Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7677 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7677 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a LIVORNO il 20/05/1979 COGNOME NOMECOGNOME nato a LIVORNO il 14/02/1988
avverso l’ordinanza del 25/09/2024 del TRIB. LIBERTA di Livorno;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Livorno, con ordinanza del 26/09/2024, ha respinto le istanze di riesame proposte da NOME COGNOME e NOME COGNOME (oltre che da RAGIONE_SOCIALE non ricorrente in questa sede) contro il decreto con cui il GIP, in data
07/08/2024, aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta dell’immobile ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE e della somma di euro 245.000, confluita nel patrimonio della RAGIONE_SOCIALE, oltre alla confisca per equivalente, nel caso di salvi attivi incapíenti, anche sui beni personali degli odierni ricorrenti COGNOME e COGNOME;
ricorrono per cassazione sia il COGNOME che il COGNOME con un unico ricorso ed a mezzo il medesimo difensore che deduce:
2.1. violazione di legge con riferimento all’art. 12-bis, comma 2, D.Igs n. 74 del 2000; rileva, infatti, che la disposizione richiamata postula l’esistenza di un concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale quale requisito indispensabile per la adozione di un sequestro, situazione reputata nel caso di specie insussistente in presenza di un accordo conciliativo e del costante e puntuale pagamento delle rate da parte della società RAGIONE_SOCIALE; osserva che il Tribunale ha adottato una interpretazione sostanzialmente abrogativa, avendo anche omesso di considerare la tempistica della cessione del ramo di azienda, intervenuto in data 06/12/2022 rispetto a quella dell’immobile, intervenuta in data 13/03/2024; sottolinea il costante pagamento della rateizzazione ad esito della procedura conciliativa per due anni dopo la vendita della azienda e per un anno dopo la vendita dell’immobile e che, infine, è stata inoltre omessa qualsiasi considerazione in ordine alla gravità del reato;
2.2. contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. per mancanza di motivazione in punto di valutazione degli indizi di colpevolezza quanto al ruolo di amministratori di fatto: osserva che manca qualsiasi elemento dal quale desumere l’effettivo svolgimento del ruolo suddetto, basato su elementi significativi e concreti, a carattere univocamente sintomatico; segnala che non risultano sufficienti gli elementi richiamati nel provvedimento impugnato (il fatto che il NOME lavorasse con il COGNOME nei suoi uffici in INDIRIZZO o il richiamo ad un diverso procedimento penale pendente in fase dibattimentale) mentre la stessa nota prodotta con i motivi aggiunti dimostrava che la circostanza relativa al ruolo di amministratori di fatto non fosse stata ancora oggetto di accertamento; osserva che la motivazione sul punto si caratterizza per contraddittorietà avendo il Tribunale richiamato le dichiarazioni degli amministratori di diritto di cui ha affermato la portata dubitativa, tenuto conto, peraltro, che gli amministratori di diritto avrebbero avuto tutto l’interesse a dichiararsi estranei alla indagine in corso; osserva che la motivazione è del tutto apparente ove conferma la necessità di ulteriori approfondimenti quanto al ruolo predominante del COGNOME ed alla ragione delle plurime operazioni societarie poste in essere in relazioni alle quali la società RAGIONE_SOCIALE non viene neanche citata;
2.3. violazione di legge con riguardo all’art. 324 cod. proc. pen.: rileva che il Tribunale non ha considerato le doglianze difensive in ordine alla eccedenza del sequestro disposto dal GIP; precisa che la premessa secondo la quale non dovrebbe essere conteggiato il valore del bene immobile sequestrato è all’evidenza erronea e che è il Tribunale stesso a riconoscere con la sua motivazione che il sequestro si sarebbe dovuto limitare alla somma di euro 180.853,65 e non intervenire per la somma superiore per la quale è stato disposto, non avendone tuttavia tratto le necessarie conseguenze, sul rilievo secondo cui il tema non atterrebbe al giudizio di riesame, con ciò violando l’art. 324 cod. proc. pen., quanto al dovere di verificare se sussistano i presupposti per una revoca, anche parziale, del sequestro;
3. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché articolati con censure manifestamente infondate o non consentite in questa sede.
Non è in primo luogo inutile ribadire che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è consentito solo per violazione di legge, in siffatta nozione dovendosi peraltro comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione che risultino così radicali da rendere l’apparato argonnentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr., Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, NOME, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093 e, in ogni caso, già Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692).
E’ altrettanto consolidato l’orientamento di questa Corte nel senso di ritenere che il giudice del riesame, nella valutazione del fumus, deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile o meno l’impostazione accusatoria, ma non può sindacare la fondatezza dell’accusa (cfr., Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266789-01; Sez. 2, n. 45865 del 04/10/2019, COGNOME; Sez. 6, n. 10446 del 10/01/2018, COGNOME, Rv. 272336-01; Sez. 2, n. 18951 del 17/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01; Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 23969201; Sez. 1, n. 18941 del 30/01/2018, COGNOME, Rv. 269311; Sez. 6, n. 18183 del
23/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272927; Sez. 6, n. 9991 del 25/01/2017, COGNOME, Rv. 269311; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, COGNOME, Rv. 265433; Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, COGNOME, Rv. 261677).
Tanto premesso, il collegio deve rilevare come esulino dai vizi deducibili contro i provvedimenti cautelari reali le doglianze articolate nel quarto motivo di ricorso, intitolato “contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 606 lett. e) cpp” e “violazione dell’art,. 125 cpp per mancanza di motivazione in relazione all’art. 606 lett. bi cpp …”.
Sotto il primo profilo, infatti, il ricorso evoca chiaramente censure estranee a profili di violazione di legge che, invero, investono il motivo nella sua integrale formulazione, che finisce per contestare non già l’assenza (dal punto di vista grafico o, anche, della mancanza di requisiti minimi di coerenza) della motivazione quanto, piuttosto, un generico dissenso rispetto all’approdo decisorio cui sono pervenuti i giudici del riesame circa il ruolo degli odierni ricorrenti qual amministratori di fatto; è appena il caso di rilevare, infatti, che il Tribunale h sviluppato, sul punto specifico, una motivazione che non può di certo considerarsi meramente apparente e rispetto alla quale la difesa dei ricorrenti si limita a segnalare la insufficienza degli elementi fattuali evidenziati nel provvedimento impugnato.
Più in generale, peraltro, i ricorrenti non si confrontano effettivamente con la motivazione resa dai giudici del riesame finendo per reiterare in modo anche letteralmente sovrapponibile le doglianze formulate con l’impugnazione del provvedimento del GIP laddove l’ordinanza in verifica ha operato una approfondita valutazione della vicenda, senza limitarsi a prendere atto della tesi accusatoria, ed ha considerato adeguatamente le osservazioni critiche della difesa circa la sussistenza delle fattispecie richiamate nel provvedimento, esaminando così in modo completo la ricorrenza dei presupposti che legittimano l’adozione del sequestro.
Ed in effetti, il Tribunale ha passato in rassegna l’insieme degli elementi idonei a fondare un giudizio di verosimiglianza circa la commissione dei reati richiamati nella provvisoria imputazione, evidenziando plurimi elementi significativi in tal senso, che non risultano superati dalle allegazioni difensive; ha, in particolare, dato conto dei diversi accertamenti che avevano riguardato i ricorrenti, ricostruendo specificamente la cessione di azienda a fini di autoriciclaggio, i diversi passaggi societari sempre nell’interesse dei ricorrenti, le attività solo formalmente svolte dalle nuove società con particolare riferimento alla Olivia, secondo uno schema graficamente riportato nel testo (cfr., pagg. 2-3); ha, inoltre, sottolineato la circolarità delle operazioni con la fina:e confluenza della complessiva somma di euro 245.000 nel patrimonio della RAGIONE_SOCIALE, così evidenziando con motivazione
ampia, argomentata, immune da illogicità, la progettazione di una complessiva operazione chiaramente riferibile ai ricorrenti in considerazione del ruolo dagli stessi svolto nelle diverse compagini societarie, con evidente emersione dell’indole fraudolenta delle diverse operazioni poste in essere, come logicamente ricostruito anche a pag. 7 e seg. del ricorso).
Va, tuttavia, rilevato che il sequestro preventivo è stato adottato con riferimento sulla considerazione del fumus delle due imputazioni provvisorie considerate dal Tribunale, ovvero quella relativa al delitto di cui all’art. 11 del D Lg.vo 74 del 2000 e, inoltre, quella di autoriciclaggio, in relazione alle quali, inoltre è stato ravvisato un pericolo concreto di dispersione della garanzia patrimoniale in favore dell’erario anche in considerazione del ruolo effettivamente svolto dai ricorrenti.
Il ricorso si è soffermato, con il primo motivo, sulla contestazione del presupposto della concretezza del pericolo di dispersione patrimoniale introdotto dal legislatore del 2024 che, in tal senso, ha interpolato l’art. 12-bis del D. Lg.vo 74 del 2000.
Sul punto, peraltro, il Tribunale ha reso una motivazione (cfr., pagg. 8-9 dell’ordinanza) tutt’altro che apparente sottolineando come la definizione delle pendenze della Orange, con la rateizzazione delle cartelle esattoriali, non comprendesse le somme oggetto della verifica del dicembre del 2023, argomentando quindi sulle prospettive della società in merito al positivo completamento della procedura.
Per altro verso, il ricorso si disinteressa del tutto del delitto di autoriciclaggi quale ulteriore e distinto presupposto applicativo del sequestro finalizzato alla confisca non essendo inoltre inutile ricordare che, in tema di sequestro preventivo, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il “fumus commissi delicti”, vale a dire l’astratta sussunnibiiità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014, PM c. COGNOME Rv. 258279-01, Sez. 5, n. n. 3722 del 11/12/2019, COGNOME Rv. 278152-01), correlata all’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta dell’indagato.
In definitiva, si deve prendere atto che i ricorrenti non si confrontano effettivamente con la complessiva motivazione del provvedimento impugnato, limitandosi a reiterare le proprie doglianze laddove il Tribunale, nel considerare la ricorrenza del fumus dei delitti contestati, ha fornito una motivazione ampia, approfondita e priva di illogicità ricostruendo il complesso degli elementi indicativi della consapevole realizzazione, da parte degli odierni ricorrenti, di una pluralità
di fatti emblematici delle imputazioni provvisorie, secondo i principi applicati in questa materia dalla giurisprudenza di legittimità, correlandoli in modo puntuale al caso concreto (cfr., così, Sez. 2, n. 8793 del 14/02/2024; COGNOME, Rv. 286052; Sez.2, n. 10939 del 12/01/2024, COGNOME, Rv. 286140-01; Sez.2, n. 19125 del 26/04/2023, COGNOME, Rv. 284653-01; Sez. 2, n. 6024 del 09/01/2024, COGNOME, Rv. 285933-01, in tema di autoriciclaggio, con particolare riferimento alla tipica azione del delitto oggetto di imputazione provvisoria, caratterizzato da una lecita vestizione delle somme di denaro provenienti dalla commissione del delitto presupposto con autonoma individualità delle stesse, che così integrano la provvista economica del nuovo delitto trasformativo).
I ricorrenti, insomma, non tengono conto della motivazione ampia ed argomentata sulla ricorrenza del fumus in ordine ai due delitti provvisoriamente imputati limitandosi ad una lettura alternativa e del tutto parziale degli elementi allegati, a carattere del tutto reiterativo anche, come accennato, quanto alla considerazione del ruolo svolto e dell’importo oggetto di sequestro (cfr., in particolare, pag. 8 dell’ordinanza, quanto alla unitaria intenzione di occultare beni e sottrarli alla garanzia dell’erario per poi farli rientrare nella disponibilità ricorrente COGNOME, oltre che al richiamo alla verifica fiscale conclusasi nel 2023 con riscontro di ulteriori elementi a debito, attese le caratteristiche della Orange, sostanzialmente inattiva dal punto di vista imprenditoriale e tenuto conto della sua situazione patrimoniale oltre che della mancanza di assets e di personale dipendente).
4. Quanto al terzo motivo, va in primo luogo segnalato come il Tribunale (cfr.,. pag. 10 dell’ordinanza) abbia fatto presente come non fosse dimostrato che sui patrimoni delle persone offese fossero stati rinvenuti e sequestrati beni per un valore eccedente l’importo “limitato” nei termini indicati dalla difesa; va comunque ribadito che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, le controversie in ordine alla identificazione dei beni da sottoporre a vincolo, che non si traducano in istanze di restituzione correlate alla ritenuta sproporzione tra il “quantum” oggetto di sequestro ed i beni vincolati, devono essere proposte al giudice dell’esecuzione, mentre le contestazioni sulla corrispondenza fra il valore complessivo indicato nel decreto di sequestro ed il valore effettivo dei predetti beni, che si risolvano in istanze di restituzione parziale, devono essere rivolte al pubblico ministero che, in caso di mancato accoglimento, deve trasmettere la richiesta, corredata di parere ex art. 321, comma 3, cod. proc. pen., al giudice per le indagini preliminar, il cui provvedimento è impugnabile dinanzi al tribunale per il riesame delle misure coercitive (cfr., così Sez. 2, n. 17456 del 04/04/2019, Cerea, Rv. 276951 – 01).
I ricorsi devono in conclusione essere dichiarati inammissibili con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 17/01/2025.