Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4196 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4196 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nata a Roma il 02/09/1958 COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 05/05/1952
avverso l’ordinanza del 23/09/2024 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOME e di COGNOME NOMECOGNOME il quale, dopo la discussione, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23/09/2024, il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., da NOME COGNOME e da NOME COGNOME contro il decreto del 27/06/2024 del G.i.p. del Tribunale di Roma con il quale era stato disposto, nei confronti della COGNOME e del COGNOME, il sequestro preventivo “impeditivo” di un immobile di proprietà dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica (ATER) del Comune di Roma che i medesimi De COGNOME e COGNOME avevano arbitrariamente occupato.
Avverso tale ordinanza del 23/09/2024 del Tribunale di Roma, hanno proposto ricorsi per cassazione, con un unico atto e per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono l’inosservanza dell’art. 321 cod. proc. pen. e dell’art. 633 cod. pen., in relazione all’art. 22, commi 140 e seguenti, della legge Reg. Lazio 27 febbraio 2020, n. 1, nonché la mancanza della motivazione.
La COGNOME e il COGNOME premettono che, in sede di riesame, avevano documentato di avere presentato al Comune di Roma «tempestiva e fondata» domanda di regolarizzazione dell’alloggio che avevano occupato senza titolo ai sensi del citato art. 22, commi 140 e seguenti, della legge Reg. Lazio n. 1 del 2020, e avevano argomentato come tale disciplina legislativa regionale avesse introdotto «una deroga espressa» all’art. 15 della legge Reg. Lazio 6 agosto 1999, n. 12, da un lato, imponendo la sospensione delle procedure di esecuzione dello sfratto intimato dall’ente proprietario all’occupante senza titolo che avesse presentato la domanda di regolarizzazione e, dall’altro lato, richiedendo, quale condizione dell’assegnazione in regolarizzazione, l’attualità della permanenza nell’immobile al momento del relativo provvedimento.
Ciò avrebbe comportato che, «almeno in attesa dell’eventuale pronunciamento dell’Ente proprietario in ordine alla sanatoria richiesta, i soggetti, in ipotesi ritenuti occupanti abusivi,dovessero considerarsi legittimati a proseguire la loro permanenza all’interno dell’alloggio, proprio in ossequio alla ratio ispiratrice della disciplina della sanatoria contrattuale». Il che avrebbe a sua volta: a) imposto «una più articolata riflessione sull’attualità del periculum in mora», atteso che la pendenza della domanda di regolarizzazione «poneva gli occupanti abusivi in una condizione di legittima permanenza nell’immobile – per quanto provvisoria e subordinata a condizione – e dunque appariva quale atto giuridicamente efficace ad interrompere, per quanto momentaneamente, la situazione di arbitrarietà che consentiva di affermare la permanenza della condotta criminosa e dedurne la necessità di interrompere la situazione di antigiuridicità penale attraverso il sequestro impeditivo»; b) dovuto far ritenere «impropria ed inutile la sovrapposizione del sequestro penale agli strumenti civilistici di tutela già attivati dall’Ente proprietario ed oggetto di ricorso innanzi al competente Giudice civile», «alla luce della pendenza della richiesta di sanatoria».
Tanto premesso in ordine ai propri motivi di riesame, i ricorrenti contestano la motivazione dell’ordinanza impugnata secondo cui «la successiva istanza di regolarizzazione non incide sull’offensività e struttura del reato potendo semmai costituire un profilo da valutare, in sede amministrativa, nell’ambito del
procedimento per la assegnazione dell’appartamento», e deducono al riguardo come, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale di Roma, «la possibilità di ottenimento della regolarizzazione della posizione amministrativa e contrattuale incide eccome anche sulla permanenza del reato, nella misura in cui questa viene a cessare almeno dal momento dell’eventuale assegnazione in sanatoria dell’alloggio, che senza ombra di dubbio rimuove – con effetto ovviamente retroattivo al momento della proposizione della domanda – la condizione di “abusività” e, conseguentemente, l’arbitrarietà da cui è connotata la condotta penalmente rilevante».
I ricorrenti ribadiscono come «la disponibilità di fatto dell’immobile al momento dell’assegnazione in sanatoria, finisca per costituire un requisito stesso della procedura di regolarizzazione», il che obbligherebbe a ritenere che l’occupante abusivo che abbia presentato domanda di regolarizzazione ai sensi della legge Reg. Lazio n. 1 del 2020 «sia legittimato a permanere all’interno dell’abitazione, almeno dalla data di presentazione della domanda di regolarizzazione e fino a quando l’Ente proprietario non si sia pronunziato espressamente in relazione ad essa» (i ricorrenti trascrivono, in proposito, la motivazione di una sentenza del Tribunale civile di Roma).
Sulla premessa che la nozione di «arbitrarietà» dell’invasione implicherebbe il rinvio ad altre disposizioni di legge integrative della norma incriminatrice dell’art 633 cod. pen., i ricorrenti ne desumono che la questione «se ricorresse o meno periculum in mora idoneo a giustificare il sequestro finalizzato a prevenire l’aggravarsi delle conseguenze del reato, andava necessariamente valutat in base all’attuale legittimazione della permanenza dei ricorrenti all’interno dell’alloggio in attesa della definizione della procedura di sanatoria, che – pur non escludendo del tutto la responsabilità penale per l’invasione realizzata in precedenza – appariva comunque sufficiente a considerare interrotta la permanenza del reato e dunque non necessaria l’ablazione in sede penale, non sussistendo, almeno per il momento, conseguenze del reato da rimuovere, in termini di “sviamento” del bene oggetto di occupazione dalla sua eminente destinazione pubblicistica».
Il Tribunale di Roma non avrebbe dato alcuna risposta a tale problematica, avendo del tutto ignorato, al fine di risolverla, le disposizioni dell’invocata disciplin di settore.
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono l’inosservanza dell’art. 324 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 127, 275 e 309 dello stesso codice, «per inosservanza del principio di proporzionalità del sequestro preventivo», nonché la mancanza della motivazione.
La COGNOME e il COGNOME premettono che avevano chiesto al Tribunale di Roma di riesaminare l’impugnato decreto di sequestro anche con riguardo al rispetto del principio di proporzionalità di tale misura, sia sotto il profilo del rapporto tra stessa e la gravità del fatto, sia sotto il profilo della possibilità dell’adozione meno invasivo strumento dell’azione civilistica di recupero dell’immobile, la quale era stata effettivamente avviata dall’ATER (con l’invio dell’intimazione e l’emissione del successivo decreto di rilascio del bene, suscettibile di esecuzione forzata) e che risultava di per sé pienamente sufficiente a interrompere la condotta arbitraria senza dovere ricorrere all’ulteriore sequestro penale.
Tanto premesso, i ricorrenti lamentano che il Tribunale di Roma avrebbe dato risposta soltanto al primo dei due profili di dedotta violazione del principio di proporzionalità, omettendo, invece, qualsiasi disamina del secondo profilo, non avendo «spiega in alcun modo la ragione per cui lo sgombero del locale e dunque l’interruzione di fatto della condotta criminosa, debba essere ottenuto necessariamente sommando alla normale procedura civile di sfratto, anche l’esecuzione forzata del sequestro penale, da eseguirsi peraltro nelle stesse identiche forme e con i medesimi moduli procedimentali».
I ricorrenti rappresentano ancora come si dovrebbe ritenere «incoerente un sistema che in sede civile consenta di sanare la situazione di illegittimità sospendendo, nelle more, la procedura di recupero coattivo dell’immobile, in virtù del fatto che l’illegittimità in tanto possa essere sanata, in quanto persista ancora la situazione di fatto che la integra nel momento in cui viene esaminata la domanda di regolarizzazione, ma che di contro, in sede penale, consenta l’adozione e la successiva esecuzione del provvedimento patrimoniale di tipo preventivo, rischiando peraltro di pregiudicare (laddove si giunga effettivamente alla materiale liberazione dell’immobile) l’aspettativa del singolo all’ottenimento della sanatoria, cui pure l’ordinamento fornisce una tutela».
A nulla rileverebbe, infine, la circostanza, valorizzata dal Tribunale di Roma, secondo cui l’accoglimento della domanda di regolarizzazione è «del tutto ipotetico», atteso che l’assenza di un espresso provvedimento al riguardo da parte del Comune di Roma «non consente allo stato di formulare nessuna fondata prognosi di rigetto della domanda di regolarizzazione, e quindi di ritenere inutile procrastinare ulteriormente nello sgombero dell’appartamento».
Anzi, proprio il carattere eventuale del rilascio della sanatoria renderebbe non proporzionato il sequestro penale, atteso che questo, «laddove eseguito nei confronti di soggetti in futuro possibilmente titolati a permanere all’interno dell’abitazione, non avrebbe più alcun senso, in quanto diretto a rimuovere gli effetti di una situazione di fatto che non potrebbe più considerarsi illecita nemmeno per l’ordinamento giuridico-penale».
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati in quanto proposti per un motivo non fondato (il primo) e per un motivo manifestamente infondato (il secondo).
Il primo motivo non è fondato.
Risulta pacifico dagli atti, ed è ammesso dallo stesso difensore dei ricorrenti nell’articolare sia i motivi della richiesta di riesame (quarto capoverso dell’ordinanza impugnata) sia i motivi del ricorso per cassazione, che gli indagati si introdussero nell’immobile di proprietà dell’ATER del Comune di Roma senza averne alcun titolo, lo occuparono e protrassero nel tempo l’occupazione.
A fronte di ciò, i ricorrenti sostengono che, avendo essi presentato al Comune di Roma domanda di regolarizzazione dell’alloggio, ai sensi dell’art. 2, commi 140 e seguenti, della legge Reg. Lazio n. 1 del 2020, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale di Roma, la presentazione di tale domanda avrebbe comportato il venir meno dell’arbitrarietà dell’occupazione e, quindi, della permanenza della condotta delittuosa, con la conseguente insussistenza del pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze dannose del reato, il quale pericolo, a norma dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., costituisce condizione legittimante dell’adozione della cautela reale a fini preventivi.
Tale tesi non può essere accolta.
A proposito di essa, si deve infatti anzitutto osservare che la valutazione della sussistenza del periculum in mora deve essere compiuta con riferimento al momento dell’adozione della misura cautelare e non nella prospettiva, che risulta incerta sia nell’an sia nel quando, del meramente eventuale accoglimento della domanda di regolarizzazione dell’alloggio che sia stata presentata da chi lo ha arbitrariamente invaso e tutt’ora lo occupa.
Ne discende che, al momento dell’adozione del sequestro preventivo, in mancanza del comprovato accoglimento della domanda di regolarizzazione, e, quindi, dell’accertamento della sussistenza delle condizioni per disporla, l’arbitrarietà dell’occupazione e, perciò, la permanenza della condotta delittuosa non si potevano ritenere venute meno – atteso che tale effetto avrebbe potuto discendere solo dall’eventuale accoglimento (e non alla mera presentazione) della domanda di regolarizzazione -, con la conseguenza che la persistenza della disponibilità dell’alloggio non regolarizzato si deve ritenere essere stata correttamente ritenuta come suscettibile di aggravare o protrarre le conseguenze del reato, con ulteriore lesione del bene giuridico da esso protetto, e, quindi, come condizione che legittimava l’adozione del sequestro preventivo dello stesso alloggio.
Diversamente da quanto è sostenuto dai ricorrenti, il fatto che il comma 141 dell’art. 22 della legge Reg. Lazio n. 1 del 2020 condizioni l’assegnazione in
regolarizzazione dell’alloggio, tra l’altro, «al protrarsi dell’occupazione da parte dello stesso nucleo familiare dalla data di occupazione fino al momento del provvedimento di assegnazione in regolarizzazione» (lett. a), non si può ritenere comportare l’attribuzione all’occupante abusivo di un diritto a permanere legittimamente nell’alloggio fino a quando il éomune non si pronunci sulla domanda di regolarizzazione, con la conseguente cessazione della permanenza della condotta delittuosa.
Un siffatto effetto può infatti discendere soltanto, come si è detto, dall’accoglimento della domanda di regolarizzazione, mentre la ratio della norma di legge regionale appena citata deve essere ravvisata non nell’attribuzione di un diritto a permanere legittimamente nell’alloggio fino alla pronuncia del comune sulla stessa domanda ma esclusivamente nella considerazione che, qualora l’occupante abusivo, prima che il comune abbia potuto adottare il provvedimento di assegnazione in regolarizzazione, abbia volontariamente posto termine all’occupazione dell’alloggio – con la conseguenza che si deve logicamente ritenere che se ne sia procurato un altro -, viene evidentemente meno quella situazione di fatto che ha indotto il legislatore regionale a prevedere l’eccezionale regolarizzazione ex post, sussistendo le altre condizioni previste dalla legge, in deroga alle ordinarie procedure di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e, quindi, ogni interesse pubblicistico che possa giustificare una tale deroga, che la regolarizzazione dell’alloggio porterebbe inevitabilmente con sé.
Alla stregua di tali principi, ne discende la legittimità, con riguardo al contestato presupposto del periculum in mora, del sequestro preventivo dell’alloggio anche in presenza della presentazione di una domanda di regolarizzazione ai sensi dell’art. 2, commi 140 e seguenti, della legge Reg. Lazio n. 1 del 2020, e nelle more della definizione del relativo procedimento amministrativo.
Né l’eventuale esecuzione del sequestro nelle more di tale procedimento amministrativo risulterebbe tale da pregiudicare la possibilità della regolarizzazione e, quindi, sia la posizione del richiedente la medesima che, all’esito dello stesso procedimento, fosse risultato averne diritto, sia la volontà del legislatore regionale di consentire agli occupanti senza titolo di alloggi di edilizia residenziale pubblica di mantenerne, se provvisti dei previsti requisiti, il possesso.
Infatti, poiché la ricordata condizione della regolarizzazione del «protrarsi dell’occupazione da parte dello stesso nucleo familiare dalla data di occupazione fino al momento del provvedimento di assegnazione in regolarizzazione» ha il proprio fondamento, come si è visto, nel venir meno delle ragioni della regolarizzazione nel caso di allontanamento volontario dall’alloggio da parte del richiedente la “sanatoria”, ne consegue che non si potrà ritenere ostare alla stessa
“sanatoria” un allontanamento non volontario, in esecuzione di un legittimo provvedimento dell’autorità giudiziaria, circostanza che il richiedente la regolarizzazione potrà perciò fare valere nei confronti dell’amministrazione comunale.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La “pluridirezionalità” dell’illecito che viene qui in rilievo consent l’applicazione di due concorrenti istituti, segnatamente, il rilascio dell’alloggio, s iniziativa dell’ente proprietario di esso (ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035), la cui relativa ordinanza può essere impugnata davanti al giudice civile (Sez. U civ., n. 24148 del 13/10/2017, Rv. 645660-01). e il sequestro preventivo, nell’ambito del procedimento penale per il reato di cui agli artt. 633 e 639-bis cod. pen., nelle forme e alle condizioni che sono previste dal codice di procedura penale.
Si tratta, come si diceva, di due rimedi giuridici concorrenti, in quanto entrambi contemplati dalla legge – la quale non ne ha previsto l’alternatività -, e che pertengono a due diversi settori dell’ordinamento, quello civile e quello penale.
Ne discende che la possibilità di adottare o l’effettiva adozione del provvedimento dell’amministrazione comunale di rilascio dell’immobile occupato senza titolo non è suscettibile di comportare alcun contrasto del decreto di sequestro preventivo del medesimo immobile con il principio di proporzionalità, la cui necessaria osservanza deve essere valutata con esclusivo riferimento alla possibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva contemplata dall’ordinamento processuale penale.
Pertanto, i ricorsi devono essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/01/2025.