Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22910 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22910 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Bollate il
13/05/1972
avverso l’ordinanza emessa il 23/12/2024 dal Tribunale di Bergamo
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23/12/2024, il Tribunale di Bergamo ha rigettato l’appello proposto ex art. 322-bis cod. proc. pen., nell’interesse di COGNOME NOME, avverso il provvedimento emesso dal Tribunale dibattimentale di Bergamo, all’udienza del 07/11/2024, in relazione all’istanza di revoca del sequestro preventivo del profitto del reato di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 de 2000, contestato in concorso al COGNOME ai capi X, XIV e XVII della rubrica.
Ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge con riferimento alla nullità assoluta conseguente alla omessa contestazione, nel decreto di sequestro preventivo, dell’aggravante di cui all’art. 13-bis, comma 3, d.lgs. n. 74 del 2000. Si censura l’operato del Tribunale che, in assenza della predetta contestazione all’interno del decreto di sequestro, avrebbe dovuto immediatamente restituire al ricorrente quanto in sequestro, essendo ormai le imputazioni di indebita contestazione, ascritte al COGNOME nel decreto senza la predetta aggravante, estinte per intervenuta prescrizione. Si deduce che, in tal modo, vi era stata una “inammissibile sostituzione” del Tribunale nelle prerogative del P.M. quanto alla formulazione delle contestazioni.
2.2. Violazione di legge con riferimento alla mancata contestazione della predetta aggravante, “in termini di precisione e comprensibilità”, nel decreto che dispone il giudizio: difettando in particolare la qualificazione dei “modelli d evasione fiscale” che il COGNOME avrebbe, in ipotesi, provveduto a elaborare o commercializzare. Si deduce la violazione dell’art. 429 cod. proc. pen., e la conseguente lesione dei diritti difensivi, essendo stata ritenuta un’ipotesi aggravata che, peraltro, non risultava “adeguatamente e correttamente esplicitata nella contestazione in fatto dei relativi capi di accusa”.
2.3. Omessa motivazione sul motivo di appello imperniato sulla sentenza ormai irrevocabile di proscioglimento per intervenuta prescrizione, ex art. 129 cod. proc. pen., pronunciata dallo stesso Tribunale nei confronti di COGNOME NOME, coimputato del reato di cui capo XVII. Si lamenta la mancata emissione di analoga sentenza per la posizione del COGNOME, e comunque l’illegittimità del mantenimento del sequestro preventivo nei confronti di quest’ultimo.
2.4. Violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza di una preclusione alla rivalutazione del fumus, dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio. Si ritiene la decisione priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, per la manifesta infondatezza delle censure prospettate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Per ciò che riguarda il primo ordine di censure, relativo alla eccezione di nullità (e alla conseguente necessità di immediata restituzione di quanto in sequestro, per intervenuta prescrizione del reato) derivante dalla omessa
contestazione dell’aggravante di cui all’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000, deve anzitutto essere richiamato l’insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui «è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, con unico motivo, una violazione di legge verificatasi nel giudizio di primo grado, se non si procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, che non menzioni la medesima violazione come doglianza già proposta in sede di appello, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo» (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME Rv. 270627 – 01. Con specifico riferimento alla materia cautelare reale, cfr. da ultimo Sez. 3, n. 19689 del 19/12/2024, dep. 2025, Jin).
In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, assume rilievo assorbente la mancata contestazione del riepilogo dei motivi di appello, che non contengono alcun riferimento a motivi volti ad eccepire una nullità nel senso indicato.
Solo per completezza, si evidenzia che la prospettazione difensiva appare palesemente infondata, dal momento che il Tribunale – ben lungi dall’operare improprie “invasioni di campo” – ha ritenuto sussistente la contestazione dell’aggravante, sottolineando il fatto che l’espressione “con l’aggravante per COGNOME“, utilizzata nell’imputazione formulata a carico del COGNOME in concorso con altri, doveva intendersi come funzionale all’individuazione di quale coimputato rivestisse la particolare qualifica rilevante ai sensi dell’art. 13-bis d.lg n. 74 del 2000: non certo ad escludere l’applicabilità dell’aggravante ai concorrenti, del resto esplicitamente richiamata nei capi X e XIV (risultando comunque irrilevante il mancato riferimento all’articolo di legge, quanto al capo XVII, essendosi in presenza – anche in quel caso – di una compiuta contestazione in fatto della condotta del CARDANO riconducibile all’art. 13-bis).
Del resto, l’impostazione del giudice dell’appello appare del tutto in linea con l’indirizzo interpretativo secondo cui «in tema di reati tributari, l’aggravant prevista dall’art. 13-bis, comma 3, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in presenza del necessario coefficiente di colpevolezza, si estende ai concorrenti diversi dal professionista o dall’intermediario finanziario o bancario, trattandosi di circostanza a matrice mista, oggettiva e soggettiva, che riguarda una condotta commessa “attraverso” l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale, causalmente ricollegate al fatto tipico, e che, comunque, agevola la commissione del reato» (Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281589 – 08. In senso conforme, cfr. Sez. 5, n. 4957 del 17/12/2021, dep. 2022, COGNOME).
Anche quanto alla censura dedotta con il secondo motivo, deve pervenirsi a conclusioni di inammissibilità.
Come già accennato, la difesa ricorrente non ha contestato il riepilogo dei motivi di appello, dal quale non risulta alcuna doglianza per difetto di contestazione “in termini di precisione e comprensibilità” nel decreto che dispone il giudizio.
Si ritiene comunque di dover aggiungere che trattasi di una prospettazione del tutto priva di fondamento, posto che eventuali violazioni dell’art. 429 cod. proc. pen. avrebbero dovuto essere formulate nella sede propria di merito (non certo nell’odierno procedimento incidentale cautelare), e nei termini di cui all’art. 491 cod. proc. pen. (cfr. sul punto, tra le altre, Sez. 3, n. 19649 del 27/02/2019, S., Rv. 275749 – 01, secondo la quale «la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza e genericità dell’imputazione ha natura relativa e, in quanto tale, è non rilevabile d’ufficio e deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall’art. 491 cod. proc. pen.»).
4. Per ciò che riguarda le residue censure, che possono in questa sede essere trattate congiuntamente, deve per un verso escludersi la proponibilità di rilievi, in sede cautelare, riguardanti la mancata emissione di una sentenza di proscioglimento, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., da parte del Tribunale procedente nel merito. Sul punto, appare del tutto condivisibile quanto osservato nella ordinanza impugnata (pag. 3).
Per altro verso, occorre sottolineare Il Tribunale ha escluso, in presenza di una rituale contestazione dell’aggravante e alla luce dello stato del procedimento (giunto in fase dibattimentale dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio), di poter porre questioni sulla concreta configurabilità dell’aggravante medesima e/o sulla effettiva possibilità di estenderla anche al COGNOME.
Tali conclusioni – che evidentemente escludono la possibilità di instaurare un “processo parallelo” in ambito cautelare sulla configurabilità di un’aggravante, che nella prospettiva del ricorrente dovrebbe essere immediatamente ed automaticamente esclusa, sulla scorta di quanto deciso nei confronti di un coimputato – appaiono del tutto in linea con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui «in tema di riesame del provvedimento che dispone il sequestro preventivo, l’emissione del decreto di rinvio a giudizio o del decreto che dispone il giudizio immediato preclude la proponibilità della questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti, essendovi, in tali casi, una preventiva verifica giurisdizionale sulla consistenza del fondamento dell’accusa» (Sez. 3, n. 35715 del 17/09/2020, COGNOME, Rv. 280694 – 03. In senso analogo, da ultimo, cfr. Sez. 3, n. 13521 del 07/04/2025, Piacentino, alla quale si rimanda per le altre conformi citazioni giurisprudenziali).
5. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria d inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle s
processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa de
Ammende.
Così deciso il 16 maggio 2025
Il Consiglie
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stensore
Il Presidente