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Sequestro preventivo: il rischio non è automatico

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di sequestro preventivo per oltre 2 milioni di euro a carico di una consulente accusata di distrazione di fondi societari. La Suprema Corte ha stabilito che, per giustificare un sequestro preventivo, non è sufficiente la mera natura fungibile del denaro. È necessario dimostrare un pericolo concreto e attuale di dispersione dei beni, basato su elementi specifici e non su un automatismo. La Corte ha inoltre ribadito che l’onere di provare la provenienza illecita delle somme spetta all’accusa, non alla difesa.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo: Il Denaro Non Basta a Provare il Rischio di Fuga

Una recente sentenza della Corte di Cassazione interviene con decisione su un tema cruciale della procedura penale: i presupposti per l’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Con la sentenza n. 18361 del 2025, la Suprema Corte ha annullato un’ordinanza di sequestro per oltre due milioni di euro, ribadendo un principio fondamentale: la natura fungibile del denaro, da sola, non è sufficiente a dimostrare l’esistenza del periculum in mora, ovvero il concreto rischio di dispersione del bene.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’indagine per reati fallimentari a carico di una società. Una professionista, consulente della società fallita, veniva accusata di aver distratto, in concorso con il coniuge, ingenti somme di denaro attraverso vari stratagemmi: contratti di consulenza rinnovati ingiustificatamente con compensi maggiorati, fatturazione per prestazioni fittizie e un accordo transattivo ritenuto sospetto.

Sulla base di queste accuse, il Giudice per le Indagini Preliminari emetteva un decreto di sequestro preventivo per un importo complessivo di circa 2,3 milioni di euro, eseguito su conti correnti intestati alla professionista. La misura veniva confermata dal Tribunale del Riesame, spingendo la difesa della ricorrente a presentare ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso

La difesa ha articolato il ricorso su quattro motivi principali:
1. Incompetenza funzionale: si sosteneva che il GIP non fosse più competente a disporre il sequestro, essendo già iniziata la fase dibattimentale.
2. Assenza del periculum in mora: la difesa evidenziava come la ricorrente, pur essendo da anni sotto indagine, non avesse mai tentato di occultare le proprie disponibilità finanziarie, rendendo illogica la presunzione di un pericolo di dispersione.
3. Mancanza del nesso di pertinenzialità: si contestava che l’accusa avesse dimostrato che le somme sequestrate fossero effettivamente il provento dei presunti illeciti, a fronte degli ingenti redditi leciti derivanti dall’attività professionale della ricorrente.
4. Violazione del principio di proporzionalità: si lamentava che il sequestro non avesse tenuto conto della parte di compenso legittimamente dovuta e delle somme già versate all’erario.

La Decisione della Corte sul Sequestro Preventivo e le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto manifestamente infondato il primo motivo, chiarendo che la competenza del GIP a emettere misure cautelari reali cessa solo con l’effettiva trasmissione del fascicolo al giudice del dibattimento, un adempimento materiale della cancelleria.

Tuttavia, la Corte ha accolto il secondo e il terzo motivo, assorbendo il quarto, ritenendoli fondati. La motivazione dell’ordinanza impugnata è stata giudicata “meramente apparente” per quanto riguarda la sussistenza del periculum in mora.

Il Principio sul Periculum in Mora

Richiamando la fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite “Ellade” (n. 36959/2021), la Corte ha ribadito che il provvedimento di sequestro preventivo deve contenere una motivazione specifica sulle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione degli effetti della confisca. Non è sufficiente affermare, in modo tautologico, che il denaro è un bene “di facile occultamento”.

La giurisprudenza ha escluso ogni automatismo: per giustificare il sequestro, devono sussistere concreti indici ulteriori che facciano temere un effettivo tentativo di occultamento. Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame aveva completamente omesso di valutare le circostanze dedotte dalla difesa, come il lungo tempo trascorso dai fatti e l’assenza di qualsiasi comportamento volto a nascondere il patrimonio.

L’Onere della Prova

La Corte ha inoltre censurato l’inversione dell’onere della prova operata dal Tribunale del Riesame. Quest’ultimo aveva implicitamente posto a carico della ricorrente l’onere di dimostrare la provenienza lecita dei suoi redditi. La Cassazione ha riaffermato con forza il principio secondo cui spetta alla pubblica accusa, che richiede la misura, fornire la prova del nesso tra le somme da sequestrare e il reato contestato. Ciò è particolarmente vero quando, come nel caso in esame, la difesa fornisce puntuali allegazioni sull’esistenza di fonti di reddito alternative e lecite.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante richiamo ai principi di garanzia che governano le misure cautelari reali. Si stabilisce che il sequestro preventivo non può essere una misura automatica basata sulla sola natura del bene (denaro). Il giudice deve sempre compiere una valutazione concreta e specifica del pericolo di dispersione, fondandola su elementi di fatto e non su presunzioni astratte. Inoltre, viene riaffermato un caposaldo del diritto processuale: l’onere della prova grava sempre sull’accusa, che deve dimostrare non solo il fumus commissi delicti (la probabilità del reato), ma anche il legame tra il bene e il crimine e il pericolo concreto che giustifica l’apposizione del vincolo.

Quando è legittimo un sequestro preventivo su una somma di denaro?
Non è sufficiente affermare che il denaro è un bene facilmente occultabile. La legittimità del sequestro richiede che il giudice motivi in modo specifico, basandosi su indici concreti e attuali, l’esistenza di un effettivo pericolo che le somme possano essere disperse o nascoste prima della conclusione del processo.

Chi deve provare che il denaro sequestrato è di provenienza illecita?
L’onere di provare la provenienza illecita delle somme e il loro legame con il reato contestato spetta sempre alla parte che richiede il sequestro, ovvero la Procura. Non spetta all’indagato dimostrare la provenienza lecita dei propri beni, specialmente se fornisce allegazioni sull’esistenza di fonti di reddito legittime.

Fino a quando il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) è competente a disporre un sequestro?
La competenza del GIP a disporre un sequestro preventivo si protrae anche dopo l’emissione del decreto di rinvio a giudizio. Cessa solo nel momento in cui il fascicolo processuale viene materialmente ricevuto e preso in carico dal giudice del dibattimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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