Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27743 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27743 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TRENTO nei confronti di:
NOME COGNOME nato a BORGO VALSUGANA il 29/07/1961
avverso l’ordinanza del 11/03/2025 del TRIBUNALE di TRENTO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza e dell’avv.to COGNOME sostituto dell’avv.to COGNOME NOME, difensore di COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile in quanto infondato.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 11/3/2025, il Tribunale del Riesame di Trento ha annullato, limitatamente alla posizione di COGNOME NOME e al sequestro funzionale alla confisca per equivalente, il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Trento il 12/1/2025 che, nell’ambito di una complessa indagine nei confronti di COGNOME e altri e della RAGIONE_SOCIALE nel fr q- uale sono stati ipotizzati nei confronti delle persone fisiche i reati di cui agli artt. 416 co pen., 81 cod. pen., 316 ter cod. pen., 119 comma 13.bis.1 del d.l. 34/2020 e in
relazione alla società la violazione dell’art. 24 d.lvo 231/01 in relazione all’art. 316 ter cod. pen., aveva disposto:
“il sequestro ai fini della confisca per equivalente ex art. 321 comma 2 bis cpp e 19 comma 2- 53 d.lgs. 231/01 da applicarsi indifferentemente su beni (immobili, mobili registrati, denaro ed investimenti, beni preziosi) che risultino nella disponibilità degli indagati e di RAGIONE_SOCIALE sino ad un massimo di 5.650.719,07;
il sequestro impeditivo teso a bloccare la quota parte ancora non utilizzata dei crediti inesistenti creati da RAGIONE_SOCIALE per complessivi 8.364.051,29…”.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Trento che lamenta la violazione della legge penale.
2.1 II vizio denunciato, in primo luogo, riguarderebbe la “sussistenza della motivazione del periculum in mora nel provvedimento impugnato e … mancato utilizzo dei poteri di integrazione da parte del tribunale del riesame”. Si assume che il GIP, in un passo della motivazione, seppur relativa al sequestro impeditivo, si sofferma sui pericoli derivanti dalla circolazione del credito così implicitamente richiamando la richiesta del PM in ordine al sequestro anticipatorio della confisca dove era stato dedotto che “il periculum in mora è, nel caso di specie, insito nella natura stessa dell’oggetto da apprendere è evidente come sia facilissima la dispersione del denaro e, di contro, molto difficoltoso (se non impossibile) il recupero una volta distolto dal circuito bancario od inviato su conti correnti esteri”.
Si aggiunge che il Tribunale del Riesame “avrebbe legittimamente e doverosamente potuto integrare tale, ritenuta, insufficiente motivazione”.
2.2 Ulteriori profili che imporrebbero l’annullamento del decreto sarebbero, ad avviso del ricorrente, da individuarsi nelle errate valutazioni espresse dal Tribunale in ordine al “concetto di profitto-prodotto del reato” e alla “mancata graduazione dei sequestri”. Si deduce che il Tribunale aveva “confuso” il prodotto con il profitto del reato, benché nella richiesta di sequestro presentata dal PM fosse stato chiarito che “il profitto dei reati di cui agli artt. 316 ter cp e 24 D.Lvo 231/01 è riconoscibile nelle somme ottenute tramite la commercializzazione dei crediti fraudolenti” ed era quantificabile in C 5.650.719,07 mentre “il prodotto del reato p. e p. dall’art. 316 ter si riconosce nell’importo dei crediti fittizi creati da RAGIONE_SOCIALE, ricostruit in C 10.031.401,60″.
Si precisa, quindi, che il GIP, in ordine alla “previa sequestrabilità diretta del profitto”, aveva dato atto della impossibilità della confisca diretta, essendo stata nel corpo del decreto utilizzata l’espressione “perduta l’individualità storica del profitto illecito”, che richiamava esplicitamente quanto esposto dal PM nella richiesta di sequestro preventivo, in cui era precisato: “Il profitto diretto del reato, goduto da RAGIONE_SOCIALE, è sequestrabile grazie al combinato disposto degli artt.
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53 e 19 co. 1 del . Igs. 231/01 ed è da ricercarsi tra le somme liquide giacenti nei conti correnti della società… Allo stato il profitto del reato incassato a mezzo bonifico bancario sui conti di RAGIONE_SOCIALE è, con buona evidenza, già stato utilizzato risalendo tali movimentazioni economiche a periodi ben antecedenti al 2024 (ndr: i fatti risalgono al 2021). Ordunque, se il profitto diretto non è apprendibile, si è legittimati a richiedere il sequestro nella forma per equivalente da eseguirsi indifferentemente: su beni e valori finanziari nella disponibilità della società grazie al combinato disposto dell’art. 53 e 19 co. 20 DLvo 231/01; su beni e valori finanziari nella disponibilità degli indagati grazie al combinato disposto dell’art. 321 co. 2 cpp e 322 ter cp; il tutto fino a capienza del profitto del reato”. Viene, altresì, precisato che in fase esecutiva il PM aveva accertato che non erano disponibili somme significative su conti correnti intestati a RAGIONE_SOCIALE
2.3 Altro tema investito dalla violazione di legge era relativo alla qualificazione, emergente dal provvedimento impugnato, della confisca del denaro come confisca per equivalente e non come confisca diretta, in palese violazione, secondo il ricorrente, degli arresti della giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite
2.4 Ultimo motivo di doglianza 03 relativo alla carenza di motivazione in ordine ai beni da restituire, non avendo il Tribunale di Riesame precisato se l’ordine di restituzione riguardava solo i beni di cui l’indagato era formalmente intestatario o anche quelli ad altri intestati ma che si era ritenuto essere nella disponibilità dell’indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta inammissibile in quanto articolato in censure aspecifiche e manifestamente infondate.
Il Tribunale del Riesame ha annullato il provvedimento di sequestro rilevando, richiamando i principi della Sentenza Ellade (Sez. Unite, 24/6/2021, n. 36959), che il GIP non aveva argomentato “per nulla sul tema della sussistenza o meno, nel caso concreto, di un effettivo pericolo derivante dalla mancata anticipazione del provvedimento ablatorio”. Viene, anche, precisato che “una tale motivazione non si rinveniva neanche nella parte del provvedimento relativa al pericolo derivante dell’avvenuta cessione a terzi dei crediti fiscali creati da RAGIONE_SOCIALE” e ciò in quanto “il disposto sequestro per equivalente di cui si discute è riferito all’intero valore del profitto generato dal reato nel tempo ed è da eseguirsi sul patrimonio degli indagati, solo con riguardo al quale dunque vanno esplicitate le ragioni che fonderebbero il pericolo della relativa dispersione, in mancanza di un’anticipazione dell’adozione del vincolo ablativo”.
Con tale motivazione il ricorrente non si confronta in quanto, a pag. 4 del ricorso, si dà atto che il GIP non aveva fornito una espressa motivazione in ordine
al sequestro anticipatorio, ma poi si argomenta che la motivazione non era del tutto carente, potendo spiegare effetti anche sul sequestro finalizzato alla confisca la parte della motivazione relativa al sequestro innpeditivo, che valorizzava “la circolazione del credito di imposta derivante dall’attività illecita…”.
E’ però evidente l’errore di prospettiva cui incorre il ricorrente in quanto il principio di motivazione, a tutto voler concedere alla tesi del ricorrente, è relativo ai crediti ceduti da RAGIONE_SOCIALE e non ai beni degli indagati colpiti dal sequestro anticipatorio, cui, secondo l’ordinanza contestata, sul punto non impugnata, doveva essere riferita la situazione di pericolo fondante l’anticipazione degli effetti della confisca.
È inoltre appropriato il richiamo fatto dal Tribunale del Riesame ai principi enunciati dalle Unite nella sentenza n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848 – 01 che ha precisato che “il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili “ex lege”. È evidente che il presupposto in esame non può che riguardare il pericolo di dispersione del bene prima del giudizio.
Da tale principio, come correttamente rilevato dal Tribunale, il decreto del GIP si discosta non fornendo motivazione alcuna in ordine al sequestro, finalizzato alla confisca, dei beni nella disponibilità di COGNOME.
I beni sottoposti a vincolo, infatti, non rientrano fra quelli la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato per cui il provvedimento di sequestro avrebbe dovuto spiegare le ragioni che giustificavano l’anticipazione dell’effetto ablativo.
Come osservato dal Tribunale, quindi, il decreto del GIP, in relazione al sequestro anticipatorio, è privo in un apparato argomentativo idoneo a spiegare le ragioni per le quali si ritiene indispensabile l’anticipazione dell’effetto ablativo nelle more del giudizio (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692; Sez.2, n.18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez.6, n. 6589 del 10/01/2013, NOME, Rv. GLYPH 254893), con conseguente impossibilità per il Tribunale del Riesame, cui la nullità del decreto per la mancanza assoluta di motivazione in punto di periculunn in mora era stata eccepita (Sez. 3, n. 23400 del 14/2/2024, Urbani, Rv. 286545 – 01), di procedere all’integrazione della motivazione.
Costituisce, infatti, espressione di un consolidato orientamento di legittimità il principio secondo cui l’omissione assoluta, nel decreto di sequestro preventivo, di motivazione in ordine al periculum in mora non consente al Tribunale di esercitare i poteri di correzione e rettifica attribuitigli dall’art. 309 cod. proc. pen. richiamato dall’art. 324 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266789 – 01; Sez. 3, n. 23400 del 14/2/2024, Urbani. Rv. 286545-01; Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, NOME Tre X, Rv. 285747 – 01; Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272596 – 01).
Manifestamente infondata risulta anche la seconda delle censure mosse al provvedimento impugnato.
Il ricorrente non contesta che la confisca per equivalente disposta a carico di COGNOME abbia, quale presupposto, l’impossibilità di procedere al sequestro diretto del profitto del reato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, principio che questa Corte ha più volte affermato ( Sez. 4, n. 10418 del 7 marzo 2018; Sez. 3, n. 3591 del 20/9/2018, Bennati), con la doverosa precisazione che la verifica di tale impossibilità non deve comportare la preventiva infruttuosa “escussione” del patrimonio della società in questione, essendo sufficiente la esistenza di indicazioni logicamente contrarie alla affermazione della disponibilità di beni in capo alla persona giuridica (Sez. 5, n. 31450 del 23 giugno 2017, n. 31450; Sez. 3, n. 3591 del 20/9/2018, COGNOME).
Si contesta, infatti, che il provvedimento del GIP non dia conto della sussistenza di un tale presupposto. Sennonché la locuzione “perduta l’individualità storica del profitto illecito” valorizzata a tal fine dal ricorrente si rinviene a pag. 37 del decreto ed è inserita in un periodo che richiama, in termini del tutto generali, la giurisprudenza di legittimità relativa alla possibilità di applicare la confisca di valore a ciascuno dei concorrenti nel reato per l’intera entità del profitto accertato. Non è, quindi, dato comprendere come l’espressione possa richiamare gli accertamenti esposti nella richiesta del PM che dimostravano la non praticabilità della confisca diretta nei confronti della società.
Non più condivisibile, a seguito dei principi enunciati dalla Sezioni unite ( n. 13783 del 26/9/2023, COGNOME), è la censura prospettante il sequestro del denaro come diretta. Si legge al punto 18 della pronuncia:
“la confisca del denaro è diretta nei casi in cui:
risulti che la somma confiscata sia proprio “quella” derivata dal reato;
si è in presenza di “metamorfosi” del profitto o del prezzo del reato, cioè si sia
in presenza di una utilità economica mediata ed indiretta acquisita successivamente al reato (surrogato, reimpiego), ma, in ogni caso, collegata eziologicannente all’illecito e, soprattutto, all’uso del profitto o del prezzo derivante
dal reato: occorre la prova che la somma di denaro o il bene utilizzato per il reimpiego siano derivanti dal reato (Sez. U, COGNOME, cit.; Sez. U, COGNOME, cit.);
– sussista la prova, sulla base delle concrete circostanze di tempo e di luogo, che proprio il denaro che costituisce il prezzo o il profitto del reato – versato sul
conto- sia poi stato prelevato e utilizzato per l’impiego e per l’acquisto di un ulteriore bene (es. transito immediato della somma, che è versata e prelevata in
circostanze di tempo e di fatto dimostrative del fatto che si tratti della stessa somma).
La confisca del denaro non è invece diretta se ha ad oggetto somme sopravvenute o preesistenti rispetto al reato ovvero, comunque, a questo
certamente non riconducibili; in particolare, la confisca di somme giacenti sul conto corrente non è diretta in tutti i casi in cui, attraverso il “tracciamento” degli
incrementi patrimoniali in denaro, non sia provato che si tratti di denaro derivante da reato”.
Se ne desume che la fungibilità del bene appreso non può più determinare automaticamente la qualifica della confisca del denaro eseguita nei confronti di
COGNOME come diretta.
Manifestamente infondata risulta anche la censura relativa alla carenza di motivazione in ordine ai beni da restituire.
L’annullamento del capo del decreto che disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca impone la restituzione di tutti i beni che in forza di quel decreto con finalità anticipatoria della misura ablativa erano stati appresi in quanto ritenuti nella disponibilità di COGNOME.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in data 11/7/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente