Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31789 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31789 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Vibo Valentia il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Vibo Valentia il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a Vibo Valentia il DATA_NASCITA
avverso le ordinanze del Tribunale di Catanzaro del 21/11/2023;
visti gli atti e le ordinanze impugnate; esaminati i motivi dei ricorsi;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
sentito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; sentiti i difensori dei ricorrenti, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Catanzaro con tre distinte ordinanze emesse in data 21 novembre 2023 (motivazione depositata il successivo 11 marzo 2024) ha rigettato la richiesta di appello cautelare presentata da COGNOME NOME, COGNOME NOME ed COGNOME NOME – in quanto titolari pro quota della società RAGIONE_SOCIALE – nei confronti dell’ordinanza del Tribunale collegiale di Vibo Valentia del 3 febbraio 2023 che ha respinto l’istanza di dissequestro della società e del relativo compendio societario, in merito al sequestro preventivo, disposto ai sensi dell’art. 416-bis comma 7 cod. pen. e 240-bis cod. pen., nel procedimento penale a carico di COGNOME NOME (marito di COGNOME NOME).
Avverso le tre ordinanze che hanno deciso separatamente la richiesta di dissequestro i tre interessati hanno proposto un ricorso cumulativo nel quale vengono dedotti due motivi.
2.1. Con il primo motivo viene eccepita violazione di legge del provvedimento impugnato in riferimento ad entrambe le cause del sequestro preventivo. Quanto all’art. 416-bis comma 7 cod. pen., si evidenzia nella specie non ricorrono i presupposti per il sequestro finalizzato alla confisca prevista dalla disposizione in oggetto. Invero, sulla base degli elementi probatori raccolti nel giudizio in corso dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia – elementi non presi in considerazione dall’ordinanza impugnata – deve escludersi che il COGNOME possa essere qualificato come “gerente di fatto” della società. E ciò alla luce delle dichiarazioni (che vengono ampiamente riportate) rese da tre collaboratori di giustizia (COGNOME, COGNOME e COGNOME) dalle quali si ricava, da un lato, che lo stesso COGNOME era in realtà una vittima delle pretese estorsive degli esponenti delle cosche e, dall’altro lato, che il bar “Cin Cin” non era affatto utilizzato per “summit di mafia”. In riferimento alla finalizzazione del sequestro alla confisca ex art. 240-bis cod. pen., viene eccepito che non è dimostrato – né dimostrabile – che l’esercizio commerciale fosse stato più volte utilizzato “per ripulire l’attività del sodalizio” o che COGNOME utilizzasse per il cambio assegni le risorse dello stesso mentre, si ribadisce, sulla base di quanto riferito dal AVV_NOTAIO di giustizia COGNOME “era percepibile la condizione di soggezione di COGNOME verso le richieste di appartenenti, con ruolo verticistico, alle associazioni
delinquenziali del territorio”; quanto ai rapporti con la società RAGIONE_SOCIALE, che vengono valorizzati dall’ordinanza impugnata a sostegno della “illiceità” della gestione da parte del COGNOME, si rileva che detta società appartiene a un amico di vecchia data del COGNOME (tale COGNOME NOME) e che comunque si è trattato di rapporti sporadici e regolarmente fatturati. ugualmente indimostrati risultano la provenienza illecita degli assegni, il cui valore sarebbe stato anticipato dal COGNOME e che rappresenterebbero i presupposti del delitto di usura. Infine, per quel che riguarda la affermata titolarità sostanziale della società in capo al COGNOME, si evidenzia che tale dato è smentito da consulenze di parte (dalle quali emerge che gli COGNOME avevano ereditato il bar dai genitori e che la società era stata costituita dagli eredi nel 1984) deducendosi che le ordinanze non hanno rispettato il principio di “ragionevolezza temporale tra l’acquisizione del bene e il periodo di consumazione dell’illecito associativo”, dovendosi peraltro escludere sia l’ipotesi di una “intestazione fittizia” che quella di una finalizzazione della società all’attività mafiosa.
2.2. Il secondo motivo, correlato al primo, deduce vizio di motivazione, sub specie di motivazione mancante, in quanto meramente apparente; l’ordinanza impugnata, infatti, ha omesso di confrontarsi con le specifiche deduzioni difensive – dapprima dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia e poi a quello del riesame reale di Catanzaro – che hanno “neutralizzato” la primitiva ipotesi investigativa secondo la quale la cosca “RAGIONE_SOCIALE” era cointeressata alla gestione del bar, dando contezza della posizione dei ricorrenti quali effettivi titolari dell’esercizio commerciale; a fronte di tale novum probatorio è errata l’argomentazione del Tribunale cautelare che si rifà a un presunto “giudicato cautelare” relativo al COGNOME e che si appoggia all’ordinanza genetica, che però è intervenuta molti anni fa e in assenza di quanto è emerso nel dibattimento. Da ultimo, si rileva che nell’ordinanza manca qualsivoglia riferimento circa il periculum in mora, necessario anche per il sequestro finalizzato alla confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
In primo luogo, rileva il Collegio che con un unico ricorso sono state cumulativamente impugnate tre distinte ordinanze del Tribunale del riesame reale ognuna delle quali ha deciso l’istanza formulata da uno dei tre COGNOME.
Poiché il ricorso per cassazione deve essere relativo ad uno specifico provvedimento, in questa sede viene esaminata la posizione di COGNOME NOME (alla quale si riferisce l’ordinanza avente n. 33/2023 R.R. Reali), mentre nei confronti degli altri ricorrenti sono state pronunciate altre due sentenze, anch’esse emesse all’esito della presente udienza (e aventi i nn. Sez., rispettivamente, 898 e 900 del 2024). In questa sede, invece, i ricorsi di NOME e NOME COGNOME vanno dichiarati de plano inammissibili in quanto ciascuno di essi ha impugnato per cassazione anche le due ordinanze non emesse nei propri confronti.
Sempre preliminarmente va osservato che il ricorrente NOME COGNOME – terzo interessato in quanto indicato come fittizio intestatario, pro quota, del bene in realtà del COGNOME – è legittimato a contestare, oltre alla fittizietà dell’intestazione, anche l’oggettiva confiscabilità del bene in difetto del “fumus commissi delicti” e del “periculum in mora”, potendo l’assenza dei presupposti della confisca avvalorare la tesi della natura non fittizia, ma reale dell’intestazione (in tal senso, Sez. 6, n. 15673 del 13/03/2024, Pezzi, Rv. 286335 – 01).
Rileva ancora il Collegio che Sez. 2, n. 20704 del 13/05/2022 ha rigettato i ricorsi proposti dai predetti COGNOME (più un quarto COGNOME, NOME) avverso analoga precedente ordinanza del riesame che aveva respinto l’appello reale sempre in riferimento al sequestro del bar Cin CM, In tale sentenza sono stati affrontati i profili ora reiterati nel ricorso, tutti giudicati infondati inammissibili.
Secondo il ricorrente NOME COGNOME l’elemento nuovo, che consentirebbe una rivalutazione della misura cautelare reale, sarebbe rappresentato dalle risultanze emerse dall’istruttoria dibattimentale in corso nel giudizio di primo grado, a carico del COGNOME, dalle quali emergerebbe la sopravvenuta insussistenza dei presupposti del sequestro.
Rileva il Collegio che la deduzione è inammissibile. L’ordinanza impugnata ha, in modo non illogico, motivato in ordine alla perdurante esistenza degli elementi a sostegno della misura cautelare reale. Sotto altro profilo, deve evidenziarsi che le emergenze dell’istruttoria dibattimentale in corso non possono – salvo il caso di manifesta evidenza dell’insussistenza del fatto di reato
presupposto del sequestro, evidenza, come detto, nella specie non rinvenibile – legittimare la revoca del sequestro preventivo. D’altro canto, la tendenziale permanenza del sequestro preventivo – che abbia superato il vaglio delle impugnazioni cautelari – fino alla conclusione del giudizio di primo grado trova conferma nella disciplina delineata dall’art. 323 cod. proc. pen. Infatti, la pronuncia della sentenza di assoluzione, in primo grado o in appello, quand’anche non ancora irrevocabile, determina l’immediata perdita di efficacia del sequestro preventivo finalizzato alla confisca a condizione che il bene in sequestro non sia soggetto a confisca obbligatoria ai sensi dell’art.240, comma secondo, n. 2 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 44961 del 15/09/2016, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 268569 – 01) mentre, in caso di condanna non definitiva, la misura cautelare reale perde efficacia qualora non sia stata disposta la confisca dei beni e a condizione che siano venute meno le esigenze cautelari e si tratti di beni non confiscabili nemmeno in astratto (così, Sez. 6, n. 12229 del 29/11/2018 dep. 19/03/2019, COGNOME, Rv. 276376 – 01). Ipotizzare che la valutazione dell’istruttoria non ancora conclusa possa determinare – salvo i casi di manifesta evidenza – il venir meno dei presupposti del sequestro preventivo significherebbe una sostanziale elusione di detta disciplina.
Alla inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si ritiene equo determinare in euro mille.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 giugno 2024
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