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Sequestro preventivo: la motivazione è essenziale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di sequestro preventivo di 7.500 euro, ritenuti profitto di una truffa aggravata. La Corte ha stabilito che la motivazione del provvedimento era solida e non meramente apparente, basandosi su prove indiziarie concrete (conversazioni e accordi tra indagati) che legavano la somma al reato. È stato inoltre confermato che il pericolo di dispersione del denaro (periculum in mora) era stato adeguatamente giustificato dalla comprovata capacità dell’indagato di occultare fondi.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo: Quando la Motivazione Resiste all’Apparenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui requisiti di validità di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca, specialmente quando ha ad oggetto somme di denaro. La pronuncia sottolinea come una motivazione basata su solidi elementi indiziari non possa essere considerata ‘apparente’ o ‘tautologica’, anche se il provvedimento interviene a distanza di tempo dal reato contestato. Approfondiamo i dettagli di questa decisione per capire meglio i principi in gioco.

Il Caso in Esame: Denaro in Cassaforte e Accuse di Truffa

La vicenda trae origine dal sequestro di 7.500 euro in contanti, rinvenuti all’interno della cassaforte nell’abitazione di un soggetto indagato per truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche. Il Tribunale del riesame aveva confermato la misura, rigettando le lamentele dell’indagato. Quest’ultimo ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che il provvedimento fosse illegittimo per diverse ragioni.

I Motivi del Ricorso: Una Motivazione Debole?

L’indagato lamentava principalmente tre vizi:

1. Motivazione apparente: Secondo la difesa, sia il fumus commissi delicti (la probabilità che un reato sia stato commesso) sia il periculum in mora (il pericolo di dispersione del bene) erano stati giustificati in modo superficiale, ripetendo le argomentazioni del primo giudice senza un’analisi critica.
2. Assenza di nesso di pertinenzialità: Non vi era prova che il denaro sequestrato fosse direttamente collegato al reato contestato.
3. Violazione del principio di ragionevolezza temporale: Il sequestro era stato disposto a quasi tre anni di distanza dalla presunta commissione del reato, un lasso di tempo ritenuto eccessivo.

La Decisione della Corte e i Requisiti del Sequestro Preventivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo infondate tutte le censure. La decisione si articola su due pilastri fondamentali: la solidità della motivazione del fumus commissi delicti e la concretezza del periculum in mora.

L’analisi del ‘Fumus Commissi Delicti’

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di legittimità hanno riscontrato che il Tribunale aveva adeguatamente motivato il nesso tra il denaro e il reato. Dagli atti d’indagine emergevano elementi precisi:

* Conversazioni su una nota piattaforma di messaggistica in cui si utilizzava un linguaggio criptico (il termine ‘polpetta’ per indicare 1.000 euro).
* Accordi specifici secondo cui all’indagato spettavano esattamente ‘7 polpette’ (7.000 euro) da un complice e altri 500 euro da un altro, per un totale di 7.500 euro.

Questa somma corrispondeva esattamente a quella trovata nella sua cassaforte. Per la Corte, questi elementi erano più che sufficienti a costituire un solido quadro indiziario, rendendo la motivazione tutt’altro che apparente.

La Valutazione del ‘Periculum in Mora’

Anche riguardo al pericolo di dispersione, la motivazione è stata giudicata concreta. Il Tribunale aveva evidenziato come l’indagato avesse già dimostrato in passato la capacità di compiere operazioni complesse per rendere irrintracciabili ingenti somme di denaro, utilizzando società di comodo intestate a soggetti irreperibili. Questa comprovata abilità a ‘riciclare’ i proventi illeciti rendeva concreto e attuale il rischio che i 7.500 euro in contanti potessero essere facilmente occultati prima della conclusione del processo.

Le Motivazioni

La Corte ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi cardine. In primo luogo, ha distinto nettamente il caso di specie, relativo a una confisca diretta del profitto del reato, da quello della ‘confisca allargata’ (art. 240-bis c.p.). Il ‘principio di ragionevolezza temporale’, invocato dal ricorrente, è stato elaborato dalla giurisprudenza proprio per quest’ultima tipologia di confisca, che si basa su una presunzione di illecita provenienza di beni sproporzionati rispetto al reddito. Nel caso della confisca diretta, invece, ciò che conta è la prova del nesso causale tra il bene e il reato, indipendentemente dal tempo trascorso.

Inoltre, citando un importante pronunciamento delle Sezioni Unite, la Corte ha ricordato che, data la natura fungibile del denaro, non è necessario dimostrare che le specifiche banconote sequestrate siano materialmente le stesse ricevute come profitto illecito. Ciò che rileva è che la somma sequestrata rappresenti l’equivalente dell’accrescimento patrimoniale derivato dal reato. La motivazione fornita dal Tribunale, che legava la cifra esatta di 7.500 euro a specifici accordi illeciti, ha reso questa connessione evidente.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento rigoroso: un sequestro preventivo è legittimo se fondato su una motivazione che, pur sintetica, si basi su elementi di fatto concreti e specifici, sia per quanto riguarda la probabilità del reato sia per il pericolo di dispersione del bene. Una difesa che si limiti a definire ‘apparente’ una motivazione senza confrontarsi puntualmente con gli elementi indiziari addotti dall’accusa è destinata all’insuccesso. La decisione chiarisce, infine, che i principi applicabili alle diverse tipologie di confisca non sono intercambiabili, richiedendo un’analisi giuridica attenta e specifica per ogni fattispecie.

Quando la motivazione di un sequestro preventivo è considerata sufficiente e non ‘apparente’?
La motivazione è sufficiente quando si basa su elementi indiziari concreti e specifici che collegano il bene al reato (fumus commissi delicti) e dimostrano un rischio attuale di dispersione del bene stesso (periculum in mora). Non è apparente se, come nel caso di specie, fa riferimento a risultanze investigative precise, come conversazioni e accordi, che giustificano la misura.

Per sequestrare una somma di denaro come profitto di reato, è necessario provare che quelle specifiche banconote provengono dall’attività illecita?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata, data la natura fungibile del denaro, non è necessaria la prova della ‘identità fisica’ delle banconote. È sufficiente dimostrare che la somma sequestrata nel patrimonio dell’indagato corrisponde, per valore, all’accrescimento patrimoniale illecito conseguito, qualificandosi come confisca diretta del profitto.

Perché il lungo tempo trascorso tra il reato e il sequestro non ha reso illegittima la misura?
Il lasso di tempo è stato considerato irrilevante perché la misura cautelare non era una confisca ‘allargata’ (basata sulla sproporzione patrimoniale), ma una confisca diretta del profitto del reato. In questo contesto, la validità del sequestro si fonda sulla solidità degli indizi del reato (fumus) e sulla persistenza del pericolo di dispersione del bene (periculum), elementi che la Corte ha ritenuto ampiamente provati a prescindere dal tempo trascorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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