Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 38805 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 38805 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 30-11-2023 del Tribunale di Trento; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 novembre 2023, il Tribunale del Riesame di Trento, confermava il decreto del 7 novembre 2023, con cui il G.I.P. del Tribunale di Trento aveva disposto (dopo un precedente annullamento per difetto di motivazione sul periculum in mora), nei confronti di NOME, il sequestro preventivo, ai sensi degli art. 321 cod. proc. pen., 240 e 240 bis cod. pen., 73 comma 7 bis, 74 comma 7 bis e 85 bis D.P.R. 309/1990, avente ad oggetto le risorse finanziarie individuate nella disponibilità, anche indiretta, di COGNOME, sino al raggiungimento della somma provento del reato, individuata in euro 4.263.756. Venivano quindi sottoposte a sequestro le somme versate sul conto corrente e un’auto intestate al ricorrente. Contestualmente, nei confronti di COGNOME, era stata altresì applicata la misura della custodia cautelare in carcere, essendo egli gravemente indiziato di essere capo promotore di un’associazione dedita al traffico di stupefacenti (capo D), nonché di essere autore di numerosi reati-fine (capi D1, D2, D3, D4, D5, D6, D7, D8, 09, 010, D11, D13, D14, 015, D16, 018, 019, 020, D21 e D22).
Avverso l’ordinanza del Tribunale trentino, COGNOME, tramite i suoi difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
2.1. Con il primo, la difesa deduce l’erronea applicazione degli art. 125, 309, 321 e 324 cod. proc. pen., eccependo il difetto di motivazione e di autonoma valutazione in ordine al quantum del profitto confiscabile. Si evidenzia che il G.I.P. si è limitato ad assumere come valida la quantificazione del profitto così come operata dalla Guardia di Finanza di Trento, senza offrire alcun elemento di conferma rispetto alla stessa, semplicemente riportandone il risultato nel provvedimento con atto di mera ricognizione fideistica, per cui il Tribunale del Riesame, non potendo integrare la carente motivazione del decreto del G.I.P., avrebbe dovuto procedere ad annullare il provvedimento impugnato, mancando quest’ultimo di autonoma valutazione rispetto al quantum di profitto sequestrabile.
2.2. Con il secondo motivo, è stata dedotta l’inosservanza dell’art. 125 cod. proc. pen., rimarcandosi la totale assenza di motivazione dell’ordinanza impugnata rispetto alle censure contenute nella memoria difensiva, riguardanti tematiche potenzialmente decisive, come: 1) l’erroneo calcolo del profitto, basato unicamente sul presupposto di cessioni al dettaglio, mentre le risultanze investigative avevano accertato quasi esclusivamente sostanziose cessioni infragruppo; 2) le erronee modalità di computo del profitto derivanti dalla cessione dello stupefacente, profitto calcolato dalla Guardia di Finanza con l’adozione di un moltiplicatore monetario applicato alle singoli dosi droganti anziché al grammo; 3) l’erronea quantificazione della sostanza sequestrata nell’ambito dei procedimenti penali indicati nei capi D4, 014, D21 e 022, nonché l’omessa detrazione della
somma contante pari a 73.500,00 euro sequestrata in tali sedi; 4) l’omessa considerazione, nella quantificazione del profitto dell’attività associativa illecita dell’episodio indicato al capo D16, in cui gli indagati NOME COGNOME e NOME COGNOME si sarebbero accordati al fine di rivendere al prezzo di 48 euro al grammo la cocaina precedentemente acquistata al prezzo di 40 euro al grammo, con un guadagno netto di 8 euro al grammo, unico elemento concreto accertato durante le indagini. Con tali deduzioni, il Tribunale avrebbe mancato di confrontarsi.
2.3. Con il terzo motivo, infine, la difesa lamenta di nuovo l’inosservanza dell’art. 125 cod. proc. pen. relativamente, in questo caso, all’omessa o apparente motivazione rispetto al diverso profilo del periculum in mora. Si evidenzia in proposito che, con i motivi di riesame, era stata eccepita l’apparenza della motivazione del provvedimento genetico, rilevandosi come non fosse stata data alcuna giustificazione rispetto al pericolo di dispersione del bene e alla necessità anticipatoria della confisca del denaro. Tale lacuna argomentativa ha riguardato anche l’ordinanza impugnata, non avendo il Tribunale considerato che il periculum in mora deve essere concreto e attuale, per cui, essendo risalente l’ultima condotta contestata al 2021, occorreva prendere atto che non vi erano elementi probatori tali da sostenere il permanere di nuove o ulteriori attività di spaccio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. In via preliminare, occorre richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell’art. 606 cod. proc. pen. (in tal senso, cfr. Sez. 2, n. 37100 de 07/07/2023, Rv. 285189 e Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).
1.1. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie non sia configurabile né una violazione di legge, né un’apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del riesame adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione di conferma del sequestro preventivo adottato dal G.I.P.
In particolare, iniziando dal primo motivo, deve ritenersi che il Tribunale abbia correttamente respinto l’eccezione difensiva circa il difetto di autonoma valutazione da parte del G.RAGIONE_SOCIALE.P. in ordine alle modalità di calcolo del profitto, che erano state censurate in occasione dell’annullamento del primo decreto.
Ed invero i giudici dell’impugnazione cautelare hanno evidenziato, in modo pertinente, che gli elementi introdotti dalla difesa mediante il deposito di memorie e documenti non rientrano nella piattaforma cognitiva di cui il G.I.P. deve tenere conto ai fini dell’adozione della misura cautelare, per cui non poteva addebitarsi al G.I.P. di non aver tenuto conto dei temi proposti dalla difesa con la prima richiesta di riesame che non erano stati analizzati dal Tribunale della libertà, che aveva accolto il gravame per un altro motivo assorbente, non essendo peraltro previsto alcun obbligo di trasmissione di tale materiale difensivo al giudice della cautela.
In ogni caso, è stato rilevato, da un lato, che rispetto all’individuazione e alla quantificazione del profitto, non era ravvisabile nel decreto alcun difetto assoluto di motivazione, e, dall’altro, che i temi introdotti dalla difesa sono stati comunque oggetto di valutazione da parte del Tribunale, come sarà di seguito esposto. Ne consegue che la doglianza difensiva sul punto deve essere disattesa.
Anche il secondo motivo non è meritevole di accoglimento.
Ai fini della determinazione dell’importo del profitto, il Tribunale ha richiamato, condividendoli, i calcoli operati dagli inquirenti che hanno ricostruito il profit conseguito dal sodalizio alla luce della sommatoria derivata dalla consumazione dei singoli reati fine, mentre la diversa prospettazione addotta dalla difesa, con cui i giudici del riesame non hanno mancato di confrontarsi (pag. 4-5 dell’ordinanza impugnata), è stata ritenuta non accoglibile, perché non suffragata da adeguata documentazione o da consulenze tecniche, essendosi peraltro sottolineato che la quantificazione operata in sede di indagini non può essere ritenuta eccessiva, essendosi scorporati dall’ammontare del profitto i costi di acquisto della droga.
3.1 Orbene, in quanto fondato su considerazioni non illogiche, il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata rispetto alla quantificazione del profitto non presta il fianco alle doglianze difensive, per cui, fermo restando che le obiezioni sollevate dalla difesa potranno essere approfondite a livello probatorio nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che il provvedimento impugnato risulta sorretto da un apparato argomentativo non apparente, ma razionale e coerente, concernendo le censure difensive aspetti che ruotano nell’orbita non tanto della violazione di legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo che, come si è già anticipato, non è deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio.
4. Infondato è anche il terzo motivo.
Ha ricordato infatti il Tribunale che proprio il difetto di motivazione in ordine al periculum in mora aveva rappresentato il vizio per il quale era stato annullato il primo provvedimento di sequestro emesso dal G.I.P. il 19 settembre 2023.
Dunque, nel nuovo decreto di sequestro emesso il 7 novembre 2023 a seguito dell’annullamento da parte dei giudici del riesame, il G.I.P. ha evidenziato sul punto che “la disponibilità di denaro e di beni di rilievo economico è oggetto di agevole dispersione a fronte di un’imputazione provvisoria che individua elementi ricostruttivi del profitto in termini rilevanti” e che “la disponibilità dei medesimi beni è finalizzata al riacquisto e alla rivendita di stupefacenti, anche per interposta persona, trattandosi di attività sistematica, compiuta con professionalità”.
Nel caso di specie, l’onere motivazionale a carico del giudice della cautela, come osservato dal Tribunale del Riesame, può ritenersi sufficientemente adempiuto, in quanto il pericolo di dispersione del denaro è stato ricollegato a circostanze concrete di indubbia pregnanza, senza alcun ricorso ad automatismi decisori imperniati ad esempio sulla natura fungibile del denaro, automatismi questi che non possono trovare spazio in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, come ribadito anche di recente da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 9206 del 07/11/2023, dep. 2024, Rv. 286021).
Tale motivazione è stata ritenuta correttamente in linea con i principi elaborati dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenza n. 36959 del 24/06/2021, Rv. 281848, ricorrente Ellade), secondo cui il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca ex art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili “ex lege”. Dunque, il decreto di sequestro deve spiegare, in linea con la ratio della misura cautelare reale in oggetto, per quali ragioni si ritenga di anticipare gli effetti della confisca che, diversamente, nascerebbero solo a giudizio concluso, per cui la valutazione del periculum non può non riguardare esattamente tale aspetto, dando cioè atto degli elementi indicativi del fatto che la definizione del giudizio non possa essere attesa, posto che, altrimenti, la confisca rischierebbe di divenire successivamente impraticabile. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5. In conclusione, stante la complessiva infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere disatteso, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 08/05/2024