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Sequestro preventivo: la Cassazione sui limiti

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso contro un sequestro preventivo di oltre 92.000 euro disposto per frode fiscale. La sentenza chiarisce che la contestazione sulla provenienza del denaro sequestrato va sollevata in fase esecutiva tramite istanza di restituzione, non con il riesame dell’ordine di sequestro. Il rischio di dispersione dei beni è stato confermato sulla base dei precedenti dell’indagato e della debolezza finanziaria della società.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo per Reati Tributari: Chiarimenti dalla Cassazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla corretta procedura da seguire per contestare un sequestro preventivo disposto per reati fiscali. Il caso analizzato riguarda una società accusata di frode fiscale mediante l’uso di fatture false, a cui è stato sequestrato un importo pari all’imposta evasa. La decisione si sofferma sulla distinzione fondamentale tra l’impugnazione del provvedimento di sequestro e la contestazione dei beni specifici appresi in fase di esecuzione.

I Fatti del Caso: L’Accusa di Frode Fiscale

Il procedimento ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Parma che confermava un sequestro preventivo finalizzato alla confisca di circa 93.000 euro. La misura era stata disposta nei confronti di una società a responsabilità limitata, il cui legale rappresentante era indagato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti.

Secondo l’accusa, la società aveva utilizzato fatture false emesse da tre diverse ditte per un ammontare complessivo di oltre 200.000 euro nell’anno d’imposta 2018. Questa condotta avrebbe permesso un’indebita detrazione IVA e un’evasione IRES per un importo totale corrispondente alla somma sequestrata.

I Motivi del Ricorso: Contestazioni su Confisca e Periculum

La difesa della società ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:

1. Violazione di legge sull’ammissibilità del sequestro: Si sosteneva che la confisca diretta di somme di denaro non fosse possibile quando queste non derivano direttamente dal reato, come nel caso di fondi depositati sul conto corrente in un momento successivo alla commissione dell’illecito. Inoltre, si affermava l’insussistenza del reato stesso, poiché le operazioni fatturate erano state, a dire della difesa, regolarmente eseguite e pagate.
2. Mancanza del periculum in mora: La difesa riteneva che la motivazione sul rischio di dispersione del patrimonio fosse debole e basata solo su precedenti dell’indagato, senza considerare la solvibilità sia della persona fisica che della società.

Il Sequestro Preventivo e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in ogni sua parte, e ha fornito precisazioni cruciali sulla corretta applicazione delle misure cautelari reali.

La Sostanza del Reato (Fumus Commissi Delicti)

In primo luogo, la Corte ha giudicato generiche le contestazioni sulla sussistenza del reato. Il Tribunale aveva infatti fornito prove solide sulla natura fittizia delle fatture: una delle società emittenti era stata dichiarata fallita mesi prima dell’emissione dei documenti, un’altra aveva cessato la propria operatività e la terza era una nota “società cartiera” già coinvolta in altri procedimenti penali. Di fronte a questi elementi, le affermazioni della difesa sono state ritenute prive di adeguato supporto probatorio.

La Questione Procedurale sulla Confisca Diretta

Il punto centrale della sentenza riguarda la procedura per contestare i beni oggetto di sequestro. La Corte ha chiarito che il ricorso per riesame è lo strumento per contestare la legittimità del provvedimento di sequestro in sé (an), ma non per mettere in discussione la specifica provenienza dei beni materialmente appresi in fase esecutiva (quid).

Nel caso di specie, l’ordine del giudice era di sequestrare una somma di denaro. L’individuazione e l’apprensione fisica del denaro dal conto corrente della società sono avvenute in fase di esecuzione. La Corte ha stabilito che la questione se quel denaro specifico costituisca o meno il profitto diretto del reato non può essere decisa in sede di riesame. L’interessato che voglia dimostrare la legittima provenienza dei fondi sequestrati deve utilizzare un altro strumento: l’istanza di restituzione al Pubblico Ministero, come previsto dal codice di procedura penale.

La Valutazione del Periculum in Mora

Infine, la Corte ha ritenuto pienamente legittima la valutazione del periculum in mora. I giudici di merito avevano correttamente valorizzato sia elementi soggettivi che oggettivi.

* Profilo soggettivo: L’amministratore della società era stato recentemente condannato, sebbene non in via definitiva, per reati tributari analoghi, dimostrando una propensione a pratiche di frode fiscale svolte in modo professionale.
* Profilo oggettivo: La società presentava una struttura finanziaria debole, con un capitale sociale irrisorio (900 euro) e un ultimo bilancio depositato risalente a molti anni prima, a fronte di un profitto illecito considerevole. Questi fattori rendevano concreto e attuale il rischio di dispersione delle garanzie patrimoniali.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso basandosi su una chiara distinzione procedurale. Ha stabilito che l’appello contro un sequestro preventivo (riesame) serve a verificare la legittimità dell’ordine stesso, ovvero la sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora. La contestazione specifica relativa all’origine dei beni sequestrati, come il denaro su un conto corrente, deve invece essere affrontata nella fase esecutiva tramite un’istanza di restituzione. La Corte ha inoltre confermato che il periculum in mora era stato correttamente motivato, considerando sia la storia criminale dell’imputato (elemento soggettivo) sia la precarietà finanziaria della società (elemento oggettivo), che insieme creavano un fondato timore di dispersione del patrimonio.

le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di misure cautelari reali: la sede per contestare la pertinenza dei singoli beni sequestrati non è il riesame, ma l’istanza di restituzione. Per le aziende e gli imprenditori, ciò significa che, per ottenere la liberazione di fondi ritenuti estranei al reato, è necessario attivare uno specifico procedimento successivo al sequestro, fornendo prove concrete della loro legittima provenienza. Inoltre, la decisione sottolinea come la valutazione del rischio di dispersione del patrimonio non sia astratta, ma si basi su elementi concreti legati sia alla condotta passata dell’indagato sia alla situazione patrimoniale e finanziaria della società coinvolta.

È possibile contestare un sequestro preventivo sostenendo che il denaro sequestrato sul conto corrente non è il profitto diretto del reato?
Sì, ma non attraverso l’appello (riesame) contro l’ordinanza di sequestro. Secondo la Corte, questa specifica contestazione riguarda la fase di esecuzione del sequestro e deve essere sollevata con un’istanza di restituzione al Pubblico Ministero.

Quali elementi possono giustificare il ‘periculum in mora’ (rischio di dispersione dei beni) in un sequestro preventivo per reati fiscali?
La sentenza conferma che il rischio può essere desunto sia da elementi soggettivi, come precedenti condanne dell’imputato per reati simili che indicano una ‘propensione a pratiche di frode fiscale’, sia da elementi oggettivi, come la debolezza patrimoniale della società (es. capitale sociale minimo, bilanci non aggiornati) rispetto all’entità del profitto illecito.

Cosa significa ‘fumus commissi delicti’ in un caso di frode fiscale?
Significa che devono esistere elementi concreti e sufficienti a rendere plausibile l’accusa di reato. Nel caso di specie, il ‘fumus’ era supportato dal fatto che le fatture provenivano da società già fallite, inattive o note come ‘cartiere’, rendendo altamente probabile la loro natura fittizia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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