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Sequestro preventivo: la Cassazione sul ne bis in idem

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso complesso di sequestro preventivo per reati associativi. La sentenza affronta due questioni cruciali: l’inammissibilità del ricorso per conflitto d’interessi del legale rappresentante di un ente ex D.Lgs. 231/2001 e l’inapplicabilità del principio del ‘ne bis in idem’ quando una misura cautelare viene annullata per vizi meramente formali. La Corte ha annullato con rinvio il sequestro a carico di una società e di un terzo per carenza di motivazione, sottolineando la necessità di prove concrete sulla fittizia intestazione dei beni.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo e Ne Bis in Idem: I Chiarimenti della Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, interviene su un complesso caso di sequestro preventivo legato a reati di associazione di tipo mafioso, estorsione e turbata libertà degli incanti. La decisione offre importanti spunti di riflessione su temi procedurali di grande rilevanza, come i limiti del principio del ne bis in idem in ambito cautelare e il conflitto di interessi nella difesa degli enti coinvolti ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

I Fatti di Causa: la vicenda del sequestro preventivo reiterato

Il caso trae origine da un’indagine per associazione mafiosa finalizzata al controllo illecito delle aste immobiliari. Il Pubblico Ministero aveva disposto un sequestro preventivo d’urgenza su beni di diverse società e persone fisiche. Successivamente, il Tribunale, riscontrando una diversità tra il reato associativo contestato e quello emerso in dibattimento, aveva restituito gli atti al PM, dichiarando inefficace il vincolo cautelare.

Adeguandosi, il PM modificava l’imputazione ed emetteva un nuovo decreto di sequestro preventivo d’urgenza, prontamente convalidato dal GIP. Contro questa nuova misura, le società e i terzi interessati proponevano ricorso al Tribunale del riesame, che confermava il sequestro. La questione giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

Conflitto di Interessi e Responsabilità degli Enti: Il Caso del sequestro preventivo

La prima questione affrontata dalla Corte riguarda l’ammissibilità dei ricorsi presentati da due delle società coinvolte. La Cassazione li dichiara inammissibili, aderendo a un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il punto nodale è il conflitto di interessi, ritenuto presunto in via assoluta (iuris et de iure), che sorge quando il legale rappresentante della società, indagato per il reato presupposto, nomina il difensore dell’ente stesso nel procedimento ex D.Lgs. 231/2001.

La posizione dell’indagato-rappresentante legale è inconciliabile con quella dell’ente che dovrebbe difendere, poiché le strategie difensive potrebbero divergere. Di conseguenza, la nomina del difensore è invalida e il ricorso presentato inammissibile.

Sequestro Preventivo e Principio del Ne Bis in Idem: l’Analisi della Corte

I ricorrenti ammessi al giudizio lamentavano la violazione del principio del ne bis in idem, sostenendo che non si potesse emettere un nuovo sequestro basato sugli stessi elementi del precedente, dichiarato inefficace. La Corte respinge questa tesi, chiarendo un aspetto fondamentale della procedura cautelare.

Il principio del ne bis in idem (o, nel contesto cautelare, il ‘giudicato cautelare’) impedisce la reiterazione di un provvedimento solo quando la prima misura è stata revocata a seguito di una valutazione di merito che ha accertato l’insussistenza dei presupposti (es. mancanza di gravi indizi). Nel caso di specie, invece, il primo sequestro era divenuto inefficace per una ragione puramente formale: la restituzione degli atti al PM da parte del Tribunale. Non essendoci stata alcuna valutazione negativa nel merito, era pienamente legittima l’emissione di una nuova misura cautelare basata sui medesimi elementi.

L’Obbligo di Motivazione Specifica nel Sequestro Preventivo

Nonostante il rigetto delle censure procedurali, la Cassazione accoglie i ricorsi di una società e del figlio di uno degli indagati principali, annullando il sequestro nei loro confronti. Il motivo risiede nella carenza di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame.

Secondo la Corte, il Tribunale non ha adeguatamente spiegato perché il conto corrente, formalmente intestato alla società, dovesse considerarsi nella reale disponibilità degli indagati o perché le somme depositate provenissero da attività illecite. Limitarsi a definire la società come un mero schermo senza fornire elementi concreti a supporto non è sufficiente.

Analogamente, per il terzo, la cui posizione era mutata in quanto non più sottoposto a indagini, il Tribunale ha omesso di considerare questo cambiamento e non ha giustificato il sequestro. La Corte sottolinea che, per applicare la confisca per sproporzione (art. 240-bis c.p.) a beni intestati a terzi, l’accusa ha l’onere di dimostrare la sproporzione tra i beni e i redditi del terzo o la natura fittizia dell’intestazione, non potendo basarsi sul solo rapporto di parentela con l’indagato.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su principi procedurali chiari. Ha distinto nettamente tra la caducazione di una misura cautelare per vizi formali e quella per ragioni di merito, escludendo l’applicazione del ne bis in idem nel primo caso. Ha inoltre ribadito la rigidità della regola sul conflitto di interessi nella difesa degli enti ex D.Lgs. 231/2001. Infine, ha censurato la motivazione del Tribunale del riesame, riaffermando che il sequestro, specialmente quando colpisce terzi, richiede un apparato argomentativo solido e specifico, non basato su mere presunzioni o affermazioni generiche.

Le conclusioni

La sentenza offre due importanti indicazioni pratiche. In primo luogo, conferma che la difesa tecnica dell’ente nel procedimento ex D.Lgs. 231/2001 deve essere nettamente distinta da quella della persona fisica indagata, per evitare l’insorgere di insanabili conflitti di interesse. In secondo luogo, ribadisce che l’autorità giudiziaria, nel disporre misure invasive come il sequestro preventivo, ha l’onere di fornire una motivazione puntuale e dettagliata, soprattutto quando il vincolo reale incide su patrimoni di soggetti terzi al reato, per i quali non può valere alcuna presunzione di illecita provenienza basata su semplici legami familiari.

È possibile emettere un nuovo sequestro preventivo dopo che il primo è stato dichiarato inefficace?
Sì, la Corte di Cassazione ha chiarito che è possibile se la prima misura cautelare è stata dichiarata inefficace per ragioni puramente formali (come la restituzione degli atti al Pubblico Ministero) e non a seguito di una valutazione nel merito che abbia escluso la sussistenza dei suoi presupposti.

Il legale rappresentante di una società, indagato per il reato presupposto, può nominare un difensore per la società stessa nel procedimento ex D.Lgs. 231/2001?
No. La sentenza conferma che in questo caso sussiste un conflitto di interessi presunto e insanabile (iuris et de iure). Pertanto, la nomina del difensore effettuata dal legale rappresentante indagato è invalida e l’eventuale impugnazione presentata è inammissibile.

Per sequestrare i beni di un terzo estraneo alle indagini è sufficiente il suo legame di parentela con l’indagato principale?
No, non è sufficiente. La Corte ha stabilito che il provvedimento di sequestro deve contenere una motivazione specifica e rafforzata, che dimostri concretamente la natura fittizia dell’intestazione del bene al terzo oppure il collegamento diretto tra il bene e i reati contestati. Il solo rapporto familiare non basta a giustificare la misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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