Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3703 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3703 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a Napoli il 11/10/1994
avverso l’ordinanza del 15/07/2024 del Tribunale di Prato visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15/07/2024, il Tribunale di Prato rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., da NOME COGNOME contro il decreto del 27/05/2024 del G.i.p. del Tribunale Prato con il quale era stato disposto, nei confronti dello stesso COGNOME, sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, della somma di denaro di € 7.500,00 che era stata rinvenuta in una cassaforte all’interno dell’abitazione dell’COGNOME a seguito di una perquisizione.
Avverso la menzionata ordinanza del 15/07/2024 del Tribunale di Prato, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 253, comma 1, e 321 cod. proc. pen. «in ordine al dovere di motivazione».
Dopo avere esposto come nel vizio di violazione di legge che è deducibile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrino anche la mancanza assoluta della motivazione e la motivazione meramente apparente, l’COGNOME lamenta che il Tribunale di Prato si sarebbe limitato a «riportare supinamente» le motivazioni che erano state addotte dal G.i.p. dello stesso Tribunale in ordine sia al fumus commissi delicti sia al periculum in mora.
Con riguardo al primo aspetto del fumus commissi delicti, il Tribunale di Prato avrebbe fornito una motivazione «pressocché tautologica», in quanto avrebbe fondato il proprio convincimento sulla «considerazione del solo rinvenimento di denaro contante nell’abitazione ove si trova il ricorrente» e, così facendo, avrebbe «assunto senza motivazione alcuna la provenienza illecita del denaro e la diretta riconducibilità della stessa all’indagato, in assenza di qualsivoglia prova che la somma di denaro sequestrata fosse di esclusiva proprietà» dello stesso, non essendo stata spesa alcuna argomentazione «sulla ipotetica riconducibilità della somma di denaro alla moglie, convivente , o ad altri membri della famiglia, dimoranti poco distante dall’abitazione» in cui la somma era stata rinvenuta.
Quanto al secondo aspetto del periculum in mora, il Tribunale di Prato avrebbe solo «genericamente ritenuto sussistente il pericolo di dispersione del bene nelle more del giudizio», laddove si dovrebbe reputare come, «non essendo comprovata la paternità della somma di denaro oggetto di apprensione in via cautelare non possa, di conseguenza, ritenersi sussistente il periculum di dispersione dello stesso da parte del Sig. COGNOME».
Sempre in proposito, il ricorrente deduce che «oltanto una soluzione ermeneutica che vincoli il sequestro preventivo funzionale alla confisca ad una motivazione anche sul periculum in mora garantirebbe coerenza con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare reale, evitando un’indebita compressione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’«assenza del vincolo di pertinenzialità tra il reato e il denaro sequestrato».
L’COGNOME contesta che il Tribunale di Prato avrebbe «ritenuto apoditticamente e in assenza di qualsiasi motivazione la sussistenza del vincolo di pertinenzialità della somma di denaro al reato contestato» e deduce che, «in assenza di riscontro certo circa la corrispondenza tra la somma di denaro nell’abitazione del Sig. COGNOME e il prodotto o il profitto del reato contestato
medesimo, non può nella maniera più assoluta desumersi alcuna pertinenzialità tra denaro e condotta illecita asseritamente posta in essere».
Il ricorrente lamenta ancora che il sequestro è stato disposto a distanza di circa tre anni dalla commissione della contestata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, con la conseguenza che «risulta del tutto assente il principio giuridico graniticamente affermato in giurisprudenza, secondo il quale la compressione dei diritti patrimoniali dei cittadini possano subire così recise limitazioni quando il reato è incompatibile con la res».
2.3. Con il terzo motivo, che è proposto sempre in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., il ricorrente invoca il «principio di ragionevolezza temporale del vincolo ablativo».
L’COGNOME deduce che il «criterio della ragionevolezza temporale L.] impone la sussistenza di un collegamento tra l’attività delittuosa e il provvedimento ablativo» e sottolinea in proposito che lo stesso criterio «risponde all’esigenza di evitare un’abnorme dilatazione della sfera di operatività della confisca che, a fronte della condanna per un singolo reato compreso nella lista, finirebbe per legittimare un monitoraggio patrimoniale e teso all’intera vita del condannato».
Dopo avere fatto riferimento al «perimetro della fascia di ragionevolezza temporale, entro il quale la presunzione è destinata ad operare», il ricorrente lamenta che, «el caso di specie, è omessa ogni tipo di valutazione sulla provenienza lecita del denaro».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo e il secondo motivo – i quali, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
Poiché viene qui in rilievo un sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro che costituirebbe il profitto del reato di cui all’imputazione provvisoria, è anzitutto opportuno rammentare che le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato come la confisca di un tale denaro, rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, vada sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037-01).
Successivamente, le stesse Sezioni unite hanno precisato che «a confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene. La confisca è invece qualificabile per
equivalente in tutti i casi in cui non sussiste il predetto nesso di derivazion causale» (così l’informazione provvisoria n. 12/2024, all’esito dell’udienza del 26/09/2024).
Ciò rammentato, si deve ritenere che, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, il Tribunale di Prato abbia senz’altro motivato, e in modo non meramente apparente, in ordine al fatto che la somma sequestrata di C 7.500,00 era riferibile all’COGNOME e rappresentava l’accrescimento patrimoniale monetario che era stato da lui conseguito quale profitto del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche oggetto dell’imputazione provvisoria che era stata elevata a suo carico.
Il Tribunale di Prato ha in particolare argomentato come ciò fosse senz’altro risultato dagli atti d’indagine, dai quali era emerso che, posto che era stato accertato che il termine “polpetta” veniva utilizzato dagli indagati per indicare in maniera criptica la somma di C 1.000,00, poiché nelle conversazioni a mezzo della piattaforma Whatsapp tra l’COGNOME e NOME COGNOME si affermava che al primo, a fronte della truffa eseguita, spettavano «7 polpette», e poiché dall’analisi dei dati presenti nel telefono cellulare di NOME COGNOME era emerso che l’COGNOME aveva chiesto al COGNOME, a titolo di remunerazione per averlo coadiuvato nella truffa, C 500,00, ne discendeva che l’importo che l’COGNOME aveva complessivamente ricevuto, quale profitto del reato di truffa emerso dagli atti di indagine, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, ammontava esattamente alla somma di C 7.500,00 che era stata rinvenuta nella cassaforte ubicata nell’abitazione dell’indagato.
E che la somma sequestrata di C 7.500,00 rappresentasse l’accrescimento patrimoniale monetario che era stato conseguito dall’COGNOME quale profitto del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche a lui contestato risulta dagli atti di indagine; evidenza con la quale il ricorrente omette di confrontarsi.
Il Tribunale di Prato ha altresì motivato in ordine all’ipotizzata (dall’Errichiell riconducibilità della suddetta sequestrata somma di C 7.500,00 alla moglie o ad «altri membri della famiglia» dell’indagato, rappresentando come dagli atti d’indagine fossero emersi i già evidenziati solidi elementi indiziari della riferibil della stessa somma all’COGNOME, essendo, invece, del tutto assenti elementi che consentissero di ipotizzare che egli svolgesse un servizio di custodia di denaro di parenti.
Ne discende che, a differenza di quanto è sostenuto dal ricorrente, l’ordinanza impugnata si deve ritenere contenere una motivazione senz’altro non apparente e anche priva di eventuali altre violazioni di legge con riguardo al fumus commissi delicti, alla riferibilità all’indagato della somma sottoposta a sequestro e al fatto che la stessa somma rappresentava l’accrescimento patrimoniale monetario che
lo stesso indagato aveva conseguito come profitto del reato di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche oggetto dell’imputazione provvisoria che era stata elevata a suo carico.
In particolare, è vero che è necessaria la motivazione del nesso di pertinenzialità del denaro sequestrato rispetto al reato (Sez. 2, n. 46130 del 04/10/2023, Santandrea, Rv. 285348-01), ma, contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, tale motivazione, per le ragioni che si sono dette, si deve ritenere pienamente sussistente nel caso in esame.
In secondo luogo, quanto alla motivazione sul periculum in mora, si deve rammentare che le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito che il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848-01, concernente una fattispecie relativa a un sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato in ordine al quale la Corte ha chiarito che l’onere di motivazione si può ritenere assolto allorché il provvedimento si soffermi sulle ragioni per cui, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato o alienato).
Ciò rammentato, si deve ritenere che, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, il Tribunale di Prato abbia senz’altro motivato, e in modo non meramente apparente, in ordine alle ragioni per cui, nelle more del giudizio, la somma di C 7.500,00 potrebbe essere dispersa.
Il Tribunale di Prato ha in proposito in particolare argomentato, richiamando anche la corrispondente motivazione del decreto del G.i.p., come dagli atti d’indagine fosse risultato che l’COGNOME aveva mostrato la capacità compiere operazioni tali da rendere irrintracciabili anche ingenti somme di denaro, come era comprovato dal fatto che, nella vicenda delittuosa in considerazione, gran parte dei proventi delle truffe commesse erano stati riciclati utilizzando delle società di comodo riconducibili a dei soggetti cinesi che si erano poi resi irreperibili, con la conseguenza che, poiché l’indagato ben avrebbe potuto fare altrettanto con la somma di C 7.500,00 in contanti, si rendeva perciò necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca della stessa somma, al fine di evitare che l’COGNOME, alla definizione del giudizio, risultasse averla occultata ed essere ormai nullatenente.
Tale motivazione della sussistenza del periculum in mora risulta, come si è anticipato, oltre che senz’altro esistente, tutt’altro che apparente, mentre il ricorrente, dal canto suo, ha in effetti del tutto omesso di confrontarsi con la stessa.
In presenza, pertanto, GLYPH di una non apparente motivazione con riguardo al fumus commissi delicti, alla riferibilità all’indagato della somma sottoposta a sequestro, al fatto che la stessa somma rappresentava l’accrescimento patrimoniale monetario che lo stesso indagato aveva conseguito come profitto del reato di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche oggetto dell’imputazione provvisoria e alla verificata esistenza del periculum in mora al momento dell’emissione del decreto di sequestro, risulta del tutto irrilevante, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, che lo stesso decreto sia intervenuto a distanza di circa tre anni dalla commissione della contestata truffa aggravata.
2. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Quanto alla doglianza che è fondata sull’invocazione del «principio di ragionevolezza temporale del vincolo ablativo», si deve rilevare come essa non sia pertinente rispetto alla fattispecie di causa, atteso che detto principio è stato elaborato dalla giurisprudenza con riferimento alla confisca cosiddetta “allargata” ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., al fine di circoscrivere la presunzione di illegittima acquisizione che è prevista da tale disposizione, mentre nel caso di specie viene in rilievo non una confisca “allargata” ma la confisca diretta del profitto del reato.
Quanto, infine, alla doglianza con la quale si lamenta che, «el caso di specie, è omessa ogni tipo di valutazione sulla provenienza lecita del denaro», si deve osservare come, alla luce della già citata sentenza delle Sezioni unite n. 42415 del 27/05/2021, C., si debba ritenere irrilevante che le specifiche banconote sequestrate siano proprio quelle che il ricorrente aveva ricevuto dal Rea e dal Babolo.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 05/12/2024.