dicembre 2024 Tribunale del Riesame di Asti ha respinto l’appello proposto, ex art. 322-bis cod.proc.pen. avverso l’ordinanza con cui -il 30 settembre 2024- il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale aveva rigettato l’istanza di dissequestro e restituzione del credito IVA di 218.001.012,00 euro, sottoposto a sequestro preventivo con decreto adottato dal medesimo giudice il 16 giugno 2024, nell’ambito del procedimento penale pendente a carico di COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME in relazione ad una pletora di reati tra i quali quello -contestato al capo e) di provvisoria imputazionedi cui agli artt. 56, 81 cpv., 110 e 640, commi 1 e 2 n. 1, cod.pen., coinvolgente la società RAGIONE_SOCIALE -con legale rappresentante pro-tempore l’odierno ricorrente- che, secondo prospettazione accusatoria, sarebbe formale intestataria del falso credito IVA posto sotto sequestro.
NOME, nella sua qualità, ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso per l’annullamento dell’ordinanza, affidato a tre motivi.
2.1. Col primo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen., inosservanza o erronea applicazione dell’art. 6 cod.pen., per violazione del principio di territorialità, e insussistenza della giurisdizione italiana in relazione contestato tentativo di truffa e al reato, tentato, di indebita compensazione di cui agli artt. 48 cod. pen. e 10-quater d.lgs. n. 74/2000.
Assume la difesa che il Tribunale del riesame, confermando l’impostazione del Giudice per le indagini preliminari impugnato, avrebbe erroneamente dedotto che «ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana è sufficiente che nel territori dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta», con ciò ignorando le allegazioni difensive relative alla peculiarità della contestazione, nella forma tentata, e omettendo di vagliare la sussistenza dei requisiti della idoneità e inequivocità della porzione di condotta interessata ad assumere un significativo e univoco collegamento col territorio.
2.2. Col secondo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod.proc.pen., inosservanza o erronea applicazione dell’art. 321, comma 2, cod.proc.pen., in relazione ai presupposti che legittimano l’adozione del sequestro. Assume la difesa anche la relativa mancanza di motivazione.
Il sequestro era stato disposto a mente dell’art. 321, commi 1 e 2, cod.pen..
Il ricorrente aveva, innanzi al Tribunale, contestato l’insussistenza di entrambi i presupposti, fumus commissi delicti e periculum in mora.
Il Tribunale, rammentando, in tema di sequestro preventivo, i limiti dell’interlocuzione del terzo che assume di aver diritto alla restituzione del bene (sola deduzione della propria effettiva titolarità o disponibilità dello stesso e assenza di collegamento concorsuale con l’indagato) ha tuttavia omesso di considerare che il sequestro era stato disposto, anche, ai sensi del comma secondo dell’art. 321 cod.proc.pen., e, quindi, pretermesso la verifica del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, come necessario in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca; della oggettiva confiscabilità del bene in difetto del periculum in mora ed anche del fumus commissi delicti; della buona fede della società ricorrente.
2.3. Col terzo motivo la difesa lamenta ex art. 606, comma 1, lett b) cod.proc.pen., erronea applicazione di legge relativamente alla presunta apparente motivazione ovvero all’omesso esame di punti decisivi con particolare riferimento alla questione inerente alla veridicità del credito IVA.
La regolarità del credito IVA era stata certificata dal Tribunale di Milano, Sezione fallimentare, in forza di acquisto di ramo di azienda nell’ambito di una procedura di liquidazione giudiziale; la non fittizietà fiscale era stata certificata documentazione attestata dal competente Stato del Delaware.
Nonostante la scrupolosa ricostruzione dei fatti riproposta dalla difesa il Tribunale avrebbe frettolosamente ribadito l’irregolarità del credito sulla base dei soli atti di indagine penale, incorrendo, ancora una volta, in violazione di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Manifestamente infondato risulta il primo motivo, che non si confronta con le ragioni della decisione.
1.1. Si fa rinvio, per la puntuale ricostruzione dei fatti che hanno condotto all’emissione dell’originario decreto di sequestro preventivo del Giudice per le indagini preliminari di Asti, allo spaccato motivazionale dell’ordinanza impugnata da pagina 2 a pagina 4, ed alla motivazione del decreto di sequestro in oggetto.
E’ sufficiente, in questa sede, rilevare che COGNOME, di concerto con gli altri indagati, aveva intrapreso una ramificata e fiorente attività di intermediazione
nella cessione di crediti fiscali fittizi a terzi acquirenti di buona fede, che li avevan poi dedotti in compensazione.
Tra gli acquirenti risulta anche la RAGIONE_SOCIALE, società statunitense, che nel 2020 aveva aperto una sede in Italia, e nel medesimo anno aveva incorporato la società italiana RAGIONE_SOCIALE, la quale possedeva un credito IVA, risultante dalla dichiarazione IVA 2020, pari a 218.001.012,00 euro di poi incorporato nel bilancio della RAGIONE_SOCIALE ed oggetto di richiesta di rimborso -respinta- alla Agenzia delle Entrate Italiana che aveva altresì, all’esito degli esperiti controlli, emesso un avviso di accertamento con cui disconosceva il credito e comminava la sanzione amministrativa di 367.876.650,00 euro, confermata dal giudice tributario.
La fittizietà del credito fiscale di che trattasi veniva desunta dalla totale inattivi della società RAGIONE_SOCIALE, il cui credito era, peraltro, risultante dalla fusio con altra società coinvolta nel complesso schema criminoso indagato.
La piattaforma indiziaria inerente al reato tentato contestato veniva invece individuata nelle acquisizioni, coeve alla disponibilità del credito in capo alla RAGIONE_SOCIALE, relative alla chat tra gli indagati COGNOME e COGNOME, da cui risultava che il primo aveva inviato al secondo i documenti relativi ai crediti fiscali di varie società, ed ad una serie di messaggi tra gli stessi da cui risultava che l’invio della documentazione era finalizzato alla ricerca di persone interessate all’acquisto dei crediti della cui fittizietà gli interlocutori erano perfettamente a conoscenza.
2.2. Ciò premesso infondata è la censura di insussistenza della giurisdizione italiana.
Intende il Collegio ribadire che non v’è dubbio che in caso di fattispecie tentata, e di concorso di persone nel reato commesso, in parte, all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana e per la punibilità di tutti i concorrent è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificata anche solo una frazione della condotta ad opera di uno qualsiasi dei concorrenti, che, seppur priva dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, sia comunque significativa e collegabile in modo chiaro e univoco alla parte restante realizzata in territorio estero (ex multis Sez. 3, n. 35165 del 02/03/2017 Ud. (dep. 18/07/2017) Rv. 270686 – 01, e, con specifico riferimento a fattispecie di reati fiscali, Sez. 2, n. 4583 del 10/12/2021 Ud. (dep. 09/02/2022) Rv. 282812 – 01,
e Sez. 3, n. 15213 del 05/12/2019 Ud. (dep. 15/05/2020) Rv. 279000 – 01). Questa Corte di cassazione ha infatti ripetutamente affermato che ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo u frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, che, seppur privo dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia e quella realizzata in
territorio estero (Sez. 4, n. 39993 del 07/10/2021, Rv..282061 – 01; Sez. 4, n. 6376 del 20/01/2017, Rv. 269062 – ed altre). Si ribadisce, quindi, che non è neppure richiesta ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana l’integrale consumazione del fatto nel territorio dello Stato, essendo sufficiente individuare una frazione della condotta, specificamente indicata dalla giurisprudenza quale semplice frammento privo persino dei caratteri del tentativo punibile.
2.3. Il principio, di ordine generale, è tuttavia inconferente rispetto alla vicenda in esame, in cui il Tribunale di Asti, ricostruiti i fatti, ha dedotto come la condotta incriminata è, certamente, interamente commessa in Italia.
Tanto risulta dalla ricostruzione della vicenda fiscale, segnata dalle circostanze dell’avere la società -statunitense- RAGIONE_SOCIALE una sede in Italia, Milano, sin dall’anno 2000; dell’essere la stessa, contribuente italiana, come comprovato dal possesso, ancora attuale, di un codice fiscale italiano e di un indirizzo PEC italiano, cui peraltro è stato notificato il decreto di sequestro preventivo (EMAIL ); dell’aver la stessa RAGIONE_SOCIALE, interfacciandosi con l’Agenzia delle Entrate italiana, tentato di far valere, in Italia, un credito fiscal maturato -formalmente- in Italia nel 2000, in capo a società di diritto italiano, la RAGIONE_SOCIALE -formalmente- operante in Italia, incorporata nella RAGIONE_SOCIALE nel 2020, quando questa ultima aveva ancora la sua sede in Italia.
E dalle altrettanto inequivoche circostanze relative alla contestazione di truffa tentata, contestata fino al 17 gennaio 2024 “in luoghi in corso di accertamento”, che, con logica stringente, il Tribunale del riesame colloca in Italia, argomentando, a proposito del fumus del tentativo di cessione IVA oggetto di contestazione, che lo stesso emerge dall’analisi della chat intercorsa tra COGNOME NOME e COGNOME NOME e che «on vi è peraltro alcun elemento che porti a ritenere che tale scambio di messaggi non sia avvenuto in Italia, Paese di origine degli indagati e nel quale entrambi risultano risiedere ed operare. In altre parole il reato di truffa tentata per cui si procede risulta essere stato commesso in Italia.»
2.4. Con siffatte corrette e stringenti argomentazioni la difesa del ricorrente non si confronta, sicché le censure svolte risultano meramente contestative ove denunciano la loro irrilevanza ai fini del vaglio dei requisiti di idoneità ed inequivocità degli atti posti in essere a commettere il reato.
Inammissibile, e comunque manifestamente infondato è, anche, il secondo motivo di ricorso.
3.1. È opportuno premettere, essendo stato prospettato col motivo in trattazione anche un vizio di motivazione, che, a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione
dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del ‘provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656).
Nello specificare tale presupposto, si è chiarito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, è ammissibile quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013, Rv. 254893).
3.1.1. La motivazione resa dal Tribunale in relazione ai motivi di appello sì come riassunti nel provvedimento oggetto di ricorso -e non specificamente impugnato in parte qua- è palesemente immune da un vizio siffatto, in quanto diffusamente (cfr. pag 3 e segg), e correttamente, argomenta a proposito della sussistenza dei requisiti del disposto vincolo reale, sicché lungi dall’essere meramente apparente, risulta nella sua consistenza congrua a rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato.
3.2. L’ordinanza si sottrae, anche, alla censura di erronea applicazione di legge in relazione ai presupposti del sequestro, disposto ai sensi dell’art. 321, commi 1 e 2, cod.proc.pen. .
3.2.1. Con l’atto di appello era stata contestata la totale estraneità della RAGIONE_SOCIALE alla fraudolenta utilizzazione di crediti fittizi da parte degli indagati, in difet di comprovato collegamento con gli stessi, e l’omessa indicazione degli elementi atti a comprovare la disponibilità del credito in capo agli indagati (cfr. riassunto dei motivi di appello a pagina 3 dell’ordinanza impugnata).
A fronte della mera generica contestazione della sussistenza del fumus commissi delicti, il Tribunale ha comunque correttamente motivato sulla sua con igurabilità, · 110.».4 te” certa la fittizietà del credito in forza degli accertamenti tributari GLYPH (..1′ Agulor inoperatività della società, formale originaria titolare del credito, e comprovate le condotte fraudolente degli intermediari per la cessione -gli indagati COGNOME e COGNOME– in forza della materiale disponibilità del credito in capo a questi ultimi, disponibilità correttamente ritenuta per via della detenzione, di fatto, della documentazione relativa, funzionale alla fraudolenta cessione, come certificata da chat e colloqui intercettati relativi alla trasmissione delle documentazione di che trattasi tra costoro, argomenti necessari e sufficienti a giustificare il provvedimento di ablazione reale.
Pur facendo dunque appello ad orientamento giurisprudenziale superato, il Tribunale ha comunque indagato la sussistenza del fumus del reato contestato, laddove il periculum già risultava attestato dall’impugnato decreto di sequestro la cui motivazione si salda ed integra in un unicum motivazionale quella resa dal Tribunale- come riportato alla pagina 4 dell’ordinanza qui impugnata, espressamente ravvisandolo nella finalità impeditiva: «er evitare che lo stesso potesse essere utilizzato in compensazione o ceduto a terzi soggetti, dunque per evitare la commissione di ulteriori reati.Tale credito infatti risultava ancora nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE e dalle indagini era emerso come i soggetti coinvolti nelle indagini stessero attivamente tentando di venderlo a terzi soggetti. In particolare dall’analisi di una chat tra gli indagati COGNOME NOME e COGNOME NOME, risultava che il primo avesse inviato al secondo i documenti relativi ai crediti fiscali di varie società. Dal tenore dei messaggi si evinceva, peraltro, non solo che l’invio della documentazione fosse finalizzato alla ricerca di persone interessate all’acquisto dei crediti, ma anche che entrambi gli indagati fossero perfettamente a conoscenza della natura fittizia degli stessi. Ebbene, in data 16.11.2023, il COGNOME inviava a COGNOME anche i documenti relativi ad una società di diritto statunitense, che aveva acquisito da una società italiana crediti IVA per 218 milioni di euro».
3.2.2. Fermo quanto già argomentato a proposito dell’insussistente difetto di motivazione, la giustificazione delle ragioni impeditive del disposto sequestro è tale da non potersene revocare in dubbio la correttezza.
Intende il Collegio dare continuità all’indirizzo di questa Corte (Sez. 3, n. 32272 del 2024) che, a fronte della più risalente impostazione secondo cui, in tema di sequestro preventivo, il terzo che affermi di avere diritto alla restituzione del bene oggetto di sequestro, può dedurre, in sede di merito e di legittimità, unicamente la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e l’inesistenza di un proprio contributo al reato attribuito all’indagato, senza potere contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare (così Sez. 3, 22 agosto 2019, n. 36347, rv 276700; Sez. 4, 5 ottobre 2016, n. 42037, rv 268070), fra i quali deve intendersi essere anche il periculum in mora, si è ritenuto che, invece, al terzo, è consentito contestare, sia in sede di merito che in sede di legittimità, anche la sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora «posto che, se potesse fare valere solo la propria disponibilità del bene e l’insussistenza di un contributo personale al reato, il suo diritto di difesa sarebbe limitato a profili ex se non ostativi all’adozione del vincolo e subirebbe, inoltre, un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto all’indagato, legittimato a fare valere l’inesistenza dei presupposti della cautela reale (Corte di cassazione, 7 marzo 2024, n. 9709, rv 286032; Sez. 3, 24 gennaio 2024, n. 3034, rv 285746)».
Si rammenta, allora, che questa Corte, nel suo più autorevole consesso, ha definitivamente chiarito che il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca, deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle sole ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 11 ottobre 2021, n. 36959, rv 281848). Pertanto, una motivazione che lasciasse impregiudicato il tema del pericolo nel ritardo, sarebbe una motivazione, essendo stato in essa trascurato di dimostrare la sussistenza di uno degli elementi normativamente necessari per la adozione del provvedimento, sul punto, omissiva o, quanto meno, meramente apparente e, conseguentemente, redatta in temini non di conformità alla legge.
3.2.3. Ma non è questo il caso, poiché il provvedimento impugnato, come già rilevato, si innesta in un procedimento in cui le ragioni del disposto sequestro sono duplici, ai sensi del primo e del secondo comma dell’art. 321 cod.proc.pen.
E, le ragioni del sequestro “impeditivo”, risultano Correttamente dedotte (cfr. il superiore §3.2.1.) nella ordinanza impugnata, da leggersi unitamente al decreto impositivo del vincolo.
Si rinvia, per la migliore loro esplicitazione, al provvedimento cautelare genetico, che adeguatamente ha giustificato l’esistenza del pericolo ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod.proc.pen.. Come, infatti, la giurisprudenza della Corte di legittimità ha chiarito, sebbene l’onere motivazionale in punto di pericolo nel ritardo non possa ritenersi soddisfatto tramite il semplice riferimento, specie ove il sequestro abbia ad oggetto somme di danaro, alla naturale volatilità e fungibilità del bene in questione (per tutte, Sez. 3, 4 marzo 2024, n. 9206, rv 286021), tuttavia è sufficiente che, anche con concisa motivazione, il giudicante dia conto delle plausibili ragioni per le quali si rende necessaria la anticipazione dell’effetto ablatorio rispetto alla definizione del giudizio.
Nel caso ora in esame, con motivazione che non è né apparente né palesemente illogica, il giudice del riesame ha ricollegato l’esistenza del pericolo ad una obbiettiva condotta commissiva, pur arginata entro i confini del tentativo, integrante il requisito erroneamente dalla difesa ritenuto inesistente e funzionale a giustificare almeno le ragioni impeditive del disposto sequestro.
3.2.3. Si rammenta, infine, che in tema di misure cautelari reali, il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca -come nella specie pure disposto- implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa e non tra il reato e il suo autore,
sicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose di proprietà di un terzo, estraneo.all’illecito e in buona fede, nel caso in cui la loro libera disponibilit sia idonea a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (cfr. Sez. 3, n. 24065 del 11/04/2024 Cc. (dep. 18/06/2024) Rv. 286552 – 01).
Intende il Collegio anche a quest’ultimo proposito ribadire il principio secondo cui, se il sequestro in questione è giustificato anche da finalità impeditive, ne discende che, allo stato, difettano le condizioni per l’accoglimento di quelle doglianze difensive alfine fondate esclusivamente sulla questione della rilevanza della buona fede -comunque nella specie non evidente ictu ocu/irispetto alla funzionalizzazione del sequestro alla confisca, senza attingere il provvedimento genetico nella parte in cui ha disposto il sequestro per finalità impeditive, rispetto alle quali, come è noto, nessuna rilevanza riveste la situazione di buona fede del terzo proprietario, estraneo al reato. «La circostanza, dunque, che sia stata attinta dal ricorso una sola delle due rationes decidendi che sorreggevano il provvedimento, rende ragione della sua inammissibilità, come già affermato da questa Corte. Ed infatti, deve dichiararsi inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse “rationes decidendi” poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Rv. 272448 – 01). 5. Né, si noti, risulta applicabile la giurisprudenza di questa Corte che ha affermato come l’avvenuto legittimo trasferimento della proprietà del bene a un terzo in buona fede determina il venir meno del “periculum in mora” sotto il profilo dell’aggravamento o della protrazione delle conseguenze dannose del reato, essendosi già cristallizzato, per effetto dell’atto traslativo, il pregiudizio per l persona offesa, che non potrebbe riacquisire la proprietà del bene (Sez. 2, n. 27895 del 23/06/2022, Rv. 283635 – 01)» (così Sez. 3, n. 24065 del 11/04/2024 Cc. (dep. 18/06/2024) Rv. 286552 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si osserva che la natura fittizia del credito è affermata dal Tribunale con motivazione non particolarmente diffusa ma non certamente inesistente. Si sottrae, pertanto, alle censure svolte in tema di violazione di legge per tale motivo.
Ciò tanto più che, come già sopra rammentato, con l’atto di appello -secondo quanto risulta dal riassunto dei motivi operato in ordinanza in parte qua non impugnata, non era stata contestata la fittizietà del credito Iva, bensì la sola estraneità della società il cui legale rappresentante ricorre, e la disponibilità dello stesso in capo agli indagati.
Il motivo risulta, dunque, nella sua integralità inammissibile.
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 7 aprile 2025
La Consigliera est.
Il Presidente