Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 846 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 846 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a Napoli il 30/03/1960
COGNOME NOMECOGNOME nato a Salerno il 25/10/1980
NOME nata a Salerno il 22/11/1969
– 9 GEN. 2025
Ogg i.
IL
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avverso l’ordinanza del 22/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Parma udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 24 ottobre 2023, il Tribunale di Parma rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOMECOGNOME NOME e NOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Parma, in data 29/01/2024, a seguito di precedente annullamento di decreto di sequestro preventivo, del 28/10/2023, per assenza di motivazione sul periculum in mora, in via diretta sino alla concorrenza dell’importo di C 396.407,00, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, e di 706.364,09 nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, e, per equivalente, sul denaro e disponibilità finanziarie beni mobili immobili intestati o comunque nella disponibilità d NOME Armando, fino alla complessiva somma di C 1.102.771,09, nella disponibilità
di COGNOME NOME per C 706.364,09 e nella disponibilità di COGNOME NOME per C 350.230,00, in relazione a plurimi reati di violazione degli artt. 2, 10- ter, e 10 qua d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.
Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, i ricorrenti hanno proposto separati ricorsi, a mezzo del comune difensore di fiducia, deducendo tre motivi comuni che possono essere di seguito sommariamente indicati.
2.1. Violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’art. 321, 324 cod.proc.pen. e 12 bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, motivazione apparente ovvero assente in punto periculum in mora. Il provvedimento impugnato nel motivare la ricorrenza del periculum in mora sarebbe in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione che hanno stabilito che il provvedimento di sequestro preventivo, finanche quando abbia oggetto un’ipotesi di confisca obbligatoria, deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora da rapportare alle ragioni che rendono necessario l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio. Nel caso in esame, invece, la motivazione farebbe leva sulla attitudine degli indagati a commettere reati simili così fondando il pericolo di recidiva. La motivazione sarebbe anche riferita indiscriminatamente a tutti gli indagati ricorrenti, senza operare alcuna distinzione indispensabile per calibrare l’effettiva incidenza del periculum in mora, sia con riferimento ai singoli ricorrenti sia con riferimento ai singoli beni attinti da vincolo.
2.2. Violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’art. 321, 324 e 125 cod.proc.pen. motivazione apparente con riguardo alla sussistenza del fumus commissi delicti. Il decreto di sequestro preventivo del 29/01/2024 si sarebbe limitato a richiamare per relationem, quanto al fumus, il contenuto del decreto di sequestro preventivo del 28/10/2023, annullato dal tribunale del riesame per assenza di motivazione sul periculum in mora. Pertanto, la motivazione sarebbe meramente apparente e l’ordinanza impugnata non avrebbe potuto confermare il decreto di sequestro privo di motivazione.
2.3. Violazione di cui all’art. 606 comma 1, lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’art. 324 comma 7 cod.proc.pen., 309 comma 10 cod.proc.pen. con riferimento alla perdita di efficacia della misura cautelare in ragione del deposito del provvedimento decorsi dieci giorni dalla ricezione degli atti.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi.
Nell’ordine logico dei motivi va, dapprima, scrutinato il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce la perdita di efficacia della misura cautelare per omesso deposito del provvedimento entro il termine perentorio di dieci giorni dalla trasmissione degli atti.
Va rammentato che le Sezioni Unite hanno affermato il principio secondo il quale, nel procedimento di riesame del provvedimento di sequestro, non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale, previsto dall’ 309, comma quinto, cod. proc. pen., con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, ma il diverso termine indicato dall’art. 324, comma terzo, cod. proc. pen., che ha natura meramente ordinatoria (Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, COGNOME, Rv. 255581; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239698 – 01; S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto), sicché unico termine che rileva è quello perentorio, di dieci giorni, entro cu deve intervenire la decisione a pena di inefficacia della misura, che decorre, nel caso di trasmissione frazionata degli atti, dal momento in cui il tribunale ritenga completa l’acquisizione degli atti mancanti, nei limiti dell’effetto devolutivo dell’impugnazione (Sez U, n. 26268 del 28/03/2013, COGNOME, Rv. 255582).
Successivamente le Sezioni Unite hanno ribadito che, nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, il rinvio dell’art. 324, comma 7, cod. proc. pen., alle disposizioni contenute nell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., deve intendersi tuttora riferito alla formulazione originaria del predetto articolo; ne deriva che son inapplicabili le disposizioni – introdotte nel predetto comma decimo dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 – relative al termine perentorio per il deposito della decisione ed al divieto d rinnovare la misura divenuta inefficace (Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266790). Da cui la conferma dei principi già enunciati dalle S.U. COGNOME secondo il quale, in materia di riesame avverso provvedimenti applicativi di una misura cautelare reale, non è applicabile il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti a Tribunale, previsto dall’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., in relazione al riesame avverso provvedimenti applicativi di una misura cautelare personale, bensì il diverso termine indicato dall’art. 324, comma 3, cod. proc. pen..
Quanto al caso in esame, risulta dal provvedimento impugnato che a seguito di eccezione difensiva, che rilevava l’incompletezza degli atti trasmessi dal P.M., all’udienza del 6 marzo 2024, il Tribunale chiedeva al P.M. di provvedere alla trasmissione integrale degli atti che venivano depositati in data 11 marzo 2024 e il Tribunale fissava udienza camerale al 20 marzo 2024. All’udienza del 20 marzo 2024, il Tribunale, preso atto della adesione dei difensori all’astensione, rinviava il procedimento all’udienza del 21 marzo 2024 e depositava il dispositivo in data 22 marzo 2024.
Risultano, pertanto, rispettati il termine di dieci giorni entro cui deve intervenir la decisione a pena di inefficacia della misura tenuto conto del giorno di sospensione di detto termine, a seguito di accoglimento dell’istanza di rinvio per adesione dei difensori all’astensione dalle udienze.
Il terzo motivo di ricorso è dunque manifestamente infondato.
Il secondo motivo di ricorso è, parimenti, manifestamente infondato.
Deve premettersi che in tema di misure cautelari reali, l’annullamento di un decreto di sequestro preventivo per totale assenza di motivazione in ordine al “periculum in mora” non osta all’emissione, nei confronti della medesima persona, di un nuovo vincolo avente ad oggetto lo stesso bene (Sez. 3, n. 15125 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286171 – 01). La giurisprudenza di Questa Corte ha affermato il principio, correttamente richiamato nel provvedimento impugnato, secondo cui è legittima la motivazione “per relationem” di un provvedimento cautelare, pur emesso in un diverso procedimento, anche nel caso in cui l’atto richiamato non sia definitivo, in quanto l’eventuale annullamento o modifica di quest’ultimo non fanno venir meno la sua esistenza come realtà grafica, potendo essi incidere solo indirettamente sull’atto richiamante, laddove sia intervenuta una statuizione attinente al contenuto di quello richiamato (Sez. 3, n. 26483 del 05/04/2022, COGNOME, Rv. 283394 – 01). Ed ancora, che in materia cautelare, la motivazione per relationem non dà luogo ad un provvedimento complesso, risultante cioè da più provvedimenti nello stesso convergenti, ma ad un documento unitario, semplificato nella sua veste grafica in quanto per la lettura di alcune parti della motivazione si rinvia ad altro documento di comune conoscenza; tuttavia non è necessario che il provvedimento richiamato sia definitivo ed immodificabile, in quanto l’eventuale annullamento o la modifica non ne fanno venir meno l’esistenza come realtà grafica, ma possono incidere solo indirettamente sul provvedimento richiamante allorché sia intervenuta una statuizione relativa al contenuto dell’ordinanza richiamata (Sez. 3, n. 26483 del 05/04/2022, COGNOME, Rv. 283394 – 01; Sez. 6, n. 56455 del 04/12/2018, Rv. 274779; Sez. 3, n. 20568 del 29/01/2015, Rv. 263744; Sez. 3, n. 16034 del 10/02/2011, Rv. 250299; Sez. 1, n. 5021 del 14/10/1998, Rv. 212401).
Nel caso di specie, il Tribunale di Parma, in sede di riesame, aveva disposto l’annullamento del decreto di sequestro preventivo del Gip presso il Tribunale di Parma in data 28/10/2023, rilevando un vizio di motivazione con riferimento al requisito del periculum in mora; il successivo decreto di sequestro del 24/01/2024, richiamava per relationem il provvedimento annullato in punto fumus commissi delicti, che non risulta essere stato messo in discussione con riguardo alla posizione dei ricorrenti.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto che la motivazione per relationem dell’impugnato decreto del 24/01/2024, nella parte in cui rinvia al decreto annullato del 28/10/2023 in punto fumus commissi delicti, non fosse viziata, essendo sufficiente tale richiamo a soddisfare l’onere motivazionale imposto, a pena di nullità, dall’art. 125 cod. proc. pen. al giudice che con proprio provvedimento dispone il sequestro preventivo. La censura nuovamente devoluta negli stessi termini e già disattesa in conformità dei principi sopra richiamati è manifestamente infondata.
4. Anche il eftS’zo motivo risulta inammissibile perché manifestamente infondato e anche in parte generico.
Come è noto le Sezioni Unite Ellade hanno affermato il principio secondo cui il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria ex art. 12bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi la pericolosità alla mera natura obbligatoria della confisca, in assenza di previsioni di segno contrario.
La motivazione offerta dai giudici del riesame appare conforme a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la richiamata sentenza Ellade là dove si evidenzia che l’attività illecita si era protratta nel tempo ed aveva generato un notevole profitt illecito, che su tutti i conti correnti degli indagati e delle due società erano state riven somme di denaro di imposto modesto, elemento da cui è stata argomentato, in via del tutto logica, il pericolo di dispersione del profitto e dunque la necessità di anticipazion della cautela in un contesto nel quale il sequestro degli ulteriori beni immobili, che contrariamente all’assunto difensivo ben possono essere oggetto di atti di disposizione in pregiudizio della ragioni della confisca del profitto del reato, era per valore di gran lung inferiore al profitto realizzato.
Con particolare riferimento all’illustrazione della concisa motivazione del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablatorio rispetto alla definizione del giudizio, la decisione impugnata sorretta da logica motivazione che, tenuto conto dei limiti del sindacato in materia di misure cautelari reati, non può dirsi assente e/o apparente.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso, 26/11/2024