Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19717 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19717 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trani avverso l’ordinanza emessa il 23/09/2024 dal Tribunale di Trani nel procediment confronti della società RAGIONE_SOCIALE
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito l’avv. NOME COGNOME difensore della società, che ha concluso chiedendo il del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Il Tribunale di Trani ha rigettato l’appello del Pubblico mistero av provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribuna aveva accolto la domanda di sequestro preventivo impeditivo proposta nei rig della società RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE di cui sono soci NOME e NOME NOME, indagati in relazione al reato di cui all’art. 40, c lett. c), e 45 d. I.vo n. 504 del 26.10.1995 per avere destinato ad uso privato, di se stessi e di altri soggetti, quantitativi di carburante agricolo ad aliquot
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sversandolo all’interno delle autovetture oppure cedendolo per uso diverso dall’uso agricolo.
Dal provvedimento impugnato emerge che il procedimento ha ad oggetto anche plurimi reati di corruzione propria contestati a NOME NOME e NOME, in concorso con appartenenti delle forze dell’ordine, beneficiari del carburante agricolo.
Il Tribunale ha rigettato l’appello recependo le argomentazioni del Giudice per le indagini preliminari che aveva evidenziato come, da una parte, l’art. 44 del d. Igs. 504 del 1995 preveda la confisca dei prodotti, delle materie prime e dei mezzi utilizzati per commettere le violazione e non anche il sequestro dell’azienda e, dall’altra, che per il reato di corruzione è prevista solo la confisca del prezzo e del profitto del reato e non anche dell’azienda.
Il Tribunale ha altresì condiviso l’assunto del Giudice per le indagini preliminar secondo cui in relazione alla società non fossero sussistenti esigenze cautelari in quanto, inibendo a NOME NOME e NOME NOME – destinatari di misure cautelari personali – di proseguire ad impartire ordini ed avere rapporti con i soggetti corrotti, sarebb stata resa impossibile la reiterazione di condotte illecite.
Secondo il Tribunale, ancora, non sarebbe stato nemmeno chiaro l’oggetto della originaria domanda cautelare, se cioè, la domanda riguardasse i beni aziendali ovvero direttamente la società: nel primo caso- sequestro di beni- non sarebbe stata considerata la alterità soggettiva della società, non indagata, rispetto ai soci, e mancata indicazione dei beni da sottoporre a sequestro; nel secondo caso- sequestro della società – non vi sarebbero specifiche contestazioni ai sensi del d. Igs n. 231 del 2001.
2. Ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica.
Le prime ventisette pagine del ricorso sono riproduttive delle imputazioni provvisorie al fine di comprovare come, diversamente dagli assunti del Tribunale, anche l’ente è soggetto indagato nel presente procedimento.
Unico è il motivo proposto con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Si assume che “nel momento in cui il Tribunale rigettava l’appello”, il Giudice per le indagini preliminari aveva a sua volta revocato le misure cautelari personali e, dunque, in concreto, si sarebbe dovuto tenere conto, quanto al pericolo di reiterazione, della influenza anche occulta degli amministratori nelle scelte societarie, in considerazione del fatto che la figlia dell’accomandatario aveva continuato ad esercitare attività d impresa anche nel periodo in cui il padre era agli arresti domiciliari; né assumerebbe rilievo la circostanza che i pubblici ufficiali fossero interdetti in quel periodo, avend Corte di cassazione chiarito che, in presenza di determinate condizioni, il pericolo di recidiva sussiste anche nei confronti di soggetti interdetti.
Si aggiunge che il pericolo di recidiva, in relazione al sequestro impeditivo, non può essere escluso per essere l’indagato sottoposto ad altra misura, attesa l’autonomia dei titoli e che anche l’argomento della diversità soggettiva tra società e persone fisiche sarebbe nella specie privo di rilevante valenza, non avendo la società in accomandita semplice soggettività autonoma.
È pervenuta una memoria nell’interesse della società con cui si chiede il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato per più ragioni.
La prima è che, come correttamente osservato già dal Tribunale, il Procuratore ricorrente non ha affatto chiarito quale sarebbe l’imputazione provvisoria nei riguardi dell’ente e quindi quale sarebbe il fumus dell’illecito dell’ente rispetto al quale la domanda cautelare deve essere valutata.
Sotto altro profilo, la questione attiene alla ammissibilità del sequestro preventivo impeditivo nei confronti dell’ente indagato ai sensi del d. Igs n. 231 del 2001.
3.1. Secondo Sez 2, n. 34293 del 10/07/2018, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 273514 è ammissibile il sequestro “impeditivo” di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., non essendovi totale sovrapposizione, e quindi incompatibilità logico giuridica, tra il suddetto sequestr e le misure interdittive.
Nell’occasione la Corte ha precisato che mentre la misura interdittiva paralizza l’uso del bene criminogeno solo in modo indiretto e temporaneo, il sequestro e la successiva confisca “colpirebbero” direttamente il bene, eliminando in tal modo il pericolo che il bene possa essere destinato a commettere altri reati.
In particolare, il sequestro impeditivo avrebbe una selettività diversa rispetto all misura interdittiva, perché, se è vero che l’interdizione dell’esercizio dell’attività paralizzare anche l’utilizzo delle cose “criminogene”, è anche vero che nulla vieta all’ente di continuare a disporre di quei beni: “una cosa, infatti, è la paralisi dell’attività dell (al fine di impedirgli di continuare a trarre profitto dal reato), ben altra cosa è il b di singoli e ben determinati beni che, ove non sequestrati, ben potrebbero continuare ad esplicare la loro carica crinninogena ad es. perché utilizzati dall’ente in altri r dell’attività non colpita dall’interdittiva o perchè, addirittura, ceduti a ter continuino ad utilizzarli”
3.3. Si tratta di una impostazione non condivisibile.
La dottrina ha da sempre ritenuto che il sequestro preventivo applicabile nei confronti delle società – e la cui disciplina è dettata dall’art. 53 d.lgs. n. 231 – sia, nonostan comune denominazione, assolutamente diverso per finalità, ambito di applicazione e regolamentazione dall’omologa misura cautelare disciplinata dal codice di procedura penale.
Infatti, il citato art. 53 prevede che oggetto del provvedimento cautelare in esame possano essere solo le cose di cui è consentita la confisca e cioè, secondo quanto dispone l’art. 19 dello stesso d.Ig. n. 231, il solo prezzo o profitto del reato ovvero, quando no sia possibile eseguire la confisca delle cose anzidette, somme di denaro, beni ed altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto anzidetti.
In tale contesto si è tradizionalmente evidenziato come l’art. 53 cit. preveda che si osservino, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli artt. 321, commi 3 e 3-bis, ter, 322- bis e 323 cod. proc. pen., senza fare nessun riferimento all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., il quale, come è noto, disciplina, nell’ambito del processo penale verso le persone fisiche, il cosiddetto sequestro preventivo impeditivo.
La circostanza che l’art. 53 citato non preveda espressamente la possibilità che nel procedimento nei confronti di un ente collettivo possano essere sottoposte a sequestro cose pertinenti al reato la cui libera disponibilità possa aggravare o protrarre l conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, unitamente al mancato richiamo, da parte dello stesso art. 53, della disposizione di cui al comma primo dell’art. 321 cod. proc. pen. (che delle predette cose “pericolose” regolamenta il sequestro) hanno da sempre fatto ritenere che il cd. sequestro impeditivo non possa essere disposto nei confronti di una società ai sensi del d. Igs. n. 231 del 2001.
D’altronde, nell’ambito del sistema processuale e sanzionatorio di cui al dig. n. 231 del 2001 non pare agevole configurare l’utilità di un ricorso alla misura cautelare ex art. 321, comma 1, cod. proc. pen., essendovi «una sovrapposizione … tra sequestro preventivo puro (o cd. “impeditivo”) e la più grave delle misure cautelari previste dalla legge in esame, l’interdizione dall’attività, atteso che posto che tra i beni che possono essere oggetto di sequestro preventivo v’è, come nel caso di specie, anche l’azienda, attraverso il sequestro preventivo dell’azienda si conseguirebbe il medesimo effetto di un’interdizione totale dell’attività dell’ente, ciò senza limiti temporali particolari (s quelli della conclusione del procedimento) e superando tutti gli ulteriori limiti previ per l’applicazione della misura cautelare interdittiva»
Il contrasto fra la soluzione adottata dalla pronuncia in precedenza indicata e la formula lessicale dell’art. 53 d.lgs. n. 231 del 2001 è particolarmente significativo se s considera quanto è scritto nella Relazione Ministeriale al d.Ig. n. 231 del 2001, la quale al § 17 – dedicato alle misure cautelari – recita: «discorso a sé stante meritano, infine le previsioni di cui agli artt. 53 e 54. Queste introducono due ipotesi di cautele autonome
rispetto all’apparato di misure interdittive irrogabile alle persone giuridiche. Per quan non espressamente previsto dalla legge delega, si è ravvisata la necessità di disciplinare
le ipotesi di sequestro preventivo a scopo di confisca e del sequestro conservativo, posto che la loro operatività in ragione del generale rinvio alle regole processual
ordinariamente vigenti – questo espressamente previsto dalla delega – non si sarebbe potuta mettere seriamente in discussione in ragione di una incompatibilità con le
sanzioni interdittive irrogabili nei confronti delle persone giuridiche, in realtà
ravvisabile se non in relazione al sequestro preventivo in senso proprio, che pertanto è
da ritenersi ipotesi non applicabile nella specie. Da qui la disciplina sopra richiamata che consente il sequestro preventivo in funzione di confisca con conseguente richiamo di
parte della disciplina codicistica»
Dunque, il legislatore del 2001 non solo non ha lasciato alcun dubbio circa l’esclusione del sequestro preventivo di cui al comma primo dell’art. 321 cod. proc. pen. dal novero
delle misure cautelari adottabili nei confronti degli enti collettivi, ma ha anche dato cont delle ragioni che fondano e giustificano tale scelta, attraverso un chiaro dato testuale,
di cui è obbligatorio tenere conto.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 12 febbraio 2025.