Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4756 Anno 2024
RITENUTO IN FATTO Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3   Num. 4756  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2023
Il Tribunale di Messina, Sezione riesame, con ordinanza del 22 giugno 2023, ha rigettato il riesame proposto da NOME avverso il decreto di sequestro preventivo (finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE fino alla concorrenza dell’importo di euro 261.378,00 e in caso di incapienza il sequestro preventivo per equivalente nei confronti dell’indagata legale rappresentante NOME) del 18 marzo 2023 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Barcellona P.G., relativamente al reato in accertamento di cui all’art. 10 bis, d. Igs. 74 del 2000. Il sequestro è stato disposto in sede esecutiva solo sulle somme giacenti sui conti correnti della società
 Ricorre in cassazione personalmente COGNOME NOME, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.
1. Violazione di legge (art. 321 cod. proc. pen.), relativamente alla sussistenza dei presupposti per il sequestro.
Il Tribunale ha ritenuto sussistente il fumus del reato in accertamento, ma non ha valutato l’avvenuta rottamazione della pretesa fiscale ex art. 13, d. Igs. 74 del 2000 (causa di non punibilità). La rottamazione ha fatto venire meno il profitto del reato e in conseguenza l’oggetto del sequestro.
Manca, inoltre, il nesso di pertinenzialità tra le somme sequestrate alla società e il reato contestato. Il Tribunale non ha motivato sul punto.
Manca, infine, adeguata motivazione sulle esigenze cautelari. Il Tribunale non ha effettuato un’autonoma valutazione del periculum in mora limitandosi a richiamare il provvedimento genetico.
Ha chiesto pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta inammissibile.
Le somme sono state sequestrate alla società, mentre propone il ricorso la persona fisica indagata. La stessa non ha un interesse all’impugnazione: «L’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo è legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro. (Nella specie, è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso dell’indagato per la restituzione di beni in sequestro di proprietà di una società in accomandita, in quanto, sebbene egli ne fosse il legale rappresentante, aveva presentato il ricorso in proprio; nè è stato ravvisato un interesse nell’ottenimento, come indagato, di una pronuncia sull’insussistenza del “fumus commissi delicti”, attesa l’autonomia del giudizio cautelare da quello di merito)» (Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017 – dep. 13/10/2017, COGNOME e altri, Rv. 27123101; vedi anche Sez. 3, n. 9947 del 20/01/2016 – dep. 10/03/2016, Piances, Rv. 26671301 e Sez. 2, n. 50315 del 16/09/2015 – dep. 22/12/2015, Mokchane, Rv. 26546301).
Comunque, per completezza, si deve rilevare, sulla prospettata assenza di nesso di pertinenzialità del denaro con il reato in accertamento, che la questione ultimamente è stata decisa dalla Sezioni Unite nei seguenti termini: “La confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile
del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione” (Sez. U, Sentenza n. 42415 del 27/05/2021 Cc. (dep. 18/11/2021) Rv. 282037 – 01).
Prendendo le mosse dalla peculiarità del denaro, rispetto al quale “è indifferente l’identità fisica del numerano oggetto di ablazione rispetto a quello illecitamente conseguito”, le Sezioni Unite hanno precisato che ciò non fa venir meno l’esigenza di individuare il nesso eziologico di diretta provenienza del profitto dal reato, bensì consente una diversa modulazione in ragione della naturale fungibilità del denaro.
In particolare è stato messo in evidenza come il denaro sia bene “ontologicamente” diverso da qualunque altra utilità e che la peculiare natura del denaro si riflette anche sulla confisca, dovendosi ritenere che nel caso in cui il profitto od il prezzo del reato sia consistito in denaro, è “irrilevante che il numerarlo conseguito dall’autore – perciò stesso confuso nel suo patrimonio, al pari, del resto, di eventuali altre acquisizioni monetarie lecite- sia materialmente corrispondente a quello sottoposto a confisca”. La somma di denaro che ha costituito il prezzo o il profitto del reato non va dunque considerata, ai fini che ci occupano, nella sua fisica consistenza, ma nella sua ontologica essenza di bene fungibile e paradigma di valore. Se il prezzo o il profitto del reato è rappresentato da una somma di denaro, essa si confonde con altre componenti del patrimonio e perde perciò stesso ogni giuridico rilievo la sua identificabilità fisica.
In definitiva, secondo le Sezioni Unite, il rapporto di pertinenzialità va individuato tra il reato e l’incremento monetario che ne è conseguito, ne consegue che la materiale composizione della disponibilità in denaro diviene irrilevante, posto che oggetto della confisca sarà pur sempre una somma di valore pari a quella ottenuta dalla commissione del reato.
Relativamente alla rottamazione si deve rilevare che non sussiste prova del pagamento (vedi Cassazione, Sez. 3, del 10
dicembre 2020 n. 35175: “Infatti, l’art. 3, primo comma, del d. I. 119 del 2018 prevede la c.d. rottamazione ter che comporta, mediante il pagamento dell’importo iscritto a ruolo, l’estinzione del debito fiscale, senza corrispondere le sanzioni e gli interessi di mora”).
 Sul periculum in mora il Tribunale rileva la rilevante esposizione debitoria delle società e il concreto pericolo di dissipazione o di occultamento delle somme. Su questi aspetti il ricorso non si confronta.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen. per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7/11/2023