Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18361 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18361 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MILANO il 16/05/1966
avverso l’ordinanza del 27/12/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore della ricorrente, avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME il quale insiste per l’accoglimento del ricorso;
o
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del Riesame di Milano rigettava la richiesta di riesame della ricorrente contro il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale dell’importo complessivo di euro 2.344.692,92 giacente su conti intestati alla stessa presso gli istituti di credito Mediobanca Premier e Banca Popolare di Sondrio.
La misura è stata pronunciata in relazione a due capi di imputazione provvisori relativi ad assunte condotte delittuose correlate al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, la ricorrente, commercialista e consulente della società fallita, nel periodo dal 2012 al 2016, avrebbe distratto, in concorso con il coniuge, la somma di euro 1.846.668,92, erogata in forza di plurimi contratti di consulenza, rinnovati prima della scadenza dei termini senza giustificazione, con un aumento ingiustificato di compensi e la fatturazione di prestazioni extracontrattuali fittizie ovvero eseguite nei confronti di terzi e non della RAGIONE_SOCIALE.p.a.
Inoltre, in conformità al capo 6) della rubrica provvisoria, la COGNOME avrebbe distratto la somma complessiva di euro 498.004,00 grazie ad una delibera assunta dal consiglio di amministrazione e ad una successiva scrittura privata che le riconoscevano tale importo (comprensivo degli oneri di legge) a titolo di accordo transattivo per la risoluzione anticipata del contratto di consulenza stipulato con la società e, quanto alla somma di euro 2.500,00, senza alcuna giustificazione.
Avverso la richiamata ordinanza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, mediante i difensori di fiducia, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME articolando quattro motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi entro i limiti richiesti dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo la ricorrente deduce violazione degli artt. 317, comma 2, 321, comma 2 e 325 cod. proc. pen., poiché, al momento dell’emanazione del decreto di sequestro preventivo, il Giudice per le indagini preliminari non
sarebbe stato più competente, essendo stato già formato il fascicolo del dibattimento, non potendo al riguardo assumere rilievo la circostanza, in quanto demandata ad adempimenti della cancelleria, che tale fascicolo non era stato ancora trasmesso in concreto al giudice del dibattimento.
2.2. Con il secondo motivo la COGNOME assume omessa e illogica valutazione circa l’inesistenza del periculum in mora in ordine alla sua specifica posizione, atteso che, pur essendo stata sottoposta da oltre un lustro a procedimenti penali correlati alla medesima vicenda, e, a differenza del coniuge NOME COGNOME non attinta da altri provvedimenti di sequestro, non aveva mai occultato le proprie disponibilità finanziarie.
Sottolinea, peraltro, che la fugace argomentazione sulla spregiudicatezza delle condotte predatorie della società fallita anche per l’utilizzo delle disponibilità economiche della stessa per spese personali potrebbe semmai essere riferita al marito, e non a lei, che operava solo come consulente della predetta società.
Rileva altresì che, in ogni caso, tali condotte, molto risalenti nel tempo, sarebbero state “compensate” da quella, del tutto opposta, degli anni successivi, caratterizzata dalla diligente conservazione del patrimonio personale nonostante il coinvolgimento in diversi procedimenti penali.
2.3. Mediante il terzo motivo la ricorrente censura l’ordinanza impugnata per illogicità e/o omissione di valutazione circa l’esistenza del nesso di pertinenzialità delle somme sottoposte a sequestro rispetto a quelle indicate nel capo di imputazione.
A fondamento della doglianza sottolinea di aver tratto dalla propria attività professionale ingenti disponibilità economiche sia prima che dopo la conclusione della vicenda in questione e che, del resto, la precedente richiesta di emissione di una misura preventiva nei suoi confronti era stata negata dall’autorità giudiziaria che aveva correttamente sottolineato che è la Procura a dover dimostrare l’illecita provenienza delle somme.
2.4. Con il quarto motivo denuncia illogicità e/o omissione di valutazione del criterio di proporzionalità e violazione dell’art. 275 cod. proc. pen., poiché il provvedimento genetico, e poi quello impugnato, avrebbero trascurato di vagliare l’entità della sproporzione tra il compenso correttamente dovuto per le sue prestazioni rispetto a quello richiesto nonché di considerare le somme versate all’erario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo è manifestamente infondato.
Su un piano generale va ricordato che, in tema di misure cautelari personali, per “giudice che procede”, competente ai sensi dell’art. 279 cod. proc. pen. deve intendersi, qualora la misura cautelare non sia applicata contestualmente alla sentenza di condanna, non la persona fisica ma l’ufficio che ha la materiale disponibilità degli atti, in quanto la regola dell’immutabilità del giudice, ex art. 525, comma 2, cod. proc. pen., non riguarda il procedimento cautelare, che ha natura incidentale e carattere autonomo rispetto a quello principale (ex multis, Sez. 5, n. 47398 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271854; Sez. 1, n. 4710 del 01/10/1998, COGNOME, Rv. 211496).
Di qui, la decisione impugnata si è posta nel solco della giurisprudenza consolidata di questa Corte, che il collegio condivide, in forza della quale la competenza del giudice del merito a disporre il sequestro preventivo dopo l’esercizio dell’azione penale, è legata necessariamente all’emissione del decreto di rinvio a giudizio, all’ultimazione dell’attività di formazione del fascicolo d ufficio da parte del Giudice delle indagini preliminari ed al ricevimento degli atti da parte del giudice del merito, talché, medio tempore, resta ferma la competenza funzionale del Giudice delle indagini preliminari (Sez. 6, n. 4184 del 17/11/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203865), salvo che la parte che eccepisce l’incompetenza alleghi elementi dai quali poter desumere l’avvenuta trasmissione degli atti al giudice del dibattimento (Sez. 3, n. 47684 del 17/09/2014, COGNOME, Rv. 261241). Circostanza che, peraltro, la ricorrente neppure deduce sul presupposto che sarebbe priva di rilevanza, trattandosi di un adempimento posto a carico della cancelleria.
A differenza di quanto assume la difesa della stessa COGNOME, del resto, tali principi operano, in applicazione analogica della disposizione espressa dall’art. 317, comma 2, cod. proc. pen. per il sequestro conservativo, anche nell’ipotesi di sequestro preventivo (Sez. 1, n. 40524 del 02/10/2008, COGNOME, Rv. 241707; Sez. 1, n. 47240 del 09/11/2004, COGNOME, Rv. 230604).
2.11 secondo e il terzo motivo sono fondati, con rilevanza assorbente rispetto al quarto.
2.1.Sotto un primo aspetto, la motivazione della decisione impugnata in ordine alla sussistenza del periculum in mora è meramente apparente, così consentendo il sindacato di questa Corte di legittimità.
Infatti, le Sezioni Unite, nella pronuncia “Ellade”, hanno affermato che il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio (Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848).
Come è stato puntualizzato nella giurisprudenza successiva deve essere escluso, di conseguenza, ogni automatismo decisorio che colleghi il pericolo di dispersione, utilizzazione o alienazione del bene al generico riferimento alla natura fungibile del denaro (Sez. 3, n. 23936 del 11/04/2024, COGNOME, Rv. 286671; Sez. 3, n. 9206 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286021, in motivazione).
Nella fattispecie in esame, di contro, la valutazione tanto del Tribunale del Riesame, quanto, nell’emanazione della misura genetica, del Giudice delle indagini preliminari, si è fondata, sostanzialmente, sulla considerazione, di carattere tautologico, per la quale il denaro è un bene di facile occultamento.
Tuttavia, alla stregua dei superiori principi richiamati, la natura fungibile del bene oggetto della misura non può essa stessa costituire il periculum in mora che la giustifica, dovendo sussistere concreti indici ulteriori che facciano temere che l’occultamento del denaro possa realizzarsi effettivamente in assenza della misura.
Inoltre, è stata completamente omessa la valutazione delle circostanze, puntualmente dedotte dalla ricorrente, sul periodo di tempo trascorso dal momento dell’assunta commissione delle condotte illecite e sul mancato occultamento, anche in tale lungo periodo, del denaro da parte della COGNOME, nei confronti della quale erano pure stati richiesti precedenti provvedimenti di sequestro all’autorità giudiziaria in relazione alla medesima vicenda.
Né il periculum in mora necessario per l’emanazione di un provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca può desumersi in base alla sola titolarità, da parte del soggetto destinatario della misura, di un patrimonio inferiore a quello suscettibile di confisca, neppure quando l’oggetto
del vincolo
è
costituito da un bene fungibile quale il denaro (Sez. 6, n. 45268
del 18/09/2024, NOME, Rv. 287311).
E, del resto, a ben vedere, le argomentazioni spese dal provvedimento censurato finiscono, almeno nella massima parte, a ricondursi a quelle sul
essendo posta in rilievo la spregiudicatezza delle sue condotte fumus boni juris,
nel depredare le casse della fallita in danno dei creditori e dei soci, anche per effettuare spese di carattere voluttuario.
2.2. Anche il terzo motivo è fondato poiché, nell’assumere l’onere della ricorrente di dimostrare la provenienza del denaro da attività lecite, sono stati
violati i canoni espressi dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella recente sentenza “COGNOME” (Sez. U, n. 13783 del 26 settembre 2024, dep.
08/04/2025, COGNOME), con i quali il giudice di merito è tenuto, dunque, a confrontarsi.
Difatti tale decisione ha chiarito che la fungibilità è una caratteristica che inerisce alla natura del bene, ma è esterna rispetto alla prova del nesso di
pertinenzialità tra il bene e il reato che, invece, deve risolversi in un giudizio di relazione diverso avente ad oggetto il legame eziologico di provenienza della res, prova che deve essere fornita dal soggetto che richiede la misura, specie a fronte, come nella fattispecie considerata, di puntuali allegazioni in senso contrario sull’esistenza di differenti fonti di reddito.
La pronuncia impugnata, invece, ha ritenuto (fine pag. 7) che fosse onere della parte ricorrente dimostrare puntualmente l’esistenza e l’entità dei redditi di provenienza lecita.
Per le ragioni indicate il provvedimento impugnato deve quindi essere annullato, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Milano.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Milano.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 aprile 2025
Il Consigliere COGNOME
Il Preside e