Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1268 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1268 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nata a Salento (Sa) il 20/12/1926
avverso l’ordinanza del 26/6/2023 del Tribunale del riesame di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26/6/2023, il Tribunale del riesame di Salerno rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 9/5/2023 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale aveva respinto l’istanza di revoca del sequestro preventivo di beni sottoposti a vincolo con riguardo ad una contestata associazione per delinquere finalizzata a commettere reati tributari.
Propone ricorso per cassazione la COGNOME, deducendo – con unico motivo la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen.’ con vizio di motivazione, quanto all’esistenza del fumus del reato su cui il vincolo è stato disposto. Si premette che i beni in oggetto sarebbero stati sottoposti a sequestro con ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Vallo della Lucania del 18/3/2010, emessa nel procedimento n. 2738/2008 RGNR e con riguardo al delitto di cui all’art. 416, commi 1 e 2, cod. pen. (contestato dal 2005 “all’epoca attuale”); gli stessi beni, poi, sarebbero stati nuovamente sottoposti a sequestro il 4/1/2012, nell’ambito di un diverso procedimento presso lo stesso Ufficio (n. 1614/2011), comunque attinente alla medesima fattispecie associativa (contestata dal 2007 “all’epoca attuale”). Contro la seconda misura sarebbe stata presentata, poi, richiesta di riesame, accolta dal Tribunale, con conseguente dissequestro dei beni che, tuttavia, sarebbero rimasti in vincoli in forza del procedimento n. 2738/2008. Di seguito, dichiaratosi incompetente per territorio il Tribunale di Vallo della Lucania e trasmessi gli atti a Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, questi avrebbe richiesto la rinnovazione della misura reale sui medesimi beni (sempre vincolati nel procedimento n. 2738/2008), ancora con riferimento al medesimo capo di imputazione associativo, che, tuttavia, sarebbe stato poi dichiarato nullo, per genericità, dal Tribunale di Salerno. Tanto premesso, la ricorrente contesta la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, sul presupposto che la misura cautelare reale non avrebbe potuto esser conservata con riguardo esclusivo ad una contestazione dichiarata nulla, ed avrebbe dovuto, dunque, essere revocata; il capo residuo, peraltro, non sorreggerebbe la misura medesima, non sussistendo, pertanto, alcun elemento di fumus a giustificare il vincolo reale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Al riguardo, occorre premettere che ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge. Con questa locuzione, in particolare, si intendono sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (tra le molte, Sez. 3, n. 4919 del 14/7/2016, COGNOME, Rv. 269296).
Tanto premesso, il Collegio rileva l’inammissibilità del motivo di ricorso, che lamenta – oltre ad una non consentita ipotesi di contraddittoriel:à della motivazione – la mancanza di ogni argomento con riguardo all’unica questione agitata in sede di appello, come nella presente, ossia il possibile mantenimento del vincolo reale pur a fronte della dichiarazione di nullità della relativa contestazione. La questione, infatti, lungi dall’esser stata trascurata dal Tribunale del riesame, o trattata co mere affermazioni di stile, ha ricevuto una motivazione del tutto adeguata, quindi non censurabile in questa sede.
5.1. In particolare, è stato sottolineato che la misura cautelare reale era stata richiesta – ed emessa – in riferimento ad un fatto di reato per come provvisoriamente individuato nella fase delle indagini preliminari e, come tale, suscettibile di modificazioni. La circostanza che il medesimo fatto, in sede dibattimentale, fosse poi stato ritenuto non adeguatamente descritto, tanto che il decreto che dispone il giudizio era stato dichiarato nullo in parte qua, non aveva peraltro incidenza sulla sorte della misura reale, la cui revoca – come correttamente affermato nell’ordinanza – è legata soltanto al maturare delle condizioni previste dal codice di rito (come i provvedimenti del giudice della cautela o quelli che definiscono il merito), tra le quali non è compresa la censura – per indeterminatezza – del capo di imputazione, che non coinvolge un giudizio sulla sussistenza del fumus o delle esigenze cautelari.
Con riguardo a queste considerazioni, immuni da censura perché logiche, il ricorso peraltro non spende alcun passo’ mancando quindi di un effettivo confronto con l’ordinanza impugnata; l’atto, invero, si limita a contestare una insussistente carenza di motivazione, oltre ad un inammissibile profilo di contraddittorietà, peraltro non ulteriormente sviluppato.
L’impugnazione, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2023
Presidente
nsigliere estensore