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Sequestro preventivo per equivalente: il caso analizzato

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di due soci di un’azienda casearia contro un’ordinanza di sequestro preventivo. Il sequestro riguardava sia i beni della società (opificio e somme di denaro) sia, in via subordinata, i beni personali dei soci a titolo di sequestro preventivo per equivalente. L’accusa era di truffa aggravata per aver ottenuto un ingente finanziamento pubblico eludendo la necessaria Valutazione di Incidenza Ambientale (VINCA). La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso contro il sequestro dei beni sociali, poiché i singoli soci non hanno legittimazione a impugnare, ma ha rigettato nel merito il ricorso contro il sequestro dei loro beni personali, confermando la sussistenza dei gravi indizi di reato (fumus boni iuris) e il corretto operato dei giudici di merito.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo per Equivalente: Quando il Patrimonio Personale dei Soci Risponde

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22329/2025, offre importanti chiarimenti sui limiti e le condizioni di applicazione del sequestro preventivo per equivalente nei confronti dei soci per reati commessi nell’interesse di una società. Il caso riguarda una presunta truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, legata alla costruzione di un opificio industriale in assenza di una corretta valutazione ambientale. La decisione distingue nettamente la posizione della società da quella dei singoli soci, tracciando una linea invalicabile sulla legittimazione a impugnare le misure cautelari reali.

I Fatti di Causa: Finanziamenti Pubblici e Norme Ambientali

La vicenda ha origine da un’indagine su presunte irregolarità nell’ottenimento di un cospicuo finanziamento pubblico, erogato da un ente statale a una società casearia per la realizzazione di un nuovo stabilimento. Secondo l’accusa, per accedere ai fondi, la società, attraverso i suoi amministratori, avrebbe eluso la procedura di Valutazione di Incidenza Ambientale (VINCA), obbligatoria data la collocazione dell’intervento in un’area soggetta a vincoli.

Attraverso una presunta condotta fraudolenta, che avrebbe coinvolto anche figure esterne alla società, sarebbe stato ottenuto un parere favorevole da una commissione tecnica ritenuta non competente, inducendo così in errore l’ente erogatore sulla regolarità del progetto. Di conseguenza, il GIP disponeva il sequestro preventivo delle somme erogate e dell’opificio (sequestro diretto sui beni della società) e, in via subordinata, il sequestro di beni personali dei soci per un valore equivalente (il sequestro preventivo per equivalente).

La Decisione della Cassazione sul Sequestro Preventivo per Equivalente

I soci ricorrevano in Cassazione, contestando la sussistenza dei presupposti per la misura cautelare. La Corte ha affrontato due questioni distinte ma connesse.

1. Inammissibilità del Ricorso per i Beni Sociali

In primo luogo, la Corte ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso relativi al sequestro dei beni di proprietà della società (le somme e l’opificio). Viene ribadito un principio consolidato: il singolo socio, anche se amministratore, non ha la legittimazione a impugnare un provvedimento che colpisce il patrimonio della società. L’interesse giuridicamente rilevante alla restituzione dei beni appartiene all’ente (la società), che è un soggetto giuridico distinto. Il socio vanta solo un interesse di fatto, economico e mediato, che non è sufficiente a fondare il diritto di impugnazione. Per agire, avrebbe dovuto spendere la qualità di legale rappresentante dell’ente, cosa non avvenuta.

2. Rigetto del Ricorso sul Sequestro dei Beni Personali

Diversamente, la Corte ha ritenuto ammissibile ma infondato il ricorso contro il sequestro preventivo per equivalente disposto sui beni personali dei soci. Questa misura, infatti, colpisce direttamente il loro patrimonio e, pertanto, essi hanno un interesse concreto e attuale a chiederne la rimozione.

Nel merito, i giudici hanno confermato la valutazione del Tribunale del Riesame circa la sussistenza del fumus boni iuris, ovvero la concreta probabilità che il reato di truffa aggravata fosse stato commesso. La ricostruzione accusatoria, basata su indagini e intercettazioni, indicava una manovra orchestrata per ‘spostare’ la competenza sulla valutazione ambientale e ottenere un parere favorevole ‘pilotato’, indispensabile per sbloccare il finanziamento.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi cardine della procedura penale e del diritto societario. La motivazione centrale risiede nella netta separazione tra il patrimonio della persona giuridica e quello delle persone fisiche che ne fanno parte.

Sul fumus del reato di truffa, la Corte ha sottolineato come la condotta decettiva non riguardasse un dettaglio marginale, ma un presupposto essenziale richiesto dall’ente erogatore: la piena conformità dell’intervento alle normative urbanistiche e ambientali. L’aver indotto l’ente a credere che tale conformità esistesse, tramite la produzione di un parere ottenuto in modo fraudolento, integra gli estremi del reato. La Cassazione ha ritenuto irrilevante la difesa basata sulla presunta non necessità della VINCA o sulla possibilità di una sua regolarizzazione ex post. Ciò che conta, ai fini della truffa, è la condotta ingannatoria che ha viziato la volontà dell’ente al momento della stipula del contratto di finanziamento.

Infine, per quanto riguarda il quantum del sequestro, è stato confermato che il profitto del reato coincide con l’intero ammontare del finanziamento ottenuto, poiché senza la condotta fraudolenta il contratto non sarebbe stato concluso e nessuna somma sarebbe stata erogata.

le conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale in materia di misure cautelari reali nei reati societari. In primo luogo, definisce chiaramente i confini della legittimazione ad impugnare: il socio agisce per sé, non per la società, a meno che non ne sia il legale rappresentante. In secondo luogo, conferma che per integrare il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato è sufficiente una condotta che induca in errore la pubblica amministrazione su elementi essenziali per l’erogazione di fondi, anche se riguardanti la legittimità di procedure amministrative complesse. La decisione serve da monito per gli amministratori e i soci, il cui patrimonio personale può essere aggredito tramite il sequestro preventivo per equivalente quando il profitto del reato commesso nell’interesse della società non sia direttamente rintracciabile.

Un socio può impugnare un sequestro preventivo disposto sui beni di proprietà della società?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il singolo socio non è legittimato a impugnare i provvedimenti di sequestro sui beni della società, poiché non vanta un diritto alla restituzione di tali beni. L’interesse alla restituzione appartiene alla società, che è un soggetto giuridico distinto. Il socio ha solo un interesse di fatto, non sufficiente per l’impugnazione, a meno che non agisca in qualità di legale rappresentante dell’ente.

Perché la Corte ha confermato il sequestro preventivo per equivalente a carico dei soci?
La Corte ha confermato il sequestro sui beni personali dei soci perché ha ritenuto sussistente il fumus boni iuris del reato di truffa aggravata. La motivazione si basa sulla ricostruzione secondo cui i soci avrebbero partecipato a una manovra fraudolenta per ottenere un parere ambientale favorevole, inducendo in errore l’ente pubblico e ottenendo così un finanziamento che altrimenti non sarebbe stato concesso. Il sequestro per equivalente è la misura prevista quando il profitto diretto del reato (le somme erogate) non è più aggredibile.

La possibilità di regolarizzare a posteriori un’autorizzazione ambientale esclude il reato di truffa per ottenere un finanziamento?
No. La Corte ha chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di truffa, ciò che rileva è la condotta ingannatoria posta in essere al momento della richiesta di finanziamento. Il fatto che l’intervento potesse essere astrattamente legittimo o regolarizzabile a posteriori non elimina il carattere fraudolento del comportamento che ha indotto in errore l’ente erogatore, viziandone la volontà e portandolo a erogare somme non dovute in quel momento e a quelle condizioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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