Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 40344 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 40344 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 28/12/2023 del TRIB. LIBERTA’ di POTENZA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per la ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 4 luglio 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, delle somme di denaro che sarebbero state rinvenute nella disponibilità delle società “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE, fino al valore di euro 20.373.646,00.
Il decreto era stato emesso nell’ambito di un procedimento che aveva a oggetto più fatti di bancarotta fraudolenta contestati (tra gli altri) a NOME Pierre
(nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione della “RAGIONE_SOCIALE“), in relazione al fallimento della “RAGIONE_SOCIALE” (già “RAGIONE_SOCIALE“).
La società, fallita il 14 gennaio 2016, in passato aveva fatto parte del gruppo franco-olandese “RAGIONE_SOCIALE” e le sue quote erano state possedute da altre due società del medesimo gruppo, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” (la “RAGIONE_SOCIALE” fungeva da cash pooler per tutte le società del gruppo). Nel 2010, le quote della fallita erano state cedute a “RAGIONE_SOCIALE“, società a tal scopo costituita, priva di capacità finanziaria e amministrata dal defunto COGNOME NOME, che contestualmente era stato nominato amministratore unico anche della “RAGIONE_SOCIALE“, che, a seguito di tali vicende, aveva assunto la denominazione di “RAGIONE_SOCIALE“.
La provvista necessaria al pagamento del prezzo di acquisto delle quote era stata fornita alla T.R.E. dalla stessa Step One, che aveva concesso un finanziamento – non assistito da garanzie e mai rimborsato – in favore della nuova controllante per oltre 13.000.000 di euro, utilizzando la somma bonificatagli da RAGIONE_SOCIALE, a parziale estinzione del credito vantato nei confronti di quest’ultima a chiusura del contratto di cash pooling, stipulato dalla stessa con tutte le società del gruppo e anche con la allora RAGIONE_SOCIALE La somma versata pro quota a RAGIONE_SOCIALE e a RAGIONE_SOCIALE, in pagamento delle rispettive partecipazioni nella fallita, era stata infine versata sui conti della stessa RAGIONE_SOCIALE da cui proveniva.
Secondo l’impostazione accusatoria, NOME COGNOMEnella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE) e i rappresentanti legali della RAGIONE_SOCIALE, in concorso con il defunto COGNOME COGNOME (nella sua “qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, avrebbero distratto e dissipato il denaro della società RAGIONE_SOCIALE per la somma complessiva di € 20.375.646.00, in danno della massa creditoria e a beneficio delle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” e della società franco-olandese “RAGIONE_SOCIALE, attraverso la complessa operazione finanziaria sopra descritta nonché mediante un accordo novativo con cui sarebbe stato trasformato il restante credito vantato dalla neocostituita RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE – sorto per effetto del contratto di cash pooling – nel credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per il pagamento del prezzo per l’acquisto dei macchinari posseduti dalla fallita e da questa venduti a RAGIONE_SOCIALE. Accordo per effetto del quale la RAGIONE_SOCIALE, pagando la sola somma di euro 6.758.818,00, per il prezzo convenuto per l’acquisto dei macchinari, avrebbe estinto anche il debito sorto per il contratto di cash pooling.
2. In data 16 ottobre 2023, in attuazione del decreto di sequestro, la Procura della Repubblica di Potenza aveva emesso decreto di perquisizione dei luoghi nella
disponibilità delle società “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, con conseguente eventuale sequestro del denaro contante rinvenuto.
In data 6 dicembre 2023, la Procura della Repubblica di Potenza aveva emesso anche un ordine europeo di indagine (indirizzato alle autorità giudiziarie francesi e olandesi), avente a oggetto «la perquisizione dei luoghi nella disponibilità delle società» suddette, «finalizzata al rinvenimento di denaro contante, da sottoporre a sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta fino al valore di euro 20.375.646,00».
Avverso il provvedimento di sequestro, la società “RAGIONE_SOCIALE aveva proposto, quale terza interessata, richiesta di riesame.
4.1. Il Tribunale di Potenza – Sezione riesame – con ordinanza del 28 dicembre 2023 (depositata il 25 gennaio 2024) ha rigettato l’istanza di riesame.
Avverso l’ordinanza del Tribunale di Potenza, la società “RAGIONE_SOCIALE, quale terza interessata, ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
5.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 42 Cost., 240 cod. pen., 125, 309 e 324 cod. proc. pen., 17 CDFUE e 26 e 32 direttiva 2014/41/UE.
Rappresenta che la difesa, con l’istanza di riesame, aveva eccepito che «il sequestro preventivo disposto dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza era stato attuato in maniera illegittima, in quanto per darvi esecuzione la Procura della Repubblica aveva emesso un ordine di esecuzione internazionale con il quale aveva chiesto all’autorità straniera di procedere a una perquisizione non per reperire il corpo del reato o cose pertinenti al reato, ma al fine di individuare i conti correnti delle società destinatarie del sequestro preventivo, tra cui la società “RAGIONE_SOCIALE». In tal modo, sviando «la funzione dell’OEI, in quanto utilizzato al di fuori della finalità di ricerca della prova, ma per cercare ben da colpire con sequestro preventivo, in violazione degli artt. 26 e 32 direttiva 2014/41/UE».
Il Tribunale, tuttavia, ha ritenuto infondate le censure, sostenendo che la difesa, se avesse voluto contestare l’ordine europeo di indagine, avrebbe dovuto proporre opposizione al provvedimento del giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n. 108 del 2017.
Tale affermazione, secondo la ricorrente, risulterebbe del tutto errata, atteso che il mezzo di impugnazione indicato dal Tribunale non risulterebbe applicabile al
caso concreto, essendo riservato all’ipotesi in cui il pubblico ministero italiano riceveva un ordine europeo di indagine da parte di un’autorità straniera richiedente.
La ricorrente, in ogni caso, evidenzia che il Tribunale non avrebbe affrontato la vera questione posta dalla difesa, relativa al fatto che l’autorità giudiziari italiana aveva abusato dell’ordine esecutivo di indagine, utilizzandolo per finalità diverse da quelle previste dalla legge e, in particolare, come mezzo di attuazione di un sequestro preventivo e non quale mezzo di ricerca della prova. L’abuso sarebbe reso evidente dal testo stesso dell’ordine europeo di indagine, dal quale emergeva che la perquisizione era volutamente disposta non per ricercare cose pertinenti al reato, ma per rinvenire denaro da sottoporre a sequestro preventivo.
Tale sviamento dello strumento di collaborazione internazionale era stato chiaramente posto in evidenza con l’atto di riesame, ma il Tribunale, pur riconoscendo che l’ordine europeo di indagine non poteva essere emesso per eseguire il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, aveva poi concluso che non vi sarebbe stata alcuna lesione del diritto di proprietà, atteso che l’effett ablativo era da ricollegare non all’ordine europeo di indagine, ma al decreto di freezing.
La ricorrente contesta tale motivazione, sostenendo che sarebbe «ovvio che l’effetto ablativo sia riconducibile al decreto di sequestro preventivo, ma ciò non consente di ignorare – come invece fa il Tribunale – che la misura sia stata attuata attraverso un abuso non consentito di strumenti giuridici (la perquisizione e il sequestro attraverso OEI), deputati a tutt’altro scopo». Il Tribunale avrebbe omesso di rispondere alla difesa «in ordine agli effetti di tali violazioni, le qua producono vizi che non possono ritenersi di tipo derivato, ma che vanno a inficiare direttamente la misura attuata proprio perché attengono alle modalità di esecuzione della stessa». Il provvedimento impugnato si caratterizzerebbe «per un profondo vuoto motivazionale in ordine all’eccepita impossibilità giuridica per l’autorità giudiziaria di aggredire beni in violazione delle regole che governano le modalità di apprensione degli stessi».
La ricorrente ricorda che la proprietà rientra tra i diritti fondamentali sia dell Carta costituzionale che della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea e che una sua limitazione può essere consentita e tollerata solo nei casi espressamente previsti dalla legge. Nel caso in esame, l’autorità giudiziaria italiana avrebbe aggredito beni appartenenti a terzi rispetto all’indagine, utilizzando strumenti giuridici che la legge destinava a scopi diversi e il Tribunale non avrebbe risposto alle violazioni denunciate dalla difesa, che avrebbero imposto di dichiarare illegittimo il sequestro preventivo, che era stato attuato attraverso strumenti legislativamente non previsti.
5.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 240 cod. pen., 125, 309, 321 e 324 cod. proc. pen., 216 e 223 legge fall.
La ricorrente ricostruisce l’operazione finanziaria contestata nei temini che seguono: RAGIONE_SOCIALE era debitrice verso la fallita dell’importo di euro 29.406.447, corrispondente al denaro che, nel corso del tempo, aveva ricevuto in ragione del contratto di cash pooling; con la vendita delle quote della fallita alla società “RAGIONE_SOCIALE“, la RAGIONE_SOCIALE (divenuta RAGIONE_SOCIALE) era uscita dal gruppo RAGIONE_SOCIALE e veniva perciò a cessare il rapporto di cash pooling; la fallita, pertanto, doveva tornare in possesso delle somme fino a quel momento conferite a RAGIONE_SOCIALE; la restituzione era avvenuta con un bonifico sul conto della fallita per l’importo di euro 13.616.828; quella stessa somma, dopo il cambio di governance seguito alla vendita delle quote, era stata poi bonificata dal nuovo amministratore, COGNOME COGNOME, alla società “RAGIONE_SOCIALE“, a titolo di finanziamento; il COGNOME, che era anche amministratore della società “RAGIONE_SOCIALE“, aveva utilizzato quel denaro per pagare il prezzo per l’acquisto delle quote della fallita detenute dalle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“; la “RAGIONE_SOCIALE” aveva effettuato un unico bonifico in favore di RAGIONE_SOCIALE, atteso il contratto di cash pooling che legava la RAGIONE_SOCIALE alle due società venditrici delle quote.
I passaggi di denaro avvenuti con l’operazione in questione erano ben delineati: RAGIONE_SOCIALE aveva saldato parte del proprio debito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (già divenuta RAGIONE_SOCIALE); quest’ultima aveva concesso in prestito alla società “RAGIONE_SOCIALE” il denaro ricevuto; la società “RAGIONE_SOCIALE” aveva utilizzato il denaro ricevuto in prestito per acquistare da “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” le quote della “RAGIONE_SOCIALE“.
Tanto premesso, la ricorrente sostiene che tutti i passaggi di denaro troverebbero giustificazione in un valido titolo giuridico e che un’eventuale distrazione di beni della fallita si potrebbe riscontrare solo nel secondo passaggio descritto, ossia quello relativo al finanziamento che la fallita aveva concesso alla società “RAGIONE_SOCIALE“, in assenza di qualsiasi garanzia. Tale presunta distrazione, però, era intervenuta dopo il mutamento della compagine sociale, quando oramai la società fallita non aveva nulla più a che fare con il gruppo RAGIONE_SOCIALE.
La ricorrente sostiene che il Tribunale si sarebbe limitato a porre in rilievo la circostanza che le somme che dovevano essere restituite dalla RAGIONE_SOCIALE alla fallita erano ritornate alla società dalla quale erano per partite, senza che la fallita ne avesse tratto alcun effettivo beneficio, mentre la RAGIONE_SOCIALE avrebbe chiuso una partita debitoria mantenendo inalterata la propria disponibilità di quelle somme e, al contempo, le società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” avrebbero accresciuto il loro patrimonio. Il Tribunale, però, non avrebbe tenuto conto
dell’esistenza dei contratti e delle obbligazioni che giustificavano i vari passaggi di denaro.
In particolare, il passaggio di denaro dalla società RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE” verso RAGIONE_SOCIALE era stato disposto sulla base di una legittima causa: il pagamento delle quote cedute, il cui prezzo era stato determinato in modo congruo. Il denaro trasferito sul conto di RAGIONE_SOCIALE traeva la sua ragione da un titolo contrattuale, la cui validità non era stata mai posta in discussione.
L’operazione di cessione delle quote, dunque, non aveva generato alcun profitto illecito né in capo alle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” né in capo alla RAGIONE_SOCIALE, atteso che si trattava del pagamento del corrispettivo per l’acquisizione delle quote della fallita. Non vi sarebbe stato alcun accrescimento patrimoniale in favore delle società destinatarie del sequestro, atteso che le società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” avevano ceduto alla società “RAGIONE_SOCIALE” le quote ad un prezzo congruo. Il denaro passato dalla società “RAGIONE_SOCIALE” alla RAGIONE_SOCIALE non costituiva il profitto del reato di bancarotta, ma il corrispettivo per la lecita vendita delle quote della fallita.
Il Tribunale non avrebbe verificato, di volta in volta, le causali di ciascun passaggio della somma di denaro e in tal modo avrebbe finito per determinare una triplicazione del profitto determinato dall’operazione in questione: il primo, quello conseguito dalla società “RAGIONE_SOCIALE“; il secondo in capo alle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“; il terzo in capo alla società RAGIONE_SOCIALE Assumere che diverse società abbiano ottenuto il medesimo profitto, derivante da un unico reato, avrebbe portato a una surrettizia moltiplicazione dei valori confiscabili. Sarebbe evidente infatti che un’unica somma, derivante da un unico reato, non potrebbe determinare un accrescimento patrimoniale di soggetti diversi solo perché trasferita dall’uno all’altro.
Il Tribunale, se avesse verificato le causali che giustificavano i singoli passaggi di quella somma di denaro, avrebbe appurato che l’unica società che aveva ottenuto un accrescimento patrimoniale di diretta derivazione causale dalla condotta illecita era stata la società “RAGIONE_SOCIALE“, che aveva conseguito la disponibilità di una somma rilevante, in assenza di qualsiasi garanzia di restituzione.
5.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 240 cod. pen., 125, 309, 321 e 324 cod. proc. pen., 216 e 223 legge fall.
La ricorrente contesta l’ordinanza impugnata, nella parte in cui ravvisa in capo alle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” un profitto derivante dalla cessione dei macchinari e delle attrezzature dalla fallita alla RAGIONE_SOCIALE
In particolare, evidenzia che le due società non risultano in alcun modo coinvolte in tale presunta operazione distrattiva, che, anche se fosse confermata
nei termini di cui all’imputazione provvisoria, risulterebbe avere determinato un profitto di euro 6.758.818,00, pari al prezzo dei macchinari ceduti, esclusivamente in capo alla società RAGIONE_SOCIALE che ne risultava acquirente.
La ricorrente deduce l’assoluta illegittimità del provvedimento impugnato, che ha legittimato il sequestro della somma di euro 6.758.818,00, in danno di due società estranee all’operazione.
La ricorrente contesta la tesi del Tribunale, secondo il quale le società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” avrebbero ricevuto un vantaggio indiretto dal fatto che la RAGIONE_SOCIALE – in ragione del cash pooling – aveva acquisito una maggiore disponibilità economica, da distribuire a tutte le società del gruppo che ne avessero avuto necessità, tra cui anche le due società in questione.
In tal modo, il Tribunale, in violazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 240 cod. pen., avrebbe ancorato il presunto profitto non ad uno specifico e tangibile accrescimento patrimoniale conseguente al reato, ma a un ipotetico vantaggio indiretto.
Anche in tal caso il Tribunale sarebbe incorso nell’errore di moltiplicare il vantaggio patrimoniale, estendendo il medesimo profitto di euro 6.758.818,00, effettivamente conseguito dalla sola RAGIONE_SOCIALE, a tutte le società del gruppo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto, limitatamente al terzo motivo, mentre, invece, deve essere rigettato nel resto.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Va premesso che il titolo ablativo è rappresentato non già dall’ordine di indagine europeo, ma dal decreto di sequestro preventivo del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza, emesso il 4 luglio 2023, finalizzato alla confisca diretta delle somme rinvenute nella disponibilità, tra l’altro, d RAGIONE_SOCIALE fino alla concorrenza di C 20.375.646,00, in quanto ritenute il profitto del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per cui si procede.
Come risulta dall’ordinanza impugnata, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza ha provveduto a trasmettere il decreto di sequestro mediante certificato di congelamento alla competente autorità giudiziaria straniera, al fine di ottenere il riconoscimento e l’esecuzione del provvedimento ai sensi dell’art. 4 del Regolamento UE 2018/1805 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca. Emerge inoltre dalla stessa ordinanza che il decreto di sequestro è stato parzialmente eseguito mediante il congelamento delle somme rinvenute sui conti intrattenuti dalla
ricorrente nel territorio dello Stato richiesto, il quale ha provveduto alla materiale apposizione del vincolo.
Risulta, infine, anche l’emissione da parte del pubblico ministero di un ordine di indagine europeo, inviato alla competente autorità del medesimo Stato interessato, al fine dell’esecuzione del decreto del Giudice per le indagini preliminari, e con il quale è stata richiesta la perquisizione dei luoghi nella disponibilità delle società, siti nel territorio del suddetto Stato, allo scopo rinvenire somme di danaro da assoggettare al vincolo cautelare.
Tanto premesso, va anzitutto ribadito che, dopo l’emissione del titolo cautelare, rientra nelle prerogative del pubblico ministero ogni determinazione relativa alla sua esecuzione, spettando agli aventi diritto esclusivamente la facoltà di ricorrere al giudice dell’esecuzione per sollecitare il controllo d legittimità relativo alle modalità di esecuzione in concreto adottate (ex multis Sez. 3, n. 30405 del 08/04/2016, COGNOME, Rv. 267587; nel medesimo senso, incidentalmente, Sez. 1, n. 8283 del 24/11/2020, COGNOME, Rv. 280604; Sez. U, n. 23 del 14/12/1994, NOME, Rv. 200114). Rimane dunque escluso che possano essere fatte valere dinanzi al giudice del riesame questioni attinenti agli atti riguardanti le modalità di esecuzione del provvedimento cautelare e non già a quest’ultimo, che rimane l’unico atto impugnabile ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 44504 del 03/07/2015, COGNOME, Rv. 265103).
Ne consegue che non erano deducibili nel giudizio di riesame – e ancor meno con il successivo ricorso per cassazione – gli eventuali vizi dell’o.e.i., posto che, per stessa ammissione della ricorrente, questo era finalizzato a dare esecuzione al provvedimento di sequestro e, in particolare, a individuare l’allocazione dei beni che dovevano essere sottoposti a vincolo.
Priva di alcun fondamento giuridico è inoltre la pretesa difensiva di far refluire sul decreto di sequestro l’asserita illegittimità del provvedimento adottato dal pubblico ministero (con finalità esecutiva del titolo cautelare), posto che un provvedimento legittimo non diviene illegittimo per vicende che attengono alle successive modalità con le quali esso venga poi portato a esecuzione.
Va ribadito che, alla luce dell’illustrata ricostruzione della vicenda procedimentale, risulta che il vincolo sui conti correnti è stato apposto in forza del provvedimento di sequestro, trasmesso, nelle formalità prescritte, all’autorità competente e parzialmente eseguito mediante il congelamento delle somme rinvenute sui conti intrattenuti dalla ricorrente nel territorio dello Stato richiest il quale ha provveduto alla materiale apposizione del vincolo. Il censurato o.e.i. – che aveva a oggetto la perquisizione «dei luoghi nella disponibilità delle società», «finalizzata al rinvenimento di denaro contante» – atteneva alla fase esecutiva e la ricorrente, peraltro, non ha neppure dimostrato che la
perquisizione «dei luoghi nella disponibilità delle società» sia stata effettivamente eseguita e in che termini abbia concretamente influito sul congelamento dei conti correnti della società.
Va, poi, chiarito che non è in discussione il principio, evocato dalla ricorrente, per cui attraverso l’o.e.i., ai sensi dell’art. 32 della Direttiva 2014/41/UE e degl artt. 2 e 28 d.lgs. n. 108 del 2017 che alla stessa ha dato attuazione, può essere richiesto esclusivamente il sequestro a fini probatori e non anche quello preventivo (Sez. 6, n. 35707 del 13/07/2021, COGNOME, Rv. 282109). Il pubblico ministero, invero, attraverso l’atto censurato, non ha richiesto il riconoscimento e l’esecuzione del decreto di sequestro preventivo, né il congelamento delle somme danaro di cui si discute sotto altra forma, bensì, soltanto lo svolgimento di una perquisizione finalizzata ad acquisire la prova dell’esatta allocazione dei beni da assoggettare al vincolo. Per l’esecuzione del decreto, il giudice, come detto, già si era autonomamente rivolto all’autorità dello Stato richiesto, ai sensi del citato Regolamento UE 2018/1805.
I termini della questione non mutano solo perché l’o.i.e. contiene la richiesta di procedere all’atto d’indagine contestualmente all’esecuzione del decreto di sequestro al fine di garantire la riservatezza dell’indagine. Si tratta infatti di un richiesta legittima che spettava all’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione accogliere o meno, ma che non comporta alcuna commistione tra i due strumenti previsti dalla legislazione euro-unitaria. E’ infatti pacifico, sulla base de contenuto dell’atto del pubblico ministero, che l’acquisizione dei beni doveva avvenire in forza del riconoscimento del decreto di sequestro preventivo del Giudice per le indagini preliminari e in esecuzione dei conseguenti atti emanati in forza della propria normativa interna dall’autorità giudiziaria dello Stato richiesto, la quale è rimasta competente in via esclusiva a conoscere della regolarità degli atti esecutivi compiuti sul proprio territorio e del procedimento acquisitivo del bene.
Le doglianze della ricorrente, dunque, oltre che indeducibili nel giudizio di riesame, si rivelano in realtà anche manifestamente infondate.
Certamente errata, infine, è l’affermazione del Tribunale per cui, avverso il provvedimento del pubblico ministero, la ricorrente avrebbe dovuto proporre opposizione al Giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 13 comma 1 d.lgs. n. 108 del 2017, atteso che, come eccepito dalla difesa, tale disposizione è dettata con esclusivo riguardo all’ipotesi del riconoscimento di un o.i.e. passivo. Si tratta, tuttavia, di un errore del tutto ininfluente sulla correttezza del decisione del Tribunale, avendo i giudici del riesame esattamente ritenuto inconferente l’adozione dell’ordine censurato ai fini della legittimità del titol cautelare impugnato.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
La ricorrente “frammenta” l’operazione finanziaria, ricostruita in termini unitari dai giudici di merito, per sostenere che tutti i passaggi di denaro troverebbero giustificazione in un valido titolo giuridico. In particolare, passaggio di denaro dalla “RAGIONE_SOCIALE” verso RAGIONE_SOCIALE trarrebbe origine da un valido contratto (quello con il quale le quote della società fallita erano state cedute alla “RAGIONE_SOCIALE“) e costituirebbe il corrispettivo, congruamente determinato, spettante al venditore. Così come il precedente passaggio di denaro da RAGIONE_SOCIALE alla fallita trarrebbe origine dal contratto di cash pooling, che rendeva quest’ultima creditrice del denaro che, nel corso del tempo, aveva versato alla cash pooler. L’unica operazione che, eventualmente, potrebbe considerarsi distrattiva, secondo la ricorrente, potrebbe essere quella relativa al finanziamento che la fallita aveva concesso, in assenza di qualsiasi garanzia, alla “RAGIONE_SOCIALE” e solo rispetto a tale passaggio di denaro potrebbe configurarsi un profitto sequestrabile. La società ricorrente, però, sarebbe estranea a tale presunta distrazione, in quanto perpetrata dopo il mutamento della compagine sociale della fallita, quando oramai quest’ultima non aveva nulla più a che fare con il gruppo RAGIONE_SOCIALE.
Va, però, evidenziato che il Giudice per le indagini preliminari, nel decreto di sequestro, ha ricostruito in maniera unitaria la complessa operazione distrattiva, basandosi sugli atti del procedimento, in parte trascritti nel provvedimento.
Va, in primo luogo, evidenziato che gli atti del procedimento trascritti nel decreto di sequestro smentiscono quanto affermato dalla ricorrente, secondo la quale la fallita avrebbe concesso il finanziamento alla “RAGIONE_SOCIALE” (che costituirebbe l’unica operazione che potrebbe assumere natura distrattiva) dopo il mutamento della compagine sociale della fallita, quando oramai quest’ultima non aveva più nulla a che fare con il gruppo RAGIONE_SOCIALE
Risulta, invero, che il denaro, da ultimo, veniva trasferito dal conto della “RAGIONE_SOCIALE” a quello olandese di partenza, intestato a Polypore BV, in data 9.3.2010 alle ore 10.22.47, ancora prima della sottoscrizione del formale contratto di compravendita delle quote della fallita, avvenuto alle ore 12.10 dello stesso giorno (cfr. pagine 17 e 18 del decreto). Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, dunque, il finanziamento di “RAGIONE_SOCIALE” da parte della fallita è avvenuto quando non era ancora intervenuto il mutamento della compagine sociale.
Dagli atti trascritti nel decreto di sequestro e dalla ricostruzione operata dai giudici di merito, più in generale, emerge che i vari passaggi di denaro traevano origine, tutti, dall’accordo intervenuto tra NOME COGNOME che operava nella qualità di amministratore della “RAGIONE_SOCIALE” e procuratore delle società
“RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, e COGNOME NOME, che operava quale amministratore della “RAGIONE_SOCIALE“.
La società ricorrente, dunque, non può essere ritenuta estranea a quel finanziamento, perché concesso quando la fallita era ancora (in quota parte) di sua “proprietà” e perché esso costituiva attuazione di impegni assunti dall’COGNOME, anche nella veste di suo procuratore.
Dalla ricostruzione operata dai giudici di merito emerge non solo che la società ricorrente non era estranea al finanziamento, ma anche che quel passaggio di denaro era solo parte di una più ampia operazione, che vedeva pienamente coinvolta, fin dall’inizio, la “RAGIONE_SOCIALE“.
Attraverso i vari documenti riportati nel decreto, il Giudice per le indagini preliminari ha ricostruito anche le trattative e gli accordi preliminari (sottoscrit dall’COGNOME sempre nella qualità di amministratore della “RAGIONE_SOCIALE” e procuratore delle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“), che prevedevano l’intera complessa operazione, comprensiva anche del finanziamento in favore della “RAGIONE_SOCIALE“
L’unitarietà dell’operazione è resa evidente: dall’accordo che fin dall’origine la prevedeva nel suo complesso; dai tempi (tutto si è svolto in meno di 24 ore) con i quali tutti passaggi di denaro – attuativi dell’accordo – sono intervenuti; dalle qualità rivestite dall’COGNOME nell’ambito delle varie società che stipulavano gli atti e che effettuavano e ricevevano i pagamenti.
I giudici di merito non sembrano incorrere in alcuna violazione di legge o vizio logico nel ritenere che, da quell’operazione, da loro ricostruita in termini unitari, emerga il fumus del reato di bancarotta distrattiva, in relazione a quella somma di denaro depositata presso “la tesoreria accentrata del gruppo”, che, prima dell’operazione, era riferibile alla fallita e che – all’esito dell’operazione era stata sostituita con un credito privo di garanzie, vantato nei confronti di una società priva di capacità patrimoniale.
Il profitto di quell’operazione distrattiva – ideata e realizzata da chi, anche da un punto di vista formale, rappresentava la “RAGIONE_SOCIALE” – è costituito da quella somma di denaro ora imputabile alle due società del gruppo franco-olandese, della quale è stato legittimamente disposto il sequestro.
Al riguardo, va ricordato che questa Corte ha già affermato che la confisca del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per i reati commessi dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica, quando il profitto sia rimasto nella disponibilità della stessa, non potendo considerarsi, in tali casi, l’ente una persona estranea al reato (cfr. Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647; Sez. 3, n. 18049 del 01/02/2024, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 286315; Sez. 3, n. 17840 del
05/12/2018, COGNOME, Rv. 275599). Non può, invero, dirsi estraneo al reato l’ente che ha tratto un vantaggio immediato e diretto dal reato commesso da chi aveva il potere di rappresentarlo (Sez. 3, n. 18049 del 01/02/2024, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 286315; Sez. 3, n. 5255 del 03/11/2022, COGNOME, Rv. 284068).
La ricostruzione in termini unitari della vicenda in esame rende evidente l’infondatezza della tesi difensiva, secondo la quale vi sarebbe stata una moltiplicazione dei profitti. Il profitto è unico – così come unica è stata l distrazione – ed è costituito da quelle somme nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE, che, prima dell’operazione distrattiva, erano imputabili alla fallita e che, ora, sono imputabili alle due società del gruppo franco-olandese, che non possono considerarsi estranee al reato, atteso che il profitto è rimasto nella loro disponibilità e che l’intera operazione era stata ideata e realizzata da chi, anche da un punto di vista formale, le rappresentava.
1.3. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
Va ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (cfr. Sez. U, n. 5876 de 28/1/2004, COGNOME, Rv. 226710)
Ebbene, con riferimento alla seconda delle operazioni contestate – vale a dire la novazione della parte residua del credito vantato dalla stessa fallita nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, in forza dell’esecuzione del contratto di cash pooling -, il provvedimento impugnato, in ordine alle censure mosse dalla difesa, è caratterizzato da una sostanziale mancanza di argomenti, al punto tale da configurare una motivazione apparente e, dunque, il vizio di violazione di legge.
Secondo la difesa, anche a voler ammettere che la seconda delle operazioni contestate, oggettivamente, integri il reato ipotizzato dalla pubblica accusa, in ogni caso, il profitto conseguente a tale operazione non sarebbe attribuibile alle due società controllanti della fallita: la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, rimaste completamente estranee all’operazione di novazione.
Ebbene, tale censura è rimasta priva di un’effettiva risposta.
La novazione prevedeva: l’estinzione di una parte del debito della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società fallita RAGIONE_SOCIALE; la sostituzione dell’obbligazione originaria (rimborso del debito derivante da cash pooling) con una nuova obbligazione avente ad oggetto il pagamento del prezzo di cessione
b
delle attrezzature e del magazzino della fallita; il trasferimento dei beni ad altra società del gruppo, vale a dire proprio la RAGIONE_SOCIALE, società cash pooler.
Secondo il Tribunale, in base a tale accordo, il rimborso di oltre 29.000.000 di euro (dovuto in base al contratto di cash pooling) è avvenuto, per la quota di 6.758.818 euro, mediante novazione del rapporto di credito/debito, considerato depauperativo, perché, nel complesso, accrescitivo delle disponibilità economiche del gruppo.
Il Tribunale, però, basa tale affermazione su argomenti privi di un’effettiva capacità dimostrativa, quanto alla riferibilità del profitto e dell’accrescimento patrimoniale vantaggioso per la ricorrente, che non è parte del contratto dal punto di vista formale; argomenti affidati soltanto al dato suggestivo, ma non determinante, che l’accordo novativo conteneva, al par. 4.2., la seguente clausola: “l’acquirente dell’attrezzatura e dell’inventario sarà designato dai venditori (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE tra una delle società del RAGIONE_SOCIALE
Ebbene, a prescindere dalla considerazione difensiva circa l’inesatto riferimento di tale clausola all’accordo novativo, quando invece essa si ritrova soltanto nel contratto di vendita delle quote (circostanza che pure potrà essere esplorata nel giudizio di rinvio), la previsione di un diritto di designazione dell’acquirente dei beni strumentali della fallita in capo alle due società detentrici delle quote sociali, sino alla loro cessione, ritenuto indiziante della natura delittuosa dell’operazione di novazione e della sua ascrivibilità al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non rende evidente la configurabilità di un vantaggio accrescitivo della ricorrente derivante da tale operazione.
Il Tribunale, peraltro, mostra di non credere fino in fondo alla propria ricostruzione, atteso che, a pag. 42 del provvedimento impugnato, chiude il passaggio argomentativo sulla seconda condotta di bancarotta fraudolenta contestata (“da novazione”), ammettendo che la difesa possa aver ragione a ritenere che la ricorrente non abbia conseguito alcun profitto da tale reato, rigettando, tuttavia, il riesame sul presupposto che la società non avrebbe diritto comunque alla restituzione di alcunché, in quanto le somme di denaro concretamente apprese in sede di esecuzione ammontano a un totale di circa 830.000 euro, inferiore all’importo di euro 1.327.794,10 corrispondente al controvalore delle quote sociali cedute.
Il provvedimento cautelare, pertanto, nella parte in questione, risulta privo di un’effettiva motivazione, atteso che, in conformità alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. U, n. 42415 del 27/5/2021, C., Rv. 282037 e Sez. U, n. 31617 del 21/06/2015, Lucci), è necessario chiaramente prendere posizione sull’effettiva sussistenza di un profitto da reato in capo alla ricorrente – inteso
come vantaggio patrimoniale accrescitivo, puntuale e concreto e non futuro, indiretto e solo ipotetico -, anche con riguardo alla condotta distrattiva che si
ipotizza sia derivata dalla novazione contestata, senza che si possa eludere l’obbligo motivazionale attraverso espedienti meramente pragmatici.
2. In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, limitatamente al sequestro preventivo della somma di euro 6.758.818, con rinvio
al Tribunale di Potenza per nuovo esame. Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente al sequestro preventivo della somma di euro 6.758.818, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di
Potenza. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso, il 12 giugno 2024.