Sequestro Preventivo e Diritti del Terzo: Cosa Può Contestare il Proprietario del Bene?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23245 del 2025, affronta un tema cruciale nell’ambito delle misure cautelari reali: i limiti del diritto di impugnazione del terzo proprietario di un bene sottoposto a sequestro preventivo. Questa decisione chiarisce in modo netto quale sia il perimetro delle contestazioni ammissibili, ribadendo un principio fondamentale a tutela dell’efficacia del sistema cautelare penale.
I Fatti del Caso: Sequestro di Denaro e Ricorso della Società
La vicenda trae origine da un decreto di sequestro preventivo di una somma di denaro emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord. La misura era stata disposta nei confronti di un soggetto indagato per il reato di truffa, ritenendo che il denaro costituisse il profitto del reato. Successivamente, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere rigettava l’istanza di revoca del sequestro.
Contro questa decisione, proponeva ricorso per cassazione non l’indagato, ma il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, sostenendo che la società fosse la legittima proprietaria delle somme sequestrate. Il ricorso era affidato a due motivi principali: la mancanza di motivazione sulla sussistenza del periculum in mora e sulla mancata individuazione del profitto netto sequestrabile.
La Decisione della Cassazione e i limiti del sequestro preventivo
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una spiegazione chiara e rigorosa dei limiti che incontra il terzo estraneo al reato. I giudici hanno sottolineato come i motivi di ricorso non si confrontassero adeguatamente con la logica dell’ordinanza impugnata, la quale già evidenziava il difetto di legittimazione del terzo a contestare i presupposti della misura.
Il Principio di Diritto: Cosa può fare il Terzo Estraneo al Reato?
Il cuore della decisione risiede nel principio giurisprudenziale, qui ribadito con forza: il terzo che si assume proprietario del bene sequestrato non può contestare nel merito la sussistenza dei presupposti della misura cautelare. In altre parole, non può mettere in discussione né il fumus commissi delicti (cioè la fondatezza dell’ipotesi di reato), né il periculum in mora (il pericolo che la libera disponibilità del bene possa aggravare le conseguenze del reato).
L’unica facoltà concessa al terzo è quella di:
1. DEDURRE LA PROPRIA EFFETTIVA TITOLARITÀ o disponibilità del bene.
2. DIMOSTRARE L’ASSENZA DI UN COLLEGAMENTO concorsuale con l’indagato e con il reato per cui si procede.
Qualsiasi argomentazione che esuli da questo perimetro è destinata all’inammissibilità.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha motivato la sua decisione evidenziando che consentire al terzo di contestare i presupposti del sequestro creerebbe una situazione paradossale. Il terzo, essendo estraneo al procedimento penale principale, non avrebbe gli strumenti né la posizione processuale per contestare efficacemente elementi come la sussistenza del reato. Il suo ricorso, pertanto, risulterebbe inevitabilmente generico e aspecifico.
Anche riguardo alla quantificazione del profitto, la Corte ha specificato che il terzo è carente di interesse, poiché il suo unico obiettivo legittimo è ottenere la restituzione del bene dimostrando la sua estraneità, non ridiscutere l’ammontare del profitto del reato contestato all’indagato. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e la parte ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende, ravvisando una colpa nella proposizione di un’impugnazione palesemente infondata.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Terzi Proprietari
Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Per i terzi (persone fisiche o società) che vedono i propri beni coinvolti in un sequestro penale, è fondamentale concentrare la propria difesa esclusivamente sulla prova della titolarità del bene e sulla totale estraneità ai fatti contestati all’indagato. Tentare di entrare nel merito dell’indagine penale, contestando gli indizi di reato o l’urgenza della misura, è una strategia processualmente errata e destinata al fallimento, con l’ulteriore rischio di una condanna alle spese e a sanzioni pecuniarie.
Un terzo, proprietario di un bene sottoposto a sequestro preventivo, può contestare l’esistenza del reato o l’urgenza della misura?
No. Secondo la sentenza, il terzo non può sindacare i presupposti della misura cautelare, come il
fumus commissi delicti (l’ipotesi di reato) o il
periculum in mora (il pericolo nel ritardo).
Cosa può eccepire il terzo il cui bene è stato sequestrato nell’ambito di un procedimento penale a carico di un’altra persona?
Il terzo può unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene e dimostrare l’assenza di qualsiasi collegamento concorsuale con l’indagato e il reato.
Quali sono le conseguenze se il ricorso del terzo viene dichiarato inammissibile per aver contestato i presupposti della misura?
In caso di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una condanna al pagamento di 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23245 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23245 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a AVERSA il 03/11/1982, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 31/01/2025 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con decreto del 27 dicembre 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord disponeva il sequestro preventivo di denaro nei confronti di NOME Michele (nato ad Aversa il 3.11.1982) perché ritenuto profitto del reato di truffa; il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con ordinanza del 31 gennaio 2025, rigettava la richiesta di revoca del sequestro preventivo.
A vverso l’ordinan za propone ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE eccependo:
2.1. mancanza di motivazione in relazione alla sussistenza del requisito del periculum in mora , per cui si imponeva l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato;
2.2. mancanza di motivazione in ordine alle deduzioni concernenti la mancata individuazione del profitto netto sequestrabile.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Si deve infatti rilevare che i motivi di ricorso non si confrontano in alcun modo con l’osservazione del Tribunale secondo la quale il terzo, che si ritiene titolare di quanto in sequestro, non può sindacare i presupposti della misura; sul punto, si deve ribadire il principio giurisprudenziale secondo cui ‘i n tema di sequestro preventivo, il terzo che assume di avere diritto alla restituzione del bene sequestrato non può contestare la sussistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene stesso e l’assenza di collegamento concorsuale con l’indagato. (In motivazione, la Corte ha altresì evidenziato che, se si ritenesse il terzo legittimato a contestare i presupposti della misura, il ricorso dallo stesso azionato risulterebbe in ogni caso inammissibile per aspecificità dei motivi, atteso che il predetto, in quanto soggetto estraneo al reato, non sarebbe in grado di contestare il ” fumus commissi delicti ” o il ” periculum in mora “). (Sez. 2, n. 41861 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287165-01).
Quanto alla quantificazione del profitto, anche in questo caso non vi è alcun confronto con la motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui la stessa evidenzia che parte ricorrente, terza rispetto all’indagato, è carente di interesse in quanto non avrebbe diritto alla restituzione della somma, potendo il terzo soltanto eccepire la riconducibilità del bene a sé stesso e l’assenza di col legamenti con l’indagato (punto sul quale vi è motivazione da parte dell’ordinanza impugnata).
A i sensi dell’art. 616 cod. proc. pen ., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità -al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 05/06/2025