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Sequestro preventivo motivazione: la Cassazione annulla

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che confermava un sequestro preventivo per reati di droga. La sentenza sottolinea la necessità di una specifica e concreta sequestro preventivo motivazione sul rischio di dispersione dei beni (‘periculum in mora’), che non può essere presunto. Inoltre, la Corte ha censurato il calcolo del profitto, ritenendo illegittimo imputare a un soggetto i guadagni realizzati prima del suo ingresso nell’associazione criminale.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro preventivo: perché la motivazione è cruciale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9206/2024) ha riaffermato un principio fondamentale a tutela dei diritti individuali: il sequestro preventivo motivazione deve essere sempre concreto, attuale e specifico, anche quando la legge prevede una confisca obbligatoria. Un provvedimento cautelare così incisivo non può basarsi su formule generiche o presunzioni. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’indagine per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Il Giudice per le Indagini Preliminari aveva disposto un ingente sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di beni per un valore di oltre 4 milioni di euro nei confronti di diversi indagati. Il Tribunale del Riesame aveva confermato il provvedimento, rigettando il ricorso di uno degli indagati. Quest’ultimo ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando due vizi principali: l’assenza di una motivazione concreta sul ‘periculum in mora’ (il pericolo di dispersione dei beni) e un’errata quantificazione del profitto a lui attribuito.

La Decisione della Cassazione e la necessità di una corretta sequestro preventivo motivazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale e rinviando il caso per un nuovo esame. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi di grande rilevanza, che rafforzano le garanzie difensive nel procedimento penale.

Le Motivazioni della Sentenza

Il “Periculum in Mora” non può essere presunto

Il primo e fondamentale punto chiarito dalla Corte riguarda la motivazione del sequestro. Il Tribunale del Riesame aveva giustificato il pericolo di dispersione dei beni facendo riferimento a concetti generici come la ‘fungibilità del denaro’ e la ‘capacità degli indagati di porre in essere operazioni di reimpiego’.

La Cassazione ha bocciato questo approccio, definendolo una ‘motivazione apparente’, ovvero una motivazione che esiste solo nella forma ma è vuota nella sostanza. Citando un’importante sentenza delle Sezioni Unite (la c.d. sentenza ‘Ellade’), i giudici hanno ribadito che il giudice della cautela ha l’obbligo di spiegare in modo specifico e attuale perché esista il rischio concreto che quei determinati beni vengano venduti, nascosti o alterati prima della conclusione del processo. Non basta affermare che il denaro è facile da spostare; occorre indicare elementi concreti che rendano tale pericolo attuale e reale per l’indagato specifico. L’obbligatorietà della confisca finale non rende automatico il sequestro preventivo; quest’ultimo resta una misura eccezionale che richiede una giustificazione puntuale.

Quantificazione del Profitto e Responsabilità Solidale

Il secondo motivo di annullamento riguarda il calcolo del profitto da sequestrare. All’imputato era stato contestato di aver partecipato all’associazione criminale a partire da aprile/maggio 2022. Tuttavia, l’importo totale del sequestro era stato calcolato sulla base dei profitti illeciti realizzati dal gruppo criminale in un arco temporale molto più ampio, a partire dal 2019.

La Corte ha giudicato ‘problematico’ e del tutto immotivato questo calcolo. Sebbene nel concorso di persone nel reato viga un principio di responsabilità ‘solidaristica’ (ciascuno risponde per l’intero), la sua applicazione non può essere meccanica e irragionevole. Non è possibile, senza una specifica motivazione, imputare a una persona i profitti generati in un periodo in cui non faceva ancora parte del sodalizio criminoso. L’ordinanza impugnata si era sottratta al dovere di spiegare a che titolo l’indagato dovesse rispondere per guadagni illeciti realizzati prima della sua presunta partecipazione.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa sentenza è un monito importante per l’autorità giudiziaria: le misure cautelari reali, che incidono profondamente sul patrimonio e sulla libertà di iniziativa economica, devono essere ancorate a una motivazione solida, concreta e non stereotipata. In sintesi, i principi affermati sono:

1. Obbligo di Motivazione Rafforzata: La motivazione del sequestro preventivo deve sempre illustrare il pericolo attuale e concreto di dispersione dei beni, senza ricorrere a clausole di stile.
2. Limite alla Responsabilità Solidale: La quantificazione del profitto confiscabile deve essere logicamente collegata al contributo causale del singolo concorrente e al periodo della sua partecipazione al reato.

Questa decisione rafforza il principio di proporzionalità e adeguatezza delle misure cautelari, evitando che il sequestro si trasformi in uno strumento eccessivamente afflittivo e slegato dalle specifiche responsabilità individuali.

È sufficiente che la confisca sia obbligatoria per legge per giustificare un sequestro preventivo senza una motivazione specifica sul pericolo di dispersione dei beni?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha stabilito che anche in caso di confisca obbligatoria, il giudice deve fornire una motivazione concreta e attuale sul ‘periculum in mora’, ovvero sul rischio specifico che i beni vengano dispersi prima della sentenza definitiva.

La natura fungibile del denaro giustifica da sola un sequestro preventivo?
No. La motivazione che fa esclusivo riferimento alla fungibilità del denaro è considerata ‘apparente’ e quindi insufficiente. Il giudice deve spiegare le ragioni specifiche e attuali che rendono concreto il pericolo di dispersione nel caso specifico, senza ricorrere a clausole di stile.

In un reato associativo, un soggetto può essere chiamato a rispondere per l’intero profitto generato dall’associazione, anche per il periodo precedente al suo ingresso?
No. La Corte ha ritenuto problematico e immotivato imputare a un soggetto il profitto generato in un periodo in cui egli non era ancora associato. L’applicazione del principio di responsabilità solidaristica non può essere meccanica e assoluta, ma deve tenere conto del nesso causale tra la condotta del singolo e la produzione del profitto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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