Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15816 Anno 2025
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Penale Sent. Sez. 5 Num. 15816 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante COGNOME NOMECOGNOME nata ad Avellino il 17/11/1994
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME nato a Sant’Andrea di Conza il 25/01/1959 e dai terzi interessati
NOMECOGNOME nato ad Atripalda il 22/08/1990
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante COGNOME NOMECOGNOME nata ad Avellino il 28/05/1991
avverso l’ordinanza del 12/07/2024 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; lette le richieste del difensore dei ricorrenti, Avv. NOME COGNOME che ha chie
raccoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., l’ordinanza del 6 maggio 2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli che aveva convalidato il sequestro preventivo disposto d’urgenza dal Pubblico ministero e contestualmente disposto il sequestro preventivo di diverse società, incluso il loro intero patrimonio aziendale, composto da beni immobili e mobili, e le disponibilità finanziare riconducibili alle predette società e a diverse persone fisiche indiziate dei delitti di partecipazione ad associazione di tipo mafioso nonché dei delitti di estorsione aggravata e turbata libertà degli incanti aggravati anche perché commessi utilizzando il metodo mafioso ed al fine di agevolare le finalità del sodalizio mafioso.
In particolare, si procede per il delitto di partecipazione ad un’associazione mafiosa che aveva conseguito il controllo del settore delle aste immobiliari giudiziarie presso il Tribunale di Avellino, attuato anche attraverso condotte intimidatorie dirette ad alterare il normale svolgimento delle aste immobiliari e conseguire indebiti vantaggi, nonché per più reati fine di estorsione aggravata e turbativa di libertà degli incanti, aggravati anche ai sensi dell’art. 416-bis.1 co pen.
Per quanto di interesse in questa sede, tra le società oggetto di sequestro vi sono anche la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, ritenute entrambe riconducibili ad NOME COGNOME COGNOME, indiziato di appartenenza al sodalizio mafioso.
Riconducibili ad NOME COGNOME COGNOME sono stati ritenuti anche il conto corrente n. 1000/7287 presso Banca Intesa, recante un saldo di euro 104.111,51 ed intestato formalmente alla RAGIONE_SOCIALE ed il conto corrente 5194 presso la BNL intestato a NOME COGNOME e recante un saldo di euro 20.341,55.
Nel decreto di sequestro si afferma che le predette società e gli altri beni in esso indicati sono stati sequestrati perché sussistono i presupposti e le condizioni per poter procedere, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 321, comma 2, cod. proc. pen. (in riferimento agli artt. 416-bis, settimo comma, all’ex art 12-sexíes d.lgs. n. 306 del 1992) – ad un sequestro preventivo, finalizzato alla loro confisca obbligatoria e comunque preventivo perché trattasi di società e beni mediante i quali sono stati commessi i delitti di associazione di tipo mafioso e tutti gli altri delitti relazione ai quali è stata contestata l’aggravante di cui 416-bis.1 cod. pen., avendo gli indagati potuto realizzare i loro scopi criminali proprio in quanto dotati di «imprese di riferimento», come quelle colpite dal vincolo cautelare.
Nel decreto di sequestro si afferma anche che i medesimi erano stati colpiti da altri decreti di sequestro preventivo sia per il reato di associazione di tip mafioso, sia per i medesimi reati fine per i quali si procede in questa sede; per tali reati era stata anche già esercitata l’azione penale, ma il Tribunale d Avellino, ritenendo che il reato associativo accertato all’esito dell’istrutto dibattimentale fosse diverso da quello originariamente contestato, aveva disposto, ai sensi dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen., la restituzione degli atti al Pubblico ministero non solo in relazione al reato associativo, ma anche con riguardo a tutti i reati fine, sebbene in relazione a questi non fosse stata rilevat alcuna diversità; con la stessa ordinanza era stato dichiarato inefficace il vincolo cautelare derivante dai precedenti decreti di sequestro preventivo.
Il Pubblico ministero, adeguandosi a quanto disposto dal Tribunale di Avellino, aveva modificato l’originaria imputazione associativa, lasciando inalterate le altre, provvedendo ad emettere un decreto preventivo d’urgenza, che era stato poi convalidato dal Giudice per le indagini preliminari che aveva emesso un proprio nuovo decreto di sequestro preventivo.
Avverso detta ordinanza hanno proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e, quali terzi interessati alla restituzione, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE con un unico atto di impugnazione ed a mezzo del loro comune difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando nove motivi.
2.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 321 e 649 cod. proc. pen.
Evidenziano che il Giudice per le indagini preliminari si è limitato a richiamare i precedenti decreti di sequestro preventivo, omettendo di valutare nuovamente i presupposti per l’emissione del nuovo decreto, sostenendo che si trattava di questioni che erano già state valutate nei giudizi di impugnazione avverso i provvedimenti di sequestro ormai caducati, in relazione ai quali ha ritenuto che si fosse formato il giudicato cautelare.
Il Tribunale del riesame aveva errato nel ritenere che non fosse necessario motivare su detti nuovi elementi, poiché il giudicato cautelare si era formato senza che fossero state proposte impugnazioni avverso i precedenti decreti di sequestro preventivo emessi a carico delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME poi venuti meno per effetto dell’ordinanza de Tribunale di Avellino del 14 aprile 2024, che aveva disposto la restituzione degli atti al Pubblico ministero, e pertanto non poteva essersi formato il giudicato su questioni mai valutate in sede di richiesta di riesame o di ricorso per cassazione.
Il nuovo decreto di sequestro preventivo è stato emesso a seguito della produzione, nel precedente giudizio dibattimentale, di elementi a sostegno della
legittima provenienza dei beni e dell’insussistenza dei suoi presupposti, elementi che il Giudice per le indagini preliminari avrebbe omesso di valutare.
2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 321 e 649 cod. proc. pen.
Evidenziano che il Tribunale del riesame ha ritenuto che la condotta associativa – sebbene con l’ordinanza del Tribunale di Avellino del 14 aprile 2024 fosse stata ritenuta diversa da quella per la quale era già stata esercitata l’azione penale – fosse sostanzialmente coincidente con quella originariamente contestata ed anche i reati fine fossero rimasti gli stessi e ha di conseguenza giudicato condivisibili le conclusioni del Giudice per le indagini preliminari, che aveva ritenuto che le risultanze emerse nel corso delle indagini del nuovo procedimento fossero in parte comuni a quelle acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Per il Tribunale del riesame trattasi del medesimo procedimento penale e quindi pienamente legittimo sarebbe il nuovo provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari, avendo il Pubblico ministero proposto ricorso per cassazione per abnormità avverso l’ordinanza del 14 aprile 2024 anche nella parte relativa alla revoca delle misure cautelari ed essendo l’impugnazione stata dichiarata inammissibile.
I ricorrenti sostengono, invece, che il decreto di sequestro è stato emesso per un reato associativo che è stato ritenuto con l’ordinanza del Tribunale di Avellino del 14 aprile 2024 diverso da quello originariamente contestato e non poteva essere emesso un secondo provvedimento di sequestro fondato su indizi di un reato diverso da quello che, per effetto del ricorso per cassazione proposto dal Pubblico ministero, era ancora in corso di accertamento dinanzi al Tribunale; il ricorso per cassazione era stato dichiarato inammissibile solo dopo la decisione del Tribunale del riesame. Non potevano essere tenuti in vita due procedimenti per i medesimi fatti e neppure poteva emettersi un nuovo decreto di sequestro prima di conoscere le sorti del provvedimento con il quale in data 14 aprile 2024 era stata disposta la revoca dei precedenti provvedimenti di sequestro, risultando pertanto violato l’art. 649 cod. proc. pen. applicabile anche al procedimento cautelare.
2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 321 e 649 cod. proc. pen., per non avere il Tribunale rilevato che si era formato il giudicato cautelare, atteso che l’ordinanza del 14 aprile 2024 non era stata impugnata nella parte in cui aveva dichiarato l’inefficacia delle pregresse misure cautelari reali, non potendo confondersi l’impugnativa di detta ordinanza per abnormità con quella avverso la dichiarazione di inefficacia, che sarebbe stata appellabile.
2.4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 321
e 324 cod. proc. pen. per avere il Tribunale del riesame ritenuto di riportarsi, per tutto quanto non espressamente motivato, ai pregressi decreti di sequestro emessi nell’ambito del procedimento e già conosciuti dalle parti, oggetto di conferma anche dinanzi al Tribunale del riesame o ormai coperti da giudicato cautelare.
Segnalano che il Giudice per le indagini preliminari, nell’emettere il nuovo decreto di sequestro, ha richiamato per relationem i precedenti decreti senza allegare la documentazione richiamata, in violazione del diritto di difesa, non potendosi operare il controllo sulla corrispondenza tra quanto indicato nel decreto impugnato e i documenti richiamati, ma non allegati.
2.5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 5, 19, 24-ter e 53 d.lgs. n. 231 del 2001 e dell’art. 321 cod. proc. pen.
Sostengono che il decreto di sequestro è nullo per difetto di contestazione nei confronti delle società chiamate a rispondere degli illeciti ai sensi del d.lgs. n 231 del 2001, atteso che a tali società vengono addebitati i medesimi fatti contestati ai singoli indagati, mentre poteva ipotizzarsi una responsabilità delle predette società ai sensi del citato d.lgs. solo laddove si fosse trattato di reat commessi dagli indagati nell’interesse e a vantaggio delle società, secondo quanto previsto dall’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001.
Non facendosi menzione di tale circostanza nei capi di imputazione, i reati neppure potevano essere contestati alle società.
Inoltre, ai fini del sequestro preventivo, secondo l’art. 19 del d.lgs. n. 231 del 2001, era necessario che i beni sequestrati costituissero il prezzo o il profitto dei reati, poiché solo in tali ipotesi poteva procedersi a confisca ai sensi del d.lgs cit.
Nel caso di specie il decreto di sequestro fa riferimento solo all’art. 240-bis cod. pen. ed il Tribunale del riesame può solo modificare la motivazione del decreto di sequestro, non il titolo cautelare.
2.6. Con il sesto motivo la RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 240-bis cod. pen.
Sostiene che è illogica la motivazione non avendo il Tribunale motivato in ordine alla sproporzione tra beni e redditi della società, i quali ultimi sono tut provenienti da fonti lecite; i beni della società non derivano dai fatti contestati nessuna somma provento di estorsione è transitata sui conti intestati alla predetta. Le somme utilizzate per gli acquisti provenivano dal socio NOME COGNOME che a sua volta le aveva ricevute in donazione dai genitori NOME COGNOME e NOME COGNOME i cui redditi erano proporzionati in relazione alle somme donate al figlio.
2.7. Con il settimo motivo la RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione degli
artt. 321 cod. proc. pen. e 240-bis cod. pen. sostenendo che la motivazione del decreto di sequestro non l’ha posta in grado di conoscere le ragioni dell’imposizione del vincolo e di difendersi. Il Giudice per le indagini preliminar non poteva limitarsi ad affermare che i beni erano riconducibili all’indagato NOME COGNOME COGNOME senza valutare la sproporzione tra il valore dei beni ed i redditi dell’indagato.
Sostiene che non essendovi detta sproporzione e non derivando i beni dai reati oggetto di contestazione, non era possibile imporre il vincolo cautelare. Il Tribunale del riesame neppure ha indicato le ragioni per le quali è stato ritenuto che tali beni, sebbene formalmente intestati alla società, fossero nella effettiva disponibilità dell’indagato NOME COGNOME COGNOME In ogni caso i beni sono stati acquistati in buona fede e non possono ritenersi il prodotto o il profitto dei reat per i quali si procede, in quanto gli acquisti risalgono ad un periodo anteriore alla commissione dei reati.
2.8. Con l’ottavo motivo la RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 240-bis cod. pen., sollevando, in relazione ai beni ad essa intestati e colpiti dal decreto di sequestro (ossia il conto corrente), le medesime censure formulate dalle altre due società ricorrenti con il sesto ed il settimo motivo. Si deduce anche che è illegittimo il sequestro del conto corrente intestato a NOME COGNOME in proprio, non essendo questa implicata in alcun reato.
2.9 Con il nono motivo NOME COGNOME lamenta la violazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 240-bis cod. pen. in relazione al sequestro del conto corrente n. 5194 a lui intestato presso la BNL.
Il Tribunale ha affermato che l’associazione criminale è sorta molto tempo fa e che i beni oggetto di sequestro ben potevano essere all’epoca già al servizio del sodalizio criminale al quale suo padre partecipava.
Sostiene che la titolarità dei beni è legittima, in quanto non vi è sproporzione tra le somme depositate sul conto, pari a poco più di euro 20.000,00, ed i suoi redditi, né è dimostrata la loro illecita provenienza o una relazione pertinenziale tra le somme ed i reati per i quali si sta procedendo.
In assenza di alcuna sproporzione o prova di collegamento tra la somma ed i reati contestati, il sequestro non poteva essere disposto o mantenuto. Peraltro, egli neppure è sottoposto ad indagini per quei reati.
Il Tribunale si è limitato ad affermare che tramite le società è stato possibile commettere i reati oggetto di contestazione, mentre la RAGIONE_SOCIALE non è legata ad alcuno dei capi di imputazione ipotizzati nel decreto di sequestro.
Il Tribunale ha pure affermato che NOME COGNOME è figlio di NOME COGNOME COGNOME senza illustrare alcun collegamento tra il denaro sequestrato ed i
capi di imputazione.
Quando la somma venne inizialmente sequestrata in attuazione del decreto di sequestro poi dichiarato inefficace, NOME COGNOME rivestiva la posizione di indagato, ma poi non si è proceduto nei suoi confronti, cosicché la giustificazione del vincolo cautelare è mutata e comunque non sono ravvisabili esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE inammissibili.
Le predette società rivestono, in seno al procedimento penale nel cui ambito è stato emesso il decreto di sequestro, la posizione di enti chiamati a rispondere ai sensi della legge n. 231 del 2001 per taluni dei reati per i quali si procede in questa sede. Difatti sia nell’intestazione del decreto di sequestro, sia alle pagine da 16 a 36 di detto provvedimento, viene espressamente indicata tale loro qualifica e vengono specificati i capi di imputazione provvisoria in relazione ai quali viene ipotizzata la loro responsabilità di ciascuna di esse.
Peraltro, proprio in regione di tale loro qualifica, le predette società hanno posto a base delle loro impugnazioni il quinto motivo di ricorso.
Deve pure segnalarsi che la procura speciale all’avv. NOME COGNOME è stata conferita in rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE da NOME COGNOME e per la RAGIONE_SOCIALE da NOME COGNOME.
NOME COGNOME ed NOME COGNOME COGNOME rivestono anche la posizione di indagati per i medesimi reati in relazione ai quali è stata ipotizzata l responsabilità delle predette società ai sensi della legge n. 231 del 2001.
Deve allora osservarsi che questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di responsabilità da reato degli enti, che il legale rappresentante, indagato o imputato del reato presupposto, non può provvedere alla nomina del difensore dell’ente ex art. 39 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, a causa del conflitto di interessi, da ritenersi presunto iuris et de iure, senza che sia necessario, a tal fine, un concreto accertamento del giudice, che, per l’effetto, non ha un onere motivazionale sul punto (Sez. 2, n. 13003 del 31/01/2024, COGNOME, Rv. 286095 – 01) e che a ragione di tale incompatibilità è inammissibile la richiesta di riesame del sequestro preventivo del compendio aziendale presentata dal legale rappresentante di un ente che sia indagato per il reato presupposto, versando quest’ultimo in una situazione di incompatibilità (Sez. 2, n. 44372 del 13/10/2022, COGNOME, Rv. 284123 – 01).
Non riveste, invece, tale qualità la RAGIONE_SOCIALE
Il primo motivo dei ricorsi della RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME è inammissibile.
I ricorrenti si dolgono dell’omessa valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari, nell’emettere il decreto impugnato in questa sede, degli elementi addotti nel corso del giudizio principale a sostegno dell’insussistenza dei presupposti per procedere a sequestro preventivo ed in particolare in ordine alla legittima provenienza dei beni, che dovrebbe ricavarsi dalle perizie contabili.
I ricorrenti, tuttavia, non chiariscono in cosa consisterebbero tali elementi e perché da essi dovrebbe ricavarsi l’insussistenza dei presupposti del sequestro, cosicché il motivo risulta generico, e, in ultima analisi, dolendosi della mancata valutazione di tali elementi, censurano il provvedimento sotto il profilo della sufficienza motivazionale, cosicché il motivo non è consentito ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
Infondati sono anche il secondo ed il terzo motivo dei ricorsi della RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME da trattarsi unitariamente in quanto strettamente connessi.
Questa Corte di cassazione ha da tempo affermato, in tema di applicazione di misure cautelari reali, che il principio del ne bis in idem è ostativo alla reiterazione della misura medesima solo quando il giudice sia chiamato a riesaminare nel merito quegli stessi elementi che già siano stati ritenuti insussistenti o insufficienti e non anche quando tali elementi non siano stati valutati nel merito dal giudice del riesame. Ne consegue che non sussiste alcuna preclusione alla reiterazione del provvedimento di sequestro preventivo fondato sugli stessi presupposti del precedente, se quest’ultimo sia stato dichiarato inefficace solo per vizio meramente formale (così Sez. 3, n. 37706 del 22/09/2006, Ciuti, Rv. 235249 – 01, che ha precisato specificato che un sopravvenuto mutamento del fatto in eguale modo consente di reiterare una misura cautelare precedentemente annullata per ragioni di merito).
Anche in epoca più recente questa Corte di cassazione ha ribadito che il principio del ne bis in idem comporta l’impossibilità di reiterare un provvedimento solo quando sia intervenuta pronuncia giurisdizionale, non più soggetta ad impugnazione, che abbia escluso la sussistenza delle condizioni per disporlo, e non anche nell’ipotesi di caducazione di un originario provvedimento ablativo per motivi puramente formali (Sez. 2, n. 2276 del 06/10/2015, dep. 2016, Gaeta, Rv. 265772 – 01).
Secondo quanto emerge dagli atti, il Tribunale, con l’ordinanza di restituzione degli atti al Pubblico ministero emessa il 14 aprile 2024, non ha
revocato, per mancanza dei relativi presupposti, i sequestri disposti con i precedenti decreti, ma li ha dichiarati inefficaci esclusivamente in virtù di dett restituzione, cosicché ben poteva essere disposto nuovamente il sequestro preventivo sulla base dei medesimi elementi.
Né, in ogni caso, poteva ritenersi sussistente il «giudicato cautelare», preteso dai ricorrenti nel loro terzo motivo, in conseguenza del rigetto del ricorso proposto dal Pubblico ministero avverso l’ordinanza di restituzione deducendo l’abnormità di questo provvedimento, proprio perché con detta impugnazione, come ammesso dai ricorrenti nello stesso motivo, il rappresentante della pubblica accusa ha inteso dolersi esclusivamente della disposta restituzione, sostenendo che questa determinava una indebita regressione del procedimento, e non del venir meno del vincolo cautelare per effetto della dichiarazione della sua inefficacia. Non vi è stato, quindi, un provvedimento che, dopo l’emissione dei precedenti decreti di sequestro, abbia accertato l’insussistenza dei loro presupposti.
Il quarto motivo dei ricorsi della RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
Le Sezioni Unite hanno affermato che la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1)- faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2)- fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3)- l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664 – 01; Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 274252 – 01).
Nel caso di specie, non rileva, pertanto, la circostanza che i precedenti decreti di sequestro, richiamati nel provvedimento della cui legittimità si discute in questa sede, non siano stati allegati a quest’ultimo e notificati agli odiern ricorrenti, in quanto essi erano già da loro conosciuti, essendo essi stati già loro notificati ed avendone anche subito gli effetti.
Né era necessario che al decreto di sequestro, al momento della sua notifica, fossero allegati anche altri documenti richiamati in detto provvedimento, essendo sufficiente la loro ostensibilità e il Tribunale del riesame ha avuto cura di
evidenziare che essi erano consultabili nel «corposo fascicolo TIAP».
Il quinto motivo è inammissibile, poiché la violazione con esso dedotta può rilevare solo in relazione ai ricorrenti chiamati a rispondere dei fatti oggetto di contestazione ai sensi della legge n. 231 del 2001 – ed i cui ricorsi sono inammissibili per le ragioni anzidette – e e la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME non figurano tra questi. Anche il sesto ed il settimo motivo sono inammissibili, poiché essi riguardano i beni sequestrati alle due società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
L’ottavo motivo di ricorso è inammissibile laddove con l’ottavo motivo ci si duole del sequestro del conto corrente intestato a NOME COGNOME. Deve, infatti, rilevarsi che la procura al difensore dei ricorrenti è stata conferita NOME COGNOME solo quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e non in proprio. Anche al procedimento innanzi al Tribunale del riesame NOME COGNOME ha partecipato esclusivamente quale amministratrice della RAGIONE_SOCIALE
In ogni caso, anche ipotizzando che NOME COGNOME abbia partecipato anche in proprio al procedimento innanzi al Tribunale del riesame ed abbia poi proposto ricorso avverso l’ordinanza impugnata in questa sede, il motivo sarebbe inammissibile per la sua estrema genericità.
L’ottavo motivo di ricorso, laddove la RAGIONE_SOCIALE si duole del sequestro disposto nei propri confronti, e il nono motivo di ricorso sono fondati.
Unico bene intestato alla RAGIONE_SOCIALE ed oggetto di sequestro è il conto corrente n. 1000/7287 presso la Banca Intesa Sanpaolo.
A giustificazione del sequestro si legge nell’ordinanza di convalida del 6 maggio 2024 (a pag. 58) che la RAGIONE_SOCIALE è riconducibile ad NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, figlio di NOME COGNOME COGNOME, ma nella sostanza essa è nel pieno controllo degli indagati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME, che si avvarrebbero di essa quale strumento per realizzare gli scopi dell’associazione mafiosa.
In sostanza, si afferma che la società sarebbe una mera intestataria fittizia del conto corrente in questione che nella realtà sarebbe nella titolarità effettiva dei tre indagati per il delitto associativo.
Nel provvedimento si afferma anche, richiamando i precedenti decreti di sequestro preventivo, che «attraverso gli enti dei quali si chiede il sequestro e attraverso la disponibilità delle somme sì è potuto, dunque, mettere in atto il programma criminoso del sodalizio di cui al capo A) della rubrica e filtrare i passaggi in denaro, sia che venissero da operazioni finanziarie/commerciali
apparentemente lecite sia provenienti da vere e proprie condotte estorsive aggravate ex art. 416-bis.1 c.p. (oltre che di turbata libertà degli incanti) contestate come “reati scopo”».
Ancora, nel decreto si afferma che il sequestro ha anche funzione impeditiva, in quanto volto ad impedire che gli indagati possano commettere, grazie alle disponibilità economiche di cui hanno la disponibilità, anche attraverso il controllo sugli enti suddetti, ulteriori reati di estorsione e di turbata li degli incanti o comunque finalizzati al conseguimento delle finalità del sodalizio mafioso di cui fanno parte.
Appare, tuttavia, fondato il motivo di ricorso della RAGIONE_SOCIALE laddove sostiene che non è stata data risposta alle censure volte a contestare la natura fittizia dell’intestazione, non avendo il Tribunale spiegato le ragioni per le quali conto corrente, sebbene formalmente intestato alla società ricorrente, sarebbe nella disponibilità degli indagati sopra menzionati oppure perché le somme depositate sul conto deriverebbero dai reati ipotizzati.
Analoghe ragioni valgono a far ritenere fondato il nono motivo di ricorso, relativo alla posizione di NOME COGNOME Anche in relazione a quest’ultimo il Tribunale del riesame non ha spiegato le ragioni cautelari alla base del sequestro preventivo e perché le censure formulate sul punto dall’odierno ricorrente non sarebbero fondate.
Peraltro, nel provvedimento qui impugnato si omette di considerare che la posizione di NOME COGNOME è mutata rispetto all’epoca in cui erano stati emessi gli originari decreti di sequestro le cui motivazioni sono richiamate nel nuovo provvedimento cautelare, in quanto NOME COGNOME non riveste più la posizione di indagato, non essendo stato rinviato a giudizio. Ne deriva che non può più porsi a giustificazione del sequestro il pericolo che la disponibilità dei beni sequestrati possa agevolare la reiterazione dei reati da parte dell’odierno ricorrente ed incongruo risulta il mero richiamo della motivazione del provvedimento di sequestro divenuto inefficace.
Nell’ordinanza di convalida del 6 maggio 2024 si fa riferimento (alle pagine da 60 e ss.) pure alla possibilità di confisca dei beni ai sensi dell’art. 12-sexie della legge n. 356 del 1992, disposizione ora sostituita dall’art. 240-bis cod. pen.
Tuttavia, a tale proposito, deve osservarsi che la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all’art. 12-sexies, legge 7 agosto 1992, n. 356, non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato ad un terzo che si assume fittizio interposto della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata, incombendo, in tal caso, sull’accusa l’onere di dimostrare la sproporzione dei beni intestati al terzo rispetto al reddito dichiarato o all’attiv
economica esercitata dallo stesso (Sez. 5, n. 53449 del 16/10/2018, Huang, Rv.
275406; Sez. 1, n. 6137 del 11/12/2013 – dep. 2014, Soriano, Rv. 259308; Sez.
1, n. 44534 del 24/10/2012, COGNOME, Rv. 254699; Sez. 1, n. 27556 del
27/05/2010, COGNOME, Rv. 247722) ed il principio appena richiamato trova applicazione in relazione alla RAGIONE_SOCIALE e a NOME COGNOME che rivestono la
posizione di terzi interessati.
Ne deriva che in relazione ad essi il Tribunale del riesame avrebbe dovuto motivare in ordine al rigetto delle censure volte a contestare la suddetta
sproporzione o comunque ad indicare i diversi elementi a sostegno della effettiva disponibilità dei beni sequestrati in capo agli indagati.
8. Concludendo, l’ordinanza impugnata deve essere annullata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME con rinvio per nuovo esame al Tribunale di
Napoli, mentre devono essere dichiarati inammissibili i ricorsi di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE che devono essere condannate al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato nei confronti di Aprile RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE con rinvio per nuovo esame al Tribunalkdi Dichiara inammissibili i ricorsi di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE c condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/03/2025.