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Sequestro preventivo: quando è legittimo il vincolo?

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di sequestro preventivo di una società. Il provvedimento era stato emesso per il sospetto che l’amministratore di fatto, padre della titolare formale, la utilizzasse per favorire un clan mafioso. La Corte ha chiarito che il termine di 30 giorni per il deposito della decisione del riesame non si applica alle misure reali e che la motivazione del tribunale non era apparente, ma fondata su solidi elementi indiziari.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo Aziendale: la Cassazione sui Termini e la Motivazione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi su un caso di sequestro preventivo di una società, formalmente intestata a una giovane imprenditrice ma di fatto gestita dal padre, sospettato di concorso esterno in associazione mafiosa. La decisione offre importanti chiarimenti sui presupposti procedurali e sostanziali di questa incisiva misura cautelare, distinguendo nettamente il regime applicabile ai beni da quello previsto per le persone.

I fatti del caso: il vincolo su un’azienda agricola

Il Tribunale del riesame di una città del Sud Italia confermava il sequestro preventivo disposto nei confronti di una società a responsabilità limitata semplificata operante nel settore vivaistico. Il provvedimento cautelare era stato giustificato sulla base di due elementi chiave:

1. Il fumus commissi delicti: la sussistenza di gravi indizi del reato di concorso esterno in associazione mafiosa a carico del padre della ricorrente, ritenuto l’amministratore di fatto della società.
2. Il periculum in mora: il pericolo concreto che la disponibilità dell’azienda da parte dell’indagato potesse asservirla agli interessi di un clan mafioso locale, aggravando le conseguenze del reato.

Il sequestro era stato disposto sia in funzione ‘impeditiva’ (art. 321, co. 1, c.p.p.), per bloccare l’attività illecita, sia in funzione ‘anticipatoria’ della confisca cosiddetta ‘allargata’ (art. 321, co. 2, c.p.p. e art. 240-bis c.p.), a causa della sproporzione tra i beni posseduti e i redditi dichiarati.

I motivi del ricorso e le difese

La difesa della titolare dell’azienda, in qualità di terza interessata, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando principalmente due violazioni di legge:

* Inefficacia della misura: L’ordinanza del Tribunale del riesame sarebbe stata depositata oltre il termine di trenta giorni previsto dalla legge, circostanza che, secondo la difesa, avrebbe dovuto comportare la perdita di efficacia della misura cautelare.
Motivazione apparente: La motivazione del provvedimento sarebbe stata una mera ripetizione di quella contenuta in una precedente ordinanza annullata dalla stessa Cassazione, senza un’effettiva e autonoma valutazione degli elementi a sostegno del fumus e del periculum*.

La decisione della Corte sul sequestro preventivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le censure difensive con argomentazioni precise che consolidano importanti principi giurisprudenziali.

La questione procedurale del termine per il deposito

Sul primo punto, la Corte ha ribadito un principio già affermato dalle Sezioni Unite: il termine perentorio di trenta giorni per il deposito della decisione del Tribunale del riesame, la cui violazione causa l’inefficacia della misura, si applica esclusivamente alle misure cautelari personali (come la custodia in carcere) e non a quelle reali, come il sequestro preventivo. La normativa per le misure reali (art. 324 c.p.p.) rinvia a una versione dell’art. 309 c.p.p. antecedente alle modifiche che hanno introdotto tale termine perentorio. Questa differente disciplina, secondo la Corte, non viola i principi costituzionali del diritto di difesa e del giusto processo.

La valutazione sulla motivazione del provvedimento

Anche la seconda censura è stata giudicata infondata. I giudici di legittimità hanno chiarito che il ricorso in Cassazione contro le ordinanze in materia di sequestro è consentito solo per ‘violazione di legge’. In tale nozione rientrano i vizi di motivazione solo quando sono così radicali da renderla inesistente, illogica o contraddittoria. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale del riesame non ‘apparente’, ma ‘articolata e persuasiva’.

le motivazioni

Il Tribunale aveva adeguatamente spiegato perché la condotta dell’imprenditore fosse riconducibile alla figura dell’imprenditore ‘colluso’, che stringe un patto di reciproco vantaggio con un clan mafioso, mettendo la propria azienda a disposizione degli interessi criminali in cambio di ‘protezione’ e altri benefici.

Per quanto riguarda il periculum, la motivazione era fondata su elementi concreti:
* Per il sequestro finalizzato alla confisca allargata: la presenza di ‘reati spia’, la disponibilità di fatto dell’azienda da parte dell’indagato e una chiara sproporzione tra le fonti di reddito lecite e le risorse a disposizione.
* Per il sequestro impeditivo: la disponibilità della società da parte dell’indagato avrebbe aggravato le conseguenze del reato, favorendo l’intreccio tra interessi economici leciti e interessi mafiosi illeciti.

le conclusioni

La sentenza consolida due principi fondamentali in materia di sequestro preventivo. In primo luogo, conferma la diversità dei regimi procedurali tra misure cautelari reali e personali, escludendo per le prime l’applicazione del termine perentorio di deposito della decisione del riesame. In secondo luogo, ribadisce che il controllo di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti di sequestro è limitato alla verifica dell’esistenza di un apparato argomentativo logico e coerente, non potendo trasformarsi in una rivalutazione del merito degli elementi indiziari. La decisione del Tribunale, essendo basata su solide emergenze investigative e adeguatamente argomentata, è stata ritenuta immune da censure.

Il termine di 30 giorni per depositare l’ordinanza del riesame si applica anche al sequestro preventivo?
No. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, confermato in questa sentenza, il termine perentorio di trenta giorni per il deposito della decisione del riesame, la cui violazione comporta la perdita di efficacia della misura, si applica solo alle misure cautelari personali e non a quelle reali come il sequestro preventivo.

Quando una motivazione di un’ordinanza di sequestro può essere considerata ‘apparente’ e quindi nulla?
Una motivazione è considerata ‘apparente’, e quindi vizia il provvedimento per violazione di legge, quando è del tutto mancante, palesemente illogica, contraddittoria o si limita a ripetere la formula di legge senza una reale analisi del caso concreto. Non è apparente, invece, una motivazione che, seppur sintetica, espone in modo chiaro e coerente le ragioni fattuali e giuridiche alla base della decisione.

Quali elementi giustificano un sequestro preventivo finalizzato sia a impedire l’aggravarsi del reato sia alla confisca ‘allargata’?
Il sequestro ‘impeditivo’ è giustificato dal pericolo concreto che la libera disponibilità del bene possa protrarre o aggravare le conseguenze del reato. Quello finalizzato alla confisca ‘allargata’ si basa sulla presenza di indizi relativi a specifici ‘reati spia’, sulla disponibilità del bene da parte dell’indagato e su una manifesta sproporzione tra il valore del bene e i redditi leciti dichiarati o l’attività economica svolta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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