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Sequestro preventivo: onere della prova del terzo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31246/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna contro un sequestro preventivo di denaro e orologi. I beni, trovati nella sua abitazione, erano stati sequestrati nell’ambito di un procedimento per reati fiscali e fallimentari a carico dell’ex coniuge. La Corte ha ribadito che, in caso di sequestro preventivo, spetta al terzo che ne reclama la proprietà fornire la prova della sua titolarità esclusiva. Inoltre, il ricorso in Cassazione non può contestare la valutazione dei fatti, ma solo le violazioni di legge.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo e Onere della Prova del Terzo: La Cassazione Fa Chiarezza

Con la recente sentenza n. 31246 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema delicato e di grande rilevanza pratica: il sequestro preventivo di beni nella disponibilità di un soggetto terzo, estraneo ai reati per cui si procede. La pronuncia chiarisce in modo netto i limiti del ricorso in Cassazione e, soprattutto, su chi incomba l’onere di dimostrare la proprietà dei beni vincolati. Approfondiamo insieme i contorni di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, emesso nei confronti di un uomo indagato per gravi reati economico-finanziari, tra cui bancarotta fraudolenta e dichiarazione fraudolenta. Durante una perquisizione nell’abitazione della sua ex coniuge, legalmente separata, le autorità giudiziarie rinvenivano e sequestravano ingenti somme di denaro e orologi di valore.

La donna, ritenendosi terza estranea ai fatti e unica proprietaria dei beni, proponeva istanza di riesame, sostenendo che il denaro e gli orologi fossero di sua esclusiva pertinenza. A supporto della sua tesi, depositava una cospicua documentazione. Il Tribunale del riesame, tuttavia, confermava il sequestro, ritenendo presenti sufficienti indizi per ricondurre la disponibilità di fatto dei beni all’indagato.

Contro questa decisione, la donna proponeva ricorso per cassazione, lamentando molteplici vizi, tra cui l’apparenza della motivazione e l’errata valutazione delle prove.

Il Ricorso in Cassazione e le motivazioni sul sequestro preventivo

La ricorrente ha basato il suo ricorso su diversi punti, sostenendo che il Tribunale del riesame avesse errato nel:

1. Ignorare le prove documentali: la difesa lamentava che la vasta documentazione prodotta per attestare la proprietà dei beni non fosse stata adeguatamente considerata.
2. Svalutare gli elementi a favore: la semplice presenza di alcuni effetti personali dell’ex coniuge in casa non poteva, a suo dire, dimostrare una sua effettiva disponibilità dei beni.
3. Procedere a un sequestro illegittimo: alcuni beni, come gli orologi, non erano specificamente indicati nel decreto originario e il loro sequestro non sarebbe stato convalidato nei termini di legge.
4. Disporre un vincolo sproporzionato: il valore complessivo dei beni sequestrati superava l’importo del profitto del reato indicato nel provvedimento.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure della ricorrente con argomentazioni precise e in linea con il suo consolidato orientamento giurisprudenziale.

Limiti del Giudizio di Legittimità

In primo luogo, la Corte ha ricordato che il ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di misure cautelari reali, come il sequestro preventivo, è consentito solo per violazione di legge. Non è possibile, in questa sede, contestare la ricostruzione dei fatti o la valutazione delle prove operata dal Tribunale del riesame, a meno che la motivazione non sia del tutto assente o meramente apparente. Nel caso di specie, il Tribunale aveva fornito una motivazione logica e coerente, elencando una serie di indizi (diciture sulle fascette delle banconote, garanzie degli orologi riconducibili all’indagato, presenza di suoi effetti personali) che giustificavano la decisione.

L’onere della prova del terzo e la nozione di “disponibilità”

Il punto cruciale della sentenza riguarda l’onere della prova. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il terzo che, assumendo di esserne proprietario, chiede la restituzione di beni sequestrati ha l’onere di provare i fatti costitutivi della sua pretesa. Non è sufficiente affermare la propria titolarità; occorre dimostrarla in modo convincente.

Inoltre, la Corte ha chiarito che, ai fini del sequestro preventivo per equivalente (soprattutto in materia di reati tributari), la nozione di “disponibilità” non coincide con la proprietà civilistica, ma si estende a tutte quelle situazioni in cui l’indagato ha un potere di fatto sul bene, pur essendo formalmente intestato a terzi. L’obiettivo è colpire il patrimonio che, di fatto, rientra nella sfera di interesse economico del reo.

Inefficacia del sequestro e proporzionalità

Infine, sono state respinte anche le censure procedurali. La Corte ha specificato che, nel sequestro per equivalente, il decreto del giudice può limitarsi a indicare il valore da raggiungere. L’individuazione specifica dei beni è demandata alla fase esecutiva, senza che sia necessaria una successiva convalida per ogni singolo bene appreso, come gli orologi. Anche la doglianza sulla sproporzione è stata rigettata, poiché la ricorrente non aveva fornito elementi concreti per una valutazione precisa del valore degli orologi, onere che sarebbe spettato a lei.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma con forza alcuni principi cardine in materia di sequestro preventivo. In primo luogo, il ruolo della Corte di Cassazione è quello di garante della legalità, non di giudice di merito. In secondo luogo, e di maggior impatto pratico, chi si afferma terzo proprietario di beni sequestrati a un indagato ha il compito attivo di dimostrare le proprie ragioni, superando gli indizi che legano quei beni alla disponibilità dell’indagato. La nozione di “disponibilità” viene interpretata in senso ampio e sostanziale, per garantire l’efficacia delle misure ablative contro i patrimoni di provenienza illecita.

In caso di sequestro preventivo, chi deve provare che i beni appartengono a un terzo estraneo al reato?
Spetta al terzo, che reclama la proprietà dei beni sequestrati, l’onere di provare i fatti a fondamento della sua pretesa. Deve quindi fornire prove concrete e convincenti della sua titolarità esclusiva sui beni.

Cosa si intende per “disponibilità” di un bene ai fini del sequestro preventivo per equivalente?
La “disponibilità” non si limita alla proprietà legale (civilistica), ma include ogni situazione in cui il bene ricade nella sfera degli interessi economici del reo. Comprende il possesso e qualsiasi potere di fatto che consenta all’indagato di utilizzare o disporre del bene, anche se formalmente intestato a terzi.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal Tribunale del riesame in un procedimento di sequestro preventivo?
No, il ricorso per cassazione contro le misure cautelari reali è ammesso solo per “violazione di legge”. Non è possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti o di fornire una diversa valutazione delle prove, a meno che la motivazione del provvedimento impugnato sia totalmente assente o puramente apparente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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