Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28557 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28557 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VITERBO il 13/02/1969
avverso l’ordinanza del 21/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Bologna
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che conclude per il rigetto.
udito il difensore avv. COGNOME che insiste sull’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMECOGNOME a mezzo del difensore procuratore speciale, ha proposto, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza, in data 21/01/2025, del Tribunale di Bologna con la quale era stato rigettato l’appello cautelare, ai sensi dell’art. 322 bis cod.proc.pen., avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Bologna che aveva respinto la richiesta di restituzione dei beni sottoposti a sequestro preventivo, o riduzione di questo con il mantenimento del sequestro delle quote della società RAGIONE_SOCIALE in ragione del progressivo pagamento del debito tributario.
Deduce il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, la violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’art. 12 bis comma 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. Premettevricorrente di essere stato destinatario di un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip di Forlì e che attualmente risultano essere sottoposti a vincolo cautelare beni (quote societarie, denaro contante, conto corrente e immobili) per complessivi 6.701.258,12 € e che il sequestro preventivo
finalizzato alla confisca era stato emesso nell’ambito di un procedimento penale per i reati di cui all’articolo 2 decreto legislativo 74 del 2000, che il contenzi fiscale era stato definito in sede tributaria e che ad oggi il debito definito in s tributaria ammonta a C 6.854.485,59 di cui sono stati pagati C 5.395.299,23, oltre a C 1.259.975,58 ante definizione tributaria.
Tutto ciò premesso l’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente interpretato il disposto dell’articolo 12 bis comma 2, laddove a fronte del pagamento del debito tributario avrebbe ritenuto che permaneva l’esigenza cautelare di mantenere il sequestro preventivo in vista della confisca del profitto dei reati non dichiarati estinti per prescrizione e non estinti per i l’integ pagamento del debito tributario /rilevando in merito alla richiesta di riduzione del sequestro che sebbene fosse in dubbio che il principio di proporzionalità sia applicabile anche alla materia cautelare, osservava che nel tempo l’imputato aveva progressivamente usufruito di una serie di provvedimenti di dissequestro disposti nel procedimento di primo grado che hanno determinato una significativa riduzione del sequestro. Argomenta il ricorrente l’erronea interpretazione del disposto normativo di cui all’articolo 12 comma 2, bis considerato che per costante giurisprudenza le rate versate a fronte di impegni di pagamento assunti nei confronti dell’erario devono essere tenute conto ai fini della riqualificazione del misura e ciò in quanto, altrimenti, si verrebbe a determinare una inammissibile duplicazione sanzionatoria in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa.
2.1. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’art. 125 comma 3 cod.proc.pen. Argomenta il ricorrente che a fronte della richiesta di restituzione l’ordinanza impugnata avrebbe ritenuto onere dell’appellante di fornire prova del preciso ammontare del residuo debito tributario richiamando il principio enunciato da una sentenza della Corte di Cassazione.
Orbene l’impugnata ordinanza non coglierebbe nel segno in quanto non solo sarebbero stati prodotti gli atti di definizione del contenzioso tributario attestazioni di pagamento e una relazione riassuntiva della situazione attuale, ma sarebbe altresì stato prodotto il dispositivo della Corte d’appello di Bologna nella quale si dà atto della riduzione della confisca all’ammontare dell’imposta evasa come accertata definitivamente in sede tributaria. Evidente che la semplice disamina della documentazione prodotta di facile e immediata lettura avrebbe dimostrato il debito tributario residuo, da cui l’apparente motivazione e il vizio violazione di legge denunciata, e ciò in quanto il sequestro funzionale alla confisca costituisce una misura che influisce in modo incisivo sulla proprietà e che deve dunque avere una base legale ed essere specificamente commisurata all’entità per
la quale esso è previsto e disciplinato /di tal che l’ordinanza impugnata avrebbe reso una motivazione meramente apparente.
2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’art. 12 bis comma 2. Il tribunale avrebbe erroneamente interpretato il disposto di cui all’articolo 12 bis comma 2, nella parte in cui avrebbe disatteso la richiesta di riduzione del sequestro poiché “nulla era stato comprovato edbmati Lie.; dalla difesa in merito alle complessive W economiche e reddituali del COGNOME“. Il disposto normativo nel prevedere che “salvo che sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale desumibile dalle condizioni reddituali patrimoniali e finanziarie del reo tenuto altresì conto della gravità del reato sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma uno non è disposto se il debito tributario corso di estinzione” stabilisce a chiare lettere che è il peri che deve essere dimostrato e non la sua assenza. In ogni caso la difesa attraverso la documentazione prodotta avrebbe attestato la capacità del signorfIcini che è rimasto titolare delle società cui si riferiscono i capi di imputazione di far front pagamento del debito tributario residuo di tal che avrebbe dato positivo riscontro delle sue condizioni rituali patrimoniali e finanziarie.
2.4. Col quarto motivo deduce violazione di legge carenza di motivazioni in relazione all’articolo 104 disp. att. cod.proc.pen.. L’ordinanza impugnatq,avrebbe respinto la richiesta di dissequestro di tutti i beni e una parte di quote delle soci in quanto non accoglibile perché l’articolo 104 delle disposizioni di attuazione qualificherebbe come preferenziale, rispetto agli altri beni richiesti nell’istanza quote della società. Il tribunale sarebbe in corso in un’errata interpretazione della disposizione in quanto la norma contiene Or unicamente un’elencazione di beni ch4ossibile apprendere con la procedura di sequestro preventivo, senza che l’indicazione letterale rappresenti una forma di graduatoria dei beni su cui procedere sicchè non conterrebbe alcuna indicazione specifica in merito all’impossibilità di procedere al dissequestro di beni immobili a fronte di vincolo s partecipazioni societarie del tipo descritto.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
La difesa ha depositato memoria scritta ed ha allegato copia delle motivazioni della sentenza della Corte d’appello di Bologna, nelle more depositata, relazione sullo stato dei pagamenti e prova dei pagamenti del debito tributario ed ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Va premesso che il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse in sede di appello contro i provvedimenti di sequestro preventivo è proponibile – ai sensi del combinato disposto degli artt. 322 bis e 325 c.p.p. – solo per violazione
di legge. Ed ancora che in tema di misure cautelari, la decisione del Tribunale in sede di appello del rigetto di una istanza di revoca – nella specie di revoca parziale di sequestro preventivo – è vincolata, dall’effetto devolutivo, per cui la su cognizione non può estendersi al di là dei limiti segnati dai motivi.
Va, ancora, premesso, che le Sezioni Unite Muscari hanno avuto modo di precisare in motivazione che la sentenza con cui venga disposta la confisca non muta il titolo giuridico in base al quale il bene è, in quel momento, sottoposto a vincolo: titolo che, fino al passaggio in giudicato della sentenza, è costitui sempre dal sequestro preventivo. Inoltre – hanno aggiunto – la natura incidentale del procedimento cautelare consente che esso possa essere attivato anche nel corso del processo di cognizione, poiché non interferisce con il thema decídendum rimesso al giudice del processo principale e, dunque, non vincola né rischia di contraddire la decisione definitiva dello stesso. Del resto – si legg ancora in quella sentenza – se la verifica della permanenza dei -presupposti applicativi delle misure cautelari personali può indiscutibilmente avvenire nel corso del processo, anche dopo la sentenza di condanna, non si vede per qual motivo ciò non debba essere possibile per le misure cautelari reali.
Ciò detto, il ricorrente ha chiesto alla Corte d’appello, in sede di cognizione, il dissequestro dei beni sottoposti a sequestro, elencati nella relativa istanza (quote sociali, beni immobili conti correnti e denaro contante) o in subordine il mantenimento del vincolo reale solo sulle quote della società RAGIONE_SOCIALE, sul rilievo della definizione della pretesa erariale in sede tributaria del progressivo pagamento del debito tributario.
Con sentenza della Corte d’appello di Bologna, il ricorrente è stato prosciolto da alcune imputazioni di cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, perché estinte per prescrizione, con rideterminazione del trattamento sanzionatorio e con “riduzione della confisca diretta e la residua confisca per equivalente all’importo corrispondente all’imposta evasa come accertato definitivamente nella sede tributaria” ed ha respinto l’istanza di dissequestro.
Con il provvedimento impugnato il tribunale cautelare ha così respinto l’appello cautelare, provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione.
Ora, costituisce principio consolidato che in tema di reati tributari, l disposizione di cui all’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prezzo del reato «no opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro», deve essere intesa nel senso che la confisca può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro ed incerto costituito dal manc pagamento del debito (Sez. 3, n. 9355 del 26/01/202, Rv. 281480 – 01), sicchè
le rate versate, a fronte di impegno di pagamento assunto nei confronti dell’erario, devono essere tenute in conto ai fini della quantificazione della misura e del suo
mantenimento.
4. Il provvedimento impugnato, dopo avere richiamato il principio in premessa, ha respinto la richiesta di restituzione dei beni sottoposti a sequestro
preventivo finalizzato alla confisca, sul rilievo che il ricorrente non aveva assolt all’onere di fornire la prova del preciso ammontare del residuo debito tributario e
che nel dispositivo della sentenza della Corte di appello, non essendo stata depositata la motivazione, “non erano stati indicati gli importi in relazionkai qual
è stata disposta la revoca parziale della confisca”.
In altri termini, secondo il provvedimento impugnato, dal dispositivo della sentenza non si evince, in quanto non determinata dai giudici del merito, l’importo
del profitto dei reati tributari non dichiarati estinti per prescrizione, importo c una volta dimostrato il pagamento parziale del debito tributario, dovrà essere
ridotto nel relativo ammontare. Mancando la quantificazione del profitto residuo, all’esito della revoca della confisca per effetto della declaratoria di prescrizione d
alcuni reati, viene a mancare l’elemento di base su cui calcolare il residuo debito fiscale, elemento che deve essere oggetto di accertamento prima di procedere alla riduzione di questo in presenza di estinzione del debito mediante pagamento, qualora dimostrato. Né tale dato risulta ricavabile dalla motivazione della sentenza impugnata e prodotta nel presente procedimento cautelare, quale elemento nuovo, come si evince chiaramente a pag. 39-40.
Il ricorso, i cui motivi di violazione di legge non censurano la ratio decidenei4;e non si confrontano con questa sono inammissibile per genericità.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 25/06/2025