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Sequestro preventivo: l’indagato può ricorrere?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal legale rappresentante di una società contro un sequestro preventivo disposto sui conti correnti dell’ente. La decisione si fonda sulla carenza di interesse diretto del ricorrente, non essendo titolare dei beni sequestrati. La sentenza ribadisce, inoltre, che il denaro è un bene fungibile, rendendo irrilevante la corrispondenza fisica tra le somme illecitamente ottenute e quelle sequestrate ai fini della confisca diretta del profitto del reato.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo su Conti Societari: Quando l’Amministratore non può fare Ricorso

Il sequestro preventivo è uno strumento potente nelle mani della magistratura, ma chi ha il diritto di opporsi quando i beni appartengono a una società e non alla persona indagata? Con la recente sentenza n. 4756/2024, la Corte di Cassazione fa chiarezza su un punto cruciale: la legittimazione a impugnare del legale rappresentante. La decisione non solo definisce i confini del diritto di ricorso, ma ribadisce anche principi fondamentali sulla natura del denaro come profitto del reato.

I Fatti del Caso

Il Tribunale di Messina aveva confermato un decreto di sequestro preventivo su somme giacenti sui conti correnti di una società a responsabilità limitata. La misura era finalizzata alla confisca diretta del profitto di un reato tributario (omesso versamento di ritenute, art. 10 bis D.Lgs. 74/2000), per un importo di oltre 260.000 euro. In caso di incapienza, il sequestro sarebbe stato eseguito per equivalente sui beni del legale rappresentante, indagato per il reato.

Il legale rappresentante ha presentato personalmente ricorso in Cassazione, sollevando tre principali obiezioni:
1. Insussistenza dei presupposti: A suo dire, la pretesa fiscale era stata oggetto di ‘rottamazione’, eliminando così il profitto del reato e l’oggetto stesso del sequestro.
2. Mancanza di nesso: Non vi era prova del legame tra le somme sequestrate e il reato contestato.
3. Difetto di motivazione: Il provvedimento mancava di un’adeguata giustificazione sulle esigenze cautelari (il cosiddetto periculum in mora).

L’inammissibilità del Ricorso: una questione di Interesse

La Corte di Cassazione, prima ancora di entrare nel merito, dichiara il ricorso inammissibile. Il motivo è procedurale ma sostanziale: il legale rappresentante ha agito in proprio, come persona fisica indagata, mentre le somme erano state sequestrate alla società, un soggetto giuridico distinto.

Secondo la Corte, l’indagato che non è titolare del bene sequestrato può impugnare il provvedimento solo se dimostra un interesse concreto e attuale alla restituzione del bene. In questo caso, l’interesse alla restituzione delle somme appartiene alla società, non al suo amministratore. Anche se l’amministratore avesse un interesse a dimostrare l’insussistenza del reato (fumus commissi delicti), questo non è sufficiente a legittimarlo a ricorrere per beni altrui, data l’autonomia tra il giudizio cautelare e quello di merito.

Le Motivazioni della Decisione nel merito del sequestro preventivo

Pur avendo già chiuso il caso con la dichiarazione di inammissibilità, la Cassazione offre, per completezza, importanti chiarimenti sulle questioni sollevate dal ricorrente.

1. La natura fungibile del denaro: La Corte respinge l’argomento sulla mancanza di nesso tra somme e reato. Richiamando una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 42415/2021), si ribadisce che il denaro è un bene ‘ontologicamente’ diverso da ogni altro. Quando il profitto di un reato è costituito da una somma di denaro, questa si confonde nel patrimonio del reo. Di conseguenza, qualsiasi somma di pari valore trovata nella sua disponibilità è soggetta a confisca diretta, e non per equivalente. È irrilevante dimostrare che le banconote sequestrate siano materialmente le stesse provenienti dal reato. Il nesso di pertinenzialità si stabilisce tra il reato e l’incremento patrimoniale che ne è derivato.

2. La ‘Rottamazione’ non provata: Sulla questione della presunta estinzione del debito fiscale, la Corte osserva che il ricorrente non ha fornito alcuna prova del pagamento effettivo delle somme dovute. La semplice adesione a un piano di rottamazione non è sufficiente a estinguere il debito e, di conseguenza, a far venire meno il profitto del reato.

3. Il Pericolo di Dispersione: Infine, la Cassazione ritiene corretta la valutazione del Tribunale sul periculum in mora. L’elevata esposizione debitoria della società e il concreto rischio che le somme potessero essere dissipate o nascoste costituivano una motivazione valida e sufficiente per giustificare l’urgenza della misura cautelare.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza offre due lezioni fondamentali. La prima è di natura procedurale: l’amministratore di una società non può impugnare personalmente un sequestro preventivo sui beni dell’ente, a meno che non dimostri un interesse proprio, concreto e attuale alla restituzione. L’impugnazione, se del caso, deve essere proposta dalla società stessa, in persona del suo legale rappresentante. La seconda è di natura sostanziale e rafforza un principio ormai consolidato: nella lotta ai reati economici, la confisca del denaro è diretta, data la sua fungibilità. Chi commette un reato da cui deriva un profitto monetario non può proteggere il proprio patrimonio semplicemente mescolando i proventi illeciti con quelli leciti.

Può il legale rappresentante di una società ricorrere personalmente contro il sequestro preventivo dei conti correnti della società stessa?
No. Secondo la Corte, il legale rappresentante, in quanto persona fisica indagata ma non titolare dei beni, non ha un interesse concreto e attuale alla restituzione. Il ricorso è quindi inammissibile perché l’interesse a recuperare le somme appartiene alla società, che è un soggetto giuridico distinto.

Se il profitto di un reato è denaro, è necessario dimostrare che le somme sequestrate sono esattamente quelle derivanti dall’illecito?
No. La Corte di Cassazione, richiamando le Sezioni Unite, ha stabilito che il denaro è un bene fungibile. Una volta che il profitto illecito entra nel patrimonio del reo, si confonde con esso. Pertanto, qualsiasi somma di denaro di valore equivalente trovata nella disponibilità del soggetto può essere oggetto di confisca diretta, senza bisogno di provare l’identità fisica del contante.

Aderire a un piano di ‘rottamazione’ fiscale è sufficiente per bloccare un sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato tributario?
No, non è sufficiente. La sentenza chiarisce che per estinguere il debito fiscale, e quindi eliminare il profitto del reato, è necessaria la prova dell’effettivo pagamento delle somme dovute. La sola adesione a un piano di rateizzazione o definizione agevolata non basta a paralizzare la misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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