Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 42945 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 42945 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Brancaleone il DATA_NASCITA Avverso l’ordinanza del Tribunale di Monza del p TriAr -25-1524 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per la infondatezza del ricorso letta la memoria con la quale la difesa del ricorrente ha replicato alle conclusioni della Procura generale;
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza descritta in epigrafe il Tribunale di Monza ha rigettato il riesame interposto da NOME COGNOME avverso il sequestro ex art 321, comma 1, cod. proc. pen. disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza sul presupposto degli indizi ascritti all’indagato con riguardo al concorso in due diverse ipotesi di corruzione propria e caduto sull’intero capitale
sociale e sul relativo patrimonio aziendale di due diverse società di capitali (la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) ritenute integralmente riferibili al COGNOME oltre che strumentalmente asservite alla realizzazione delle condotte illecite descritte ai capi 7) e . 10) della rubrica provvisoria.
Propone ricorso la difesa dell’indagato, adducendo quattro diversi motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta vizio di motivazione, da ritenersi meramente apparente, perché il Tribunale, senza affrontare le doglianze spese con il riesame, avrebbe pedissequamente replicato, trascrivendone letteralmente il portato anche in relazione ai refusi, l’argomentare tracciato dal Tribunale di Milano nel respingere analogo gravame proposto avverso la misura personale applicata a COGNOME in forza delle medesime accuse.
2.2. Con il secondo e il terzo motivo il difetto integrale di motivazione viene riferito alla sostanziale pretermissione dei motivi di riesame diretti a mettere in discussione la configurabilità delle ipotesi di corruzione propria contestata ai capi 7) e 10) e alla puntuale inglividuazione della responsabilità del ricorrente quale concorrente nelle ipotesi di reato che hanno visto in NOME COGNOME, all’epoca dei fatti responsabile dell’UTC del Comune di Usmate Velate, il terminale qualificato delle due corruzioni proprie contestate con tali imputazioni.
Ciò alla luce di una asserita carenza di indicazioni argomentative in ordine alla “utilità indebita ricevuta” da COGNOME in siffatte occasioni; al legame che dovrebbe correre tra tali utilità e gli atti contrari ai doveri d’ufficio assertivamente realiz da COGNOME; al ruolo assunto da COGNOME rispetto alla modifica della convenzione deliberata dal Comune con riguardo al capo 7) nonché alle discrasie temporali legate alle movimentazioni di danaro coinvolgenti le due società del RAGIONE_SOCIALE quanto ai pagamenti che sarebbero stati effettuati in favore del COGNOME; alle diverse sollecitazioni difensive, fondate sul supporto di una relazione di parte appositamente predisposta e allegata in sede di riesame, con la quale si contestava, su più punti, l’assenza di profili di illegittimità e comunque la sostanziale indifferenza del parere, non vincolante, reso da COGNOME in riferimento alla vicenda di cui al capo 109, aspetti destinati ad incidere già a monte sulla stessa configurabilità nonché la convenienza logica dell’accordo corruttivo prospettato.
2.3. Con l’ultimo motivo la difesa contrasta la misura reale addotta sul piano della assenza di motivazione spesa a sostegno del periculum in mora giustificativo dell’intervento in prevenzione in mancanza di concreti ed oggettivi elementi attestanti che la disponibilità dei beni in sequestro, possa ritenersi strumentale alle possibilità di aggravare o protrarre le conseguenze del reato o favorirne la realizzazione di nuovi a fronte della natura occasionale delle ipotesi di reato
ascritte al ricorrente in relazione alle quali lo stesso si è strumentalmente avvalso delle dette compagini; in considerazione della mancata indicazione di altri momenti di illiceità riferibili alle dette società, tali non potendosi seriamente considerar quelli inerenti l’utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti descritta al ca 10), per la modestia del risparmio di imposta legato alle dette azioni criminali; in ragione della mancata individuazione di elementi attestati un concreto pericolo di reiterazione delle condotte contestate.
La difesa, contrasta, inoltre l’assenza di motivazione in punto di proporzionalità del sequestro, presupposto da ritenere insussistente alla luce della estrema afflittività dell’intervento in prevenzione, caduto su tutte le partecipazioni sociali e sul patrimonio aziendale ancor più considerando l’occasionalità dell’utilizzo delle compagini nel quadro dell’azione illecita riscontrata e della più ordinaria funzione economica e imprenditoriale svolta da tali compagini, estranea a risvolti di matrice illecita. .
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso merita raccoglimento nei termini di seguito precisati.
Giova premettere che il ricorso riguarda unicamente il sequestro impeditivo relativo all’intero capitale e patrimonio delle due società riferite alla disponibili dell’indagato. Non attiene, di contro, al sequestro del profitto di reato in funzione della confisca adottato con esclusivo riferimento all’ipotesi di reato descritta al capo 9 (art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 per l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti)
Ciò premesso, la Corte ritiene manifestamente fondato il primo motivo di ricorso.
L’utilizzo del medesimo argomentare, anche pedissequamente ribadito, speso da altra autorità decidente (il Tribunale di Milano nel confermare la misura personale applicata al COGNOME) nel privare di rilievo le censure difensive prospettate con il riesame che occupa non è in alcun modo indice del mancato scrutinio dei relativi rilievi; esprime, piuttosto, l’immediata condivisione delle dett valutazioni, senza dar luogo ad alcun vizio inficiante la decisione sotto il versante della assenza di una autonoma valutazione delle censure.
Del resto, una tale formula espositiva, nel caso, trovava adeguato supporto nell’identità dei rilievi prospettati dalla difesa con i due diversi riesami propost innanzi alle due Autorità giúdiziarie, diversamente competenti in ragione del differente portato, personale e reale, della misura contestata; nonché nella
assorbente valenza da ascrivere allo scrutinio affrontato dal Tribunale di Milano nel confermare la gravità indiziaria sottesa alla misura personale, atteso il diverso rilievo ponderale da ascrivere a tale requisito legittimante a fronte di quello, diverso e meno pregnante, imposto in materia reale dal riscontro del fumus.
La considerazione che precede, facilità, inoltre, lo scrutinio inerente al “fumus” sotteso al sequestro adottato nell’occasione.
Ribaditi i noti limiti devolutivi che connotano il ricorso di legittimità in materi di misure cautelari reali – ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia.gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 7 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692; conf. Sez. U., n. 25933 del 29/05/2008, COGNOME, non massimata sul punto)-, osserva la Corte come i motivi di ricorso prospettati sul punto dalla difesa, non diversamente da quanto accaduto in sede di riesame, replichino pedissequamente quelli contestualmente mossi avverso la misura personale resa ai danni di COGNOME.
Il ricorso inerente alla misura personale risulta esaminato in pari data dal medesimo Collegio di questa Corte; e alle relative considerazioni, di segno negativo rispetto alla fondatezza delle censure prospettate, basta rifarsi, vieppiù in ragione della contestualità delle due decisioni, tale che la valutazione resa scrutinando la misura personale, anche per la diversa profondità del devoluto, non può che assumere valenza assorbente rispetto alle identiche censure prospettate nel contestare la misura reale.
Il ricorso non coglie nel segno anche con riguardo alla valutazione resa in relazione al “periculum” da neutralizzare con l’intervento cautelare di matrice impeditiva adottato nella specie.
4.1. Come da tempo chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, COGNOME, in motivazione) il sequestro c.d. impeditivo, previsto dal primo comma dell’art. 321 cod. proc. pen., mira «ad interrompere quelle situazioni di pericolosità che possono crearsi con il possesso della “cosa”, per scopi di prevenzione speciale nei confronti della protrazione o della reiterazione della condotta illecita, ovvero della causazione di ulteriori pregiudizi».
Va, pertanto, disposto «nelle situazioni in cui il non assoggettamento a vincolo della cosa pertinente al reato può condurre, in pendenza dell’accertamento del reato, non solo al protrarsi del comportamento illecito ovvero alla reiterazione della
condotta criminosa ma anche alla realizzazione di ulteriori pregiudizi quali nuovi effetti offensivi del bene protetto; tali effetti debbono essere connessi con l’imputazione contestata e . l’intervento preventivo collegato con le finalità di repressione del reato. Più specificatamente va detto che il pericolo, in quanto probabilità di un danno futuro, deve avere caratteristiche di concretezza e richiede, quindi, un accertamento in concreto, sulla base di elementi di fatto, in ordine all’effettiva e non generica possibilità che la cosa di cui si intende vincolare la disponibilità assuma, in relazione a tutte le circostanze del fatto (natura della cosa, la sua connessione con il reato, la destinazione alla commissione dell’illecito, le circostanze del suo impiego), una configurazione strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione del reato ipotizzato ovvero alla agevolazione alla commissione di altri reati» (Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003, COGNOME, in motivazione).
4.2. Sotto tale versante, l’ordinanza impugnata mostra di aver fatto corretta applicazione di tali coordinate interpretative, senza incorrere in vizi utilmente prospettabili in questa sede.
4.2.1. In primo luogo, va evidenziato che con il ricorso non si contesta l’esclusiva e sostanziale riferibilità al ricorrente delle due società attinte dal vinco cautelare, caduto in via totalitaria sulle relative quote partecipative, per quanto le stesse risultino intestate a terzi.
4.2.2. Ciò premesso, con il provvedimento impugnato si è messa in luce la circostanza in forza della quale, nel realizzare i pagamenti effettuati al COGNOME nel quadro delle due corruzioni contestate, COGNOME non ha esitato ad avvalersi dello schermo garantito da tali compagini, peraltro apparentemente riferibili a terzi, utilizzate quali veicoli strumentali di evidente rilievo nella fase di attuazio del sinallagma illecito.
Il tutto asservendole, anche, alle correlate e conseguenziali dinamiche illecite derivanti, a caduta, da tale modulo comportamentale, nel caso immediatamente cristallizzate dalla contestazione di cui al capo 9), inerente all’illecito di matric tributaria legato alla inesistenza oggettiva e soggettiva delle operazioni descritte nelle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE per prestazioni mai rese (fittiziamente indicate con l’obiettivo di celare l’effettiva causale dei relativi pagamenti, incassati dalla detta società ma destinati al COGNOME quali corrispettivo dei relativi patti illeciti)
Se ne è coerentemente tratta una non occasionale strumentalizzazione delle citate realtà societarie rispetto agli obiettivi illeciti perseguiti dal ricorrente.
Si è poi evidenziata, per un verso, la centralità del ricorrente all’interno del sistema illecito che ruotava intorno al COGNOME, essendone uomo di fiducia, coinvolto in più situazioni – illecite comunque legate all’azione amministrativa facente capo al concorrente qualificato, con ruoli tutt’altro che marginali né
occasionali; al contempo, l’importanza strategica assunta dall’utilizzo delle dette società nel realizzare un segmento di assoluto rilievo nell’azione concorsuale programmata, quello diretto . a garantire al corrotto l’indiretta percezione del compenso illecito pattuito attraverso passaggi formali apparentemente estranei a momenti di raccordo con i protagonisti essenziali della relativa vicenda criminale (oltre al COGNOME, gli imprenditori tenuti ai relativi pagamenti).
Aspetti, questi, che, senza incorrere in vizi utilmente prospettabili in questa sede, sono stati letti alla luce della perdurante sussistenza di altri interessi professionali del COGNOME, non distanti da quelli che hanno fatto da sfondo alle iniziative criminali in contestazione, seppur riferibili a realtà amministrative diverse dal Comune di Usmane Velate (ma gestite nell’interesse del Crestale, altro polo di una delle corruzioni riscontrate), senza che tanto sia stato oggetto di puntuali osservazioni critiche esposte dal ricorso.
Da qui la coerente individuazione di un pericolo dotato di adeguata concretezza quanto alla possibilità che la libera disponibilità dei due enti in questione possa quantomeno agevolare la realizzazione di altri reati, piegandone l’azione verso obiettivi nuovamente illeciti.
Ad una conclusione difforme si perviene riguardo alla contestata violazione del principio di proporzionalità del sequestro in contestazione.
5.1. La giurisprudenza di legittimità si è ormai attestata da tempo sul consolidato principio di diritto secondo cui i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità – dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali – debbano ritenersi applicabili anche al sequestro preventivo, dovendo il giudice motivare adeguatamente sull’impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva (ex multis, Sez. 3, n. 21271 del 07/05/2014, Rv. 261509; Sei. 5, n. 8382 del 16/01/2013, Rv. 254712; Sez. 3, n. 12500 del 15/12/2011, dep. 2012, Rv. 252223; Sez. 5, n. 8152 del 21/01/2010, Rv. 246103; Sez. 2, n. 29687 del 28/05/2019, Frontino, Rv. 276979).
5.2. Seppur imprescindibile per ciascun sequestro, la verifica di proporzionalità va tuttavia modulata in termini differenti a seconda della natura e della funzione del tipo di intervento in prevenzione adottato.
Avuto riguardo al sequestro preventivo c.d. impeditivo, si è così rimarcato che il giudice deve motivare sull’impossibilità di fronteggiare il pericolo d aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di altri reati ricorrendo a misure cautelari meno invasive oppure limitando l’oggetto del sequestro o il vincolo posto dallo stesso in termini tali da ridurne l’incidenza sui diritti del destinatario della misura reale ( in termini, d ultimo, Sez. 5, n. 17586 del 22/03/2021, Rv. 281104).
In particolare, là dove, come nel caso di specie, il vincolo cautelare sia ca in via totalitaria sulle partecipazioni di un ente sociale, finendo, dunque, per comportare, anche indirettamente, l’apprensione materiale dell’intero compendio aziendale, graverà sul giudice della cautela l’onere di verificare il valore preponderante, o quanto meno il significativo rilievo, dell’utilizzo strumentale della impresa rispetto alla consumazione dei reati per cui è stata richiesta la misura, rispetto alla operatività lecita della impresa stessa, onde evitare che il vincolo coercitivo determini una esasperata compressione dei diritti di proprietà e di libertà di iniziativa economica privata (Sez. 6, n. 13166 del 02/03/2022, Rv. 283139 01; Sez. 2, n. 29687 del 28/05/2019, Rv. 276979).
5.3. Sotto questo versante la decisione gravata si è rivelata integralmente carente rispetto ad uno snodo essenziale del relativo percorso giustificativo, così da giustificare un vizio di motivazione di tale consistenza da imporne l’annullamento.
5.3.1. Di fatto, nell’affrontare il tema della proporzionalità del sequestro, il Tribunale ha finito per ribadire le argomentazioni spese a sostegno del pericolo sotteso all’intervento cautelare; è stata anche sottolineata la necessità di considerare al fine l’interposizione comprovata dalla pacifica disponibilità degli enti in questione in capo al ricorrente, malgrado le diverse risultanze formali.
È a dirsi, tuttavia, che le considerazioni spese nell’evidenziare le connotazioni proprie del pericolo da neutralizzare costituiscono solo l’antecedente logico del giudizio da rendere sul punto, sì che la relativa analisi non può di certo fermarsi alle dette valutazioni.
L’ulteriore spunto argamentativo riferito alla differenza tra dato formale e titolarità effettiva degli enti in questione, ben può ritenersi aspetto non irrilevant dello scrutinio da operare sul tema: la distonia tra potere di disposizione sostanziale e riferimenti formali, infatti, costituisce circostanza con la quale necessariamente confrontarsi nel modulare al meglio le possibilità di intervento cautelare alla luce del perseguito obiettivo di impedire ulteriori condotte illecite realizzate avvalendosi strumentalmente dei detti enti sociali, vieppiù considerando il rapporto di contiguità familiare, tra l’indagato e gli intestatari forma puntualmente evidenziato nella specie, da leggere anche alla luce del profilo dominante che nel caso sembra potersi ascrivere al COGNOME rispetto a dette società.
5.3.2. Al contempo, tuttavia, tale ultimo argomento, per quanto rilevante sul piano logico, non può riténersi esaustivo e assorbente rispetto alla verifica demandata nel caso al Giudice della cautela, che, di contro, per quanto già rassegnato, non poteva prescindere:
-da un comparato raffronto tra il pregresso agire, ordinario e lecito, delle dette realtà imprenditoriali, sempre se presente prima del vincolo, e l’intensità dell’uso illecito di tali soggetti messo in luce dalle emergenze di indagine, giacché, quanto più risulti consolidato il primo e marginale il secondo, tanto più potrà ritenersi discutibile l’adottato intervento totalitario sul piano della proporzionalità;
-dalla possibilità di rinvenire nell’ordinamento strumenti di intervento, anche estranei alle iniziative attualmente messe in atto dall’Ufficio procedente, tali da garantire ugualmente l’obiettivo cautelare senza apportare una così radicale compressione dei valori costituzionali incisi dal sequestro adottato.
Da qui l’integrale vizio di motivazione che porta all’annullamento con rinvio per consentire al Tribunale di ovviare a tale decisivo vuoto argomentativo alla luce delle superiori indicazioni di principio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Monza competente ai sensi dell’art.324, comma 5, cod. proc. pen. Così deciso il 1/10/2024.