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Sequestro preventivo: l’accordo col Fisco non basta

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13190 del 2025, ha stabilito che l’accordo di rateizzazione del debito fiscale (accertamento con adesione) non impedisce il sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Il procedimento penale è autonomo rispetto a quello tributario e il giudice penale può disporre la misura cautelare per garantire il recupero del profitto del reato, anche se il contribuente ha iniziato a pagare. Il ricorso di un professionista, accusato di dichiarazione fraudolenta tramite un sistema di doppia contabilità, è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo e Reati Fiscali: L’Accordo con il Fisco Non Salva dalla Misura Cautelare

L’adesione a un piano di rateizzazione con l’Agenzia delle Entrate non è sufficiente a bloccare un sequestro preventivo disposto in sede penale. Questo è il principio chiave ribadito dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 13190 del 2025. La decisione chiarisce l’autonomia del processo penale rispetto a quello tributario, sottolineando che l’accordo conciliativo con il Fisco non neutralizza le esigenze cautelari penali. Vediamo nel dettaglio i fatti e le motivazioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Un professionista era indagato per il reato di dichiarazione fraudolenta (art. 3 del D.Lgs. 74/2000) per aver indicato, nelle dichiarazioni IRPEF dal 2016 al 2019, elementi attivi inferiori a quelli reali. Secondo l’accusa, l’indagato utilizzava un software di contabilità che gestiva un doppio binario: uno ufficiale, con le sole prestazioni regolarmente fatturate, e uno ufficioso e protetto da password, dove venivano annotate tutte le operazioni, anche quelle “in nero”.

A seguito delle indagini, il Tribunale di Bari confermava un sequestro preventivo, sia in forma diretta che per equivalente, per un importo di oltre 147.000 euro, corrispondente al profitto del reato. Contro tale provvedimento, l’indagato proponeva ricorso per Cassazione.

I Motivi del Ricorso: Tra Accordo Fiscale e Costi Indeducibili

La difesa dell’indagato si basava su tre motivi principali:

1. Errata ricostruzione del reddito imponibile: Si contestava il mancato scomputo dei costi di produzione, sostenendo che in un accertamento di tipo induttivo l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto riconoscere una deduzione percentuale.
2. Mancato superamento della soglia di punibilità: Si deduceva che, grazie all’adesione alla cosiddetta “tregua fiscale” e all’impegno a versare il dovuto in 20 rate trimestrali, nessuna delle annualità contestate superasse la soglia di punibilità prevista dalla legge.
3. Insussistenza del periculum in mora: Si riteneva che il piano di rateizzazione già in corso costituisse una garanzia sufficiente per l’Erario, rendendo ingiustificato il pericolo di dispersione del patrimonio che è alla base del sequestro preventivo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul Sequestro Preventivo

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando una per una le argomentazioni difensive e fornendo chiarimenti fondamentali sul rapporto tra procedimento tributario e penale.

Autonomia del Giudizio Penale

Il punto centrale della decisione è l’autonomia del processo penale. L’accertamento con adesione, pur essendo una condizione di favore per il contribuente, opera su un piano puramente amministrativo e non può vincolare il giudice penale. Quest’ultimo, sulla base degli elementi di fatto, può discostarsi dalla quantificazione del profitto concordata con l’Agenzia delle Entrate. L’accordo, quindi, non fa venir meno la rilevanza penale dei fatti né impedisce al giudice di adottare le misure cautelari necessarie.

L’Onere della Prova sui Costi

La Corte ha respinto anche la censura relativa al calcolo dei costi. Spetta all’imputato, che lamenta la mancata deduzione, provare l’esistenza e la certezza dei costi inerenti all’attività. Non è sufficiente una presunzione o un’allegazione generica. Nel caso di specie, l’indagato non aveva fornito alcuna documentazione a supporto dei costi sostenuti, limitandosi a contestare il metodo di calcolo. La Polizia Giudiziaria, al contrario, si era basata sui soli costi documentati e annotati nelle scritture contabili, seguendo un metodo analitico e non meramente induttivo.

Il Periculum in Mora e la Rateizzazione

Infine, riguardo al sequestro preventivo e al periculum in mora, i giudici hanno chiarito che l’impegno a versare ratealmente il debito tributario non esclude la misura cautelare. Citando l’art. 12-bis del D.Lgs. 74/2000, la Corte spiega che la confisca (e di conseguenza il sequestro ad essa finalizzato) “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare”. Questo significa che la misura può essere adottata, ma i suoi effetti vengono meno solo se e quando l’impegno di pagamento viene onorato. Il sequestro rimane quindi legittimo come garanzia contro il rischio di inadempimento. Solo il pagamento integrale del debito tributario può portare alla revoca del vincolo, non la semplice ammissione al piano di rateizzazione.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio fondamentale: la via amministrativa e quella penale, in materia di reati fiscali, corrono su binari paralleli ma indipendenti. L’accordo con il Fisco non costituisce uno scudo contro le iniziative della magistratura penale. Il sequestro preventivo rimane uno strumento essenziale per assicurare alla giustizia il profitto derivante dall’evasione, e la sua legittimità non viene meno neanche di fronte a un piano di pagamento rateale. Per l’imputato, l’unica strada per dimostrare un minor debito è fornire prove concrete dei costi sostenuti, poiché nel processo penale non sono ammesse deduzioni forfettarie o presunte.

Un accordo di rateizzazione con l’Agenzia delle Entrate può bloccare un sequestro preventivo penale?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il procedimento penale è autonomo da quello amministrativo-tributario. L’accordo di rateizzazione (accertamento con adesione) non vincola il giudice penale, che può comunque disporre il sequestro per garantire la futura confisca del profitto del reato.

In un processo per reati fiscali, a chi spetta dimostrare l’esistenza di costi deducibili non dichiarati?
Spetta all’imputato. Secondo la sentenza, chi lamenta la mancata deduzione dei costi deve provarne l’esistenza e la certezza. Non è sufficiente una semplice allegazione o la richiesta di un calcolo forfettario; occorrono elementi di prova concreti, come documenti e fatture.

Il sequestro preventivo rimane valido anche se il contribuente sta pagando le rate del debito fiscale?
Sì. La misura cautelare rimane efficace come garanzia contro il rischio di un futuro inadempimento. L’art. 12-bis del D.Lgs. 74/2000 prevede che la confisca non operi solo per la parte che si è impegnati a versare, ma ciò non impedisce l’adozione del sequestro. Solo l’integrale pagamento del debito può portare alla definitiva revoca del vincolo sui beni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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