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Sequestro preventivo: la Cassazione sui requisiti

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di sequestro preventivo, respingendo i ricorsi di due amministratori di società. La sentenza chiarisce i criteri per determinare la competenza territoriale in caso di reati connessi e ribadisce che il ‘periculum in mora’ può essere desunto da elementi oggettivi (l’entità del profitto) e soggettivi (condotte che suggeriscono un rischio di dispersione dei beni). La Corte ha inoltre dichiarato inammissibile un motivo di ricorso in quanto non precedentemente sollevato, applicando il principio del divieto di ‘novum’ anche alle impugnazioni cautelari reali.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo: la Cassazione sui Requisiti di Competenza e Urgenza

Il sequestro preventivo è uno strumento cruciale nel processo penale, finalizzato a congelare i beni ritenuti profitto di un reato in attesa della sentenza definitiva. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 10409/2025, offre importanti chiarimenti sui presupposti per la sua applicazione, in particolare riguardo alla competenza territoriale e al requisito del ‘periculum in mora’. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici.

Il Caso in Esame: Sequestro per Reati Tributari e Autoriciclaggio

Il Tribunale di Pavia, in funzione di giudice del riesame, confermava un decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. a carico di due persone, amministratori di diverse società, e delle società stesse. Il sequestro era finalizzato alla confisca, sia diretta che per equivalente, di ingenti somme di denaro, considerate il profitto di reati tributari (come l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti) e di autoriciclaggio.

Gli indagati, tramite i loro difensori, proponevano ricorso per Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui:
1. Incompetenza territoriale del Tribunale di Pavia, sostenendo che i reati fossero stati commessi in provincia di Milano.
2. Carenza del ‘fumus commissi delicti’, ossia della prova minima del reato, lamentando che l’accusa si basasse solo su informative di polizia giudiziaria senza aver acquisito le fatture contestate.
3. Insussistenza del ‘periculum in mora’, ovvero del pericolo concreto che i beni potessero essere dispersi nel tempo necessario ad arrivare a una sentenza.
4. Nullità della motivazione riguardo al ruolo di amministratore di fatto attribuito a una delle ricorrenti.

La Questione della Competenza Territoriale nel Sequestro Preventivo

Uno dei punti centrali del ricorso riguardava la competenza territoriale. I ricorrenti sostenevano che, essendo i reati di dichiarazione fraudolenta e autoriciclaggio commessi a Corsico (MI), la competenza spettasse al Tribunale di Milano. Il Tribunale di Pavia, invece, aveva affermato la propria competenza sulla base della connessione con un reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, considerato più grave e radicato nel proprio territorio.

La Cassazione ha rigettato questa doglianza, ritenendola manifestamente infondata. I giudici hanno richiamato il principio della connessione teleologica, secondo cui non è necessaria l’identità tra gli autori del ‘reato-mezzo’ e del ‘reato-fine’ per spostare la competenza. È sufficiente che l’autore del primo reato abbia agito con l’obiettivo di commettere o occultare il secondo. In questo caso, il G.I.P. aveva logicamente individuato una finalizzazione unitaria dei profitti illeciti, trasferiti tra le varie società per l’acquisto di beni immobili. Poiché il reato di emissione di fatture (art. 8 D.Lgs. 74/2000) precede logicamente e cronologicamente il loro utilizzo in dichiarazione (art. 2 D.Lgs. 74/2000), la competenza si radica nel luogo di commissione del primo, cioè Pavia.

Il Divieto di ‘Novum’ e il Ruolo di Amministratore di Fatto

Un’altra questione interessante riguarda il motivo di ricorso sollevato da una delle indagate, la quale contestava la mancanza di prove sul suo ruolo di amministratore di fatto. La Corte ha dichiarato questo motivo inammissibile perché nuovo. I giudici hanno sottolineato che, nel giudizio di riesame, la parte ha l’onere di articolare specifici motivi. Se una questione non viene sollevata in quella sede, non può essere dedotta per la prima volta in Cassazione. Questo principio, noto come divieto di ‘novum’, si applica pienamente anche alle impugnazioni in materia di misure cautelari reali come il sequestro preventivo.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, dichiarandoli inammissibili e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Le motivazioni della decisione si fondano su principi consolidati.

In primo luogo, per quanto riguarda il ‘fumus commissi delicti’, la Corte ha chiarito che il compendio indiziario non si basava solo su informative, ma anche sulla consultazione delle banche dati dell’Agenzia delle Entrate. Tali dati, che dimostravano la confluenza delle fatture nelle dichiarazioni IVA e le anomalie nel regime di sospensione d’imposta, sono stati considerati ‘dati reali’ e sufficienti in questa fase cautelare, in base al principio di atipicità dei mezzi di prova nel processo penale.

In secondo luogo, e con particolare rilevanza, la Corte ha affrontato il ‘periculum in mora’. Ha confermato che la sussistenza di questo requisito può essere desunta alternativamente da elementi oggettivi e soggettivi. Nel caso di specie, erano presenti entrambi:
* Elemento oggettivo: la rilevante entità del profitto illecito da sequestrare (centinaia di migliaia di euro per ciascun indagato e società).
* Elementi soggettivi: le condotte degli indagati, come l’abbandono di società ‘cartiere’ con ingenti debiti tributari, le anomale movimentazioni di denaro dai conti societari verso conti personali o di terzi (seguite da prelievi in contanti), e il reinvestimento dei profitti nell’acquisto di immobili.

Questi elementi, secondo la Corte, rendono la motivazione del Tribunale non apparente, ma concreta e reale, dimostrando un attuale pericolo di dispersione patrimoniale che giustifica l’anticipazione degli effetti della confisca tramite il sequestro preventivo.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce alcuni capisaldi in materia di misure cautelari reali. In primo luogo, conferma che la competenza per territorio in caso di reati connessi si determina in base al reato più grave, e che in ambito tributario il momento dell’emissione della fattura fittizia prevale su quello del suo successivo utilizzo. In secondo luogo, rafforza il principio del divieto di presentare motivi nuovi in Cassazione, anche nei procedimenti cautelari. Infine, offre una chiara guida su come motivare il ‘periculum in mora’: non è necessaria una prova di specifici atti di disposizione imminenti, ma è sufficiente un quadro complessivo (basato sull’entità del profitto e sulle condotte passate) che renda fondato il timore di un depauperamento del patrimonio aggredibile.

Come si determina la competenza territoriale in caso di reati tributari connessi e commessi in luoghi diversi?
La competenza si radica presso il giudice del luogo in cui è stato commesso il reato più grave. In caso di reati di pari gravità, come l’emissione (art. 8 D.Lgs. 74/2000) e la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false (art. 2 D.Lgs. 74/2000), la competenza è determinata dal reato commesso per primo, ovvero quello di emissione, in quanto ne precede l’utilizzo.

È possibile sollevare per la prima volta in Cassazione un motivo di ricorso contro un sequestro preventivo?
No. La Corte ha ribadito che vige il divieto di ‘novum’, ovvero di introdurre nuove questioni non sollevate nel precedente grado di giudizio (il riesame). La parte che impugna una misura cautelare reale deve articolare tutti i suoi motivi davanti al Tribunale del riesame, pena l’inammissibilità delle questioni nuove in Cassazione.

Quali elementi giustificano il ‘periculum in mora’ in un sequestro preventivo finalizzato alla confisca?
Il pericolo può essere desunto sia da elementi oggettivi, come la consistenza quantitativa del profitto da confiscare, sia da elementi soggettivi, come il comportamento dell’indagato. Condotte quali movimentazioni anomale di denaro, prelievi in contanti, abbandono di società ‘cartiere’ e reinvestimento di profitti illeciti sono sufficienti a dimostrare un rischio concreto di dispersione del patrimonio, giustificando l’urgenza della misura cautelare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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