Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5355 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 5355  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/04/2023 del TRIB. LIBERTA’ di VIBO VALENTIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibili il ricorso nell’interesse di COGNOME NOME e quelli per i quali è intervenuta rinuncia, se legittimamente effettuata, nonché rigettarsi il ricorso nell’interesse di COGNOME NOME, rilevando di non poter interloquire in ordine alla revoca della sentenza di fallimento della società di fatto non essendo stata resa disponibile tempestivamente al proprio Ufficio;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME COGNOME, che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento;
udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME COGNOME, che ha depositato il provvedimento relativo all’annullamento della misura cautelare personale da parte del Tribunale di Catanzaro e ha illustrato i motivi del ricorso, chiedendone l’accoglimento;
udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché di NOME COGNOME, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha dichiarato di rinunciare ai ricorsi in merito alla misura cautelare reale a seguito della sentenza della Corte di appello di Catanzaro, che ha revocato il fallimento della società di fatto, con sentenza non definitiva, depositata dal medesimo difensore in udienza.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale dei riesame reale di Vibo Valentia, in data 26 aprile 2023, confermava il decreto di sequestro emesso dal G.i.p. del medesimo Tribunale in data 24 marzo 2023 nei confronti degli attuali ricorrenti COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, nonché di RAGIONE_SOCIALE
Il G.i.p. disponeva in via principale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta nei confronti, oltre che dei ricorrenti, anche di COGNOME NOME, in relazione ai reati agli stessi contestati, della somma totale di euro 10.042.227,38; in via subordinata, il sequestro per equivalente pari al profitto dei reati contestati ai capi 5), 6), 7), 8), 9), 10), 11), 12), 13) e 14), fino concorrenza RAGIONE_SOCIALE somme di seguito indicate, in relazione agli indagati anche di seguito specificati, quale profitto dei reati loro ascritti: euro 3.065.098,68 i relazione al capo 5) sui beni di COGNOME NOME e COGNOME NOME; euro 1.046.304,88, in ordine al capo 6) sui beni di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; euro 1.496.045,83, per il capo 7), sui beni di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; euro 265.637,96, per il capo 8), sui beni di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; euro 17.543,75, per il capo 9), sui beni di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; euro 418.465,58, per il capo 10), sui beni di COGNOME NOME e COGNOME NOME; euro 1.121.644,92, per il capo 11), sui beni di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; euro 147.408,15, per il capo 12), sui beni di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; euro 96.684,57, provento del reato di cui al capo 13), sui beni mobili e immobili intestati o cointestati a COGNOME
NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; euro 4.180,00, per il capo 14), sui beni di COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME; infine il G.i.p. disponeva il sequestro preventivo della società RAGIONE_SOCIALE
In particolare, i reati in ordine ai quali era stato disposto il sequestr risultavano essere quelli tributari, relativi alle indicazioni RAGIONE_SOCIALE fatture operazioni inesistenti fraudolentemente operate nelle dichiarazioni annuali IRES e IVA dalle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, rispettivamente per i capi da 5) a 9), ivi contestate le violazioni degli artt. 81, 110 cod. pen. e 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
Nei capi da 10) a 14) veniva contestata la correlata condotta di emissione RAGIONE_SOCIALE fatture per operazioni inesistenti, da parte di altre società del RAGIONE_SOCIALE facenti capo agli indagati, in violazione degli artt. 81, 110 cod. pen. e 8 d.lgs n. 74 del 2000, al fine di consentire alle società predette l’evasione RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi e dell’Iva.
Tali condotte tributarie venivano poi indicate come delitti scopo di una associazione per delinquere contestata al capo 1), finalizzata alla commissione, oltre che dei menzionati delitti, come anche dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, condotte che riguardavano le società componenti della c.d. super società di fatto denominata “RAGIONE_SOCIALE“, tutte società esercenti la produzione, commercializzazione e distribuzione di prodotti ortofrutticoli della IV° gamma.
In sostanza, la tesi accusatoria accolta dal G.i.p. evidenziava come attraverso una sistematica rete di operazioni contabili e finanziarie, circolari e fittizie, tra varie società, e l’interposizione nelle cariche sociali dei medesimi soggetti, al solo fine di preservare il patrimonio della super-società di fatto c.d “RAGIONE_SOCIALE“, i debiti maturati per le singole società a seguito RAGIONE_SOCIALE condotte di frode tributaria determinavano che le stesse fossero portate a decozione.
Le condotte distrattive integranti la bancarotta fraudolenta si sostanziavano nel recesso RAGIONE_SOCIALE società RAGIONE_SOCIALE (capo 2) e RAGIONE_SOCIALE (capo 3) dal Raggruppamento Temporaneo di Imprese – RTI, del quale le menzionate due società facevano parte con RAGIONE_SOCIALE, raggruppamento che era risultato assegnatario dell’appalto per la fornitura di frutta e verdura nelle scuole, relativamente al “Lotto 2: Lombardia” per gli anni scolastici 2017/2023, per un importo complessivo pari ad euro 14.741.909,10 oltre Iva.
Il recesso, secondo l’impostazione accusatoria, veniva operato a titolo gratuito, non rispondeva ad alcuna logica economica ed era a vantaggio della RAGIONE_SOCIALE, la quale otteneva dall’appalto un maggior guadagno ingiustificato a partire dalla data del recesso di ciascuna RAGIONE_SOCIALE «raggruppate», senza aver nulla
pagato in cambio, mentre le recedenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE risultavano rinunciare ai proventi dell’appalto senza alcuna razionale motivazione, dunque, distraevano risorse, a fronte della dichiarazione di fallimento intervenuta per RAGIONE_SOCIALE in data 8 gennaio 2021 e per RAGIONE_SOCIALE, insieme alle altre società del RAGIONE_SOCIALE, in data 14 ottobre 2021 (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, componenti la società di fatto c.d. “RAGIONE_SOCIALE“).
Altra condotta distrattiva fraudolenta contestata al capo 3) riguardava la cessione in fitto – in data 25 maggio 2020 – del ramo d’azienda ad RAGIONE_SOCIALE, dietro corrispettivo di un canone mensile pari a C. 10.000,00, prezzo ritenuto vile in confronto ad analogo contratto sottoscritto con la società RAGIONE_SOCIALE con un canone pari a C. 44.000,00 mensili.
Inoltre, venivano anche contestati al capo 3) i fatti di bancarotta societaria consistiti nell’aver cagionato il fallimento della società a mezzo di operazioni dolose, consistite nell’aver omesso di assumere i provvedimenti di cui agli artt. 2446 e 2447 cod. civ. a tutela del ceto creditorio.
Infine, al capo 4) veniva contestato l’aver cagionato il dissesto – al fine di procurarsi un profitto e arrecare pregiudizio ai creditori, mediante le condotte di frode fiscale sopra descritte, con evasione di imposte pari ad C 7.679.013,72 nonché la bancarotta fraudolenta documentale di tipo generico.
I ricorsi per cassazione sono stati proposti, a mezzo dei difensori di fiducia, nell’interesse di NOME COGNOME, articolato in cinque motivi, di NOME COGNOME, articolato in due motivi, NOME COGNOME e NOME COGNOME con unico atto, articolati in due motivi, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con unico atto, articolati in due motivi. I rispettivi motivi saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
 Quanto al ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
3.1 II primo motivo deduce violazione degli artt. 216, 219 e 223 legge fall. e 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché violazione di legge processuale in relazione all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.
Lamenta il ricorrente che il Tribunale del riesame avrebbe valorizzato dichiarazioni e elementi indiziari riferibili ad un omonimo del ricorrente (in particolare per le dichiarazioni rese al curatore fallimentare) e che nonostante vi fosse stata l’allegazione della istanza presentata in sede di riesame personale, che aveva condotto ad escludere la gravità indiziaria quanto alla misura restrittiva, il Tribunale di Vibo Valentia non avrebbe reso alcuna motivazione a riguardo: ne
deriverebbe una violazione di legge per difetto di motivazione o motivazione apparente, a fronte della natura sostanzialmente decisiva RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dall’omonimo.
3.2 Il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 2247 cod. civ., 216, 219, 223 legge fall., in relazione alla scriminante dell’art. 2634 cod. civ., nonché degli artt. 238 -bis cod. proc. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen.
3.2.1 Anche in questo caso il Tribunale del riesame avrebbe reso motivazione mancante o apparente in ordine a un argomento decisivo, quale è quello dei vantaggi compensativi.
Lamenta il ricorrente che difetterebbero i presupposti fattuali per ritenere la sussistenza della società di fatto cd. RAGIONE_SOCIALE come destinataria dell’ingiusto profitto. Dopo aver evidenziato che la società di fatto non costituisce una forma illecita di attività collettiva, risultando riconosciuta dallo stesso ordinamento i sede civile, come anche dalla legge fallimentare, dalla natura lecita consegue l’esclusione dell’assimilabilità della stessa alla associazione per delinquere, in quanto i soci della prima, lecita, ne perseguono gli interessi anche con condotte distrattive infraRAGIONE_SOCIALE, che però sarebbero scriminate dai vantaggi compensativi.
Inoltre, l’ordinanza impugnata non avrebbe tenuto in conto che la prova della società di fatto non è stata fornita dal provvedimento cautelare genetico, in quanto gli indici selezionati dal G.i.p. non risponderebbero a quanto richiesto dall’art. 2247 cod. civ., risultando tenue il legame fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, mentre nulla è rinvenibile quanto ai legami RAGIONE_SOCIALE altre società del presunto RAGIONE_SOCIALE.
Né a tanto può valere il vincolo di consanguineità fra soci, perché in tal caso, per altro, potrebbe prevalere l’affectio familiae in luogo dell’affectio societatis.
Anche l’evocata unicità dell’oggetto RAGIONE_SOCIALE società del RAGIONE_SOCIALE è smentita dalla circostanza che ogni società si occupava di un settore autonomo della filiera produttiva.
La sentenza che ha esteso il fallimento, inoltre, non può comprovare il fatto storico della esistenza del super-RAGIONE_SOCIALE, in quanto pronuncia non definitiva e dunque non utilizzabile ai fini dell’art. 238-bis cod. pen.
Al difetto della sussistenza degli elementi indiziari comprovanti il superRAGIONE_SOCIALE, farebbe comunque in via subordinata da contraltare la circostanza che, vertendosi in tema di società in nome collettivo irregolare, ne deriva la responsabilità illimitata dei soci e, quindi, RAGIONE_SOCIALE società che compongono quella superiore.
Tale dato escluderebbe l’ingiusto profitto per le condotte distrattive infraRAGIONE_SOCIALE, come contestate nell’imputazione, con sussistenza dei vantaggi compensativi in quanto il profitto ritenuto ingiusto non riguarda mai beneficiari esterni al super-RAGIONE_SOCIALE, ma resta sempre condiviso all’interno dello stesso.
Quanto al vantaggio compensativo per il recesso della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE dal RTI, lo stesso deriverebbe dalla circostanza che il permanere RAGIONE_SOCIALE società avrebbe messo a rischio l’appalto ex art. 80, comma 4, d.lgs n. 50 del 2016, con pericolo di esclusione dell’intero raggruppamento per la fornitura alle mense scolastiche negli anni 2019 -2020.
3.2.2 In ordine alla bancarotta per recesso della RAGIONE_SOCIALE (capo 2), il Tribunale non ha motivato, quanto al fumus commissi delicti, in ordine alle deduzioni che riguardavano la circostanza che il 27 dicembre 2018 COGNOME non ricopriva alcuna carica nella società menzionata, né in RAGIONE_SOCIALE né in RAGIONE_SOCIALE, cosicché non trova rispondenza fattuale la contestazione provvisoria che attribuisce a COGNOME il ruolo di prestanome del fratello, tanto più che difetterebbe anche una motivazione in ordine al dolo richiesto per l’amministratore «testa di legno» in relazione alla distrazione posta in essere dall’amministratore di fatto.
3.2.3 Quanto alla bancarotta contestata al capo 3), ometterebbe ogni motivazione il Tribunale di Vibo Valentia in ordine alla circostanza che il ricorrente, alla data del recesso della COF dal RTI, non rivestisse alcun ruolo, che nessun ruolo aveva assunto neanche in occasione della cessione di ramo di azienda in favore di NOME, nei cui confronti neanche il curatore si attivò per il recupero, come pure in ordine all’omessa attivazione dei poteri di cui agli artt. 2446 e 2447 cod. civ., difettando COGNOME di cariche che lo onerassero a riguardo.
3.2.4 Quanto alla bancarotta impropria per causazione del fallimento a mezzo di frode fiscale (capo 4), l’ordinanza impugnata non renderebbe conto della censura che lamentava l’assenza di ruolo e di condotta del COGNOME, censura replicata e non valutata anche in ordine alla bancarotta documentale, non risultando correlata la contestazione alla RAGIONE_SOCIALE , della quale COGNOME era amministratore.
3.2.5. Anche in ordine ai delitti tributari, contestati a COGNOME ai capi 8) e 13) il rinvio che il Tribunale del riesame opera alla posizione di COGNOME non risponderebbe alle censure che rappresentavano come COGNOME fosse amministratore della RAGIONE_SOCIALE solo in concomitanza di una fattura del maggio 2020, con la possibilità che si trattasse di una mera irregolarità e non di una inesistenza della operazione; né il provvedimento impugnato rispondeva alle censure che deducevano il difetto di dolo di COGNOME, per le fatture del 2019, che risultavano dichiarate dallo stesso nel 2020, a fronte della circostanza che lo stesso nel 2019 non rivestiva alcun ruolo e quindi era all’oscuro della inesistenza di tali prestazioni, come pure in ordine alla circostanza che nessuna fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE fosse stata rilasciata in periodo di amministrazione di COGNOME.
3.2.6 Quanto al delitto associativo sub capo 1), difetterebbe la motivazione sulla censura che contestava il contributo e l’affectio soci etatis di COGNOME, che per
altro non contribuiva ai delitti scopo distrattivi contestati, tanto più che secondo la Corte di cassazione non sarebbe configurabile l’associazione per delinquere in ordine ai delitti di bancarotta fraudolenta e che i delitti contestati costituiscono un numero chiuso e non una serie indefinita, come richiede la norma incriminatrice associativa.
Difetterebbe poi la motivazione in ordine alla struttura stabile, funzionale alla commissione dei delitti scopo, non potendo il dato familiare soccorrere a comprovare il delitto associativo: più corretta sarebbe, invece, la qualificazione come concorso di persone.
3.311 terzo motivo lamenta violazione degli artt. 322-ter cod. pen. e 321 cod. proc. pen.
L’ordinanza impugnata avrebbe errato nel non censurare il decreto di sequestro genetico, in ordine al vincolo apposto per equivalente sui beni dell’indagato e non sui beni del compendio fallimentare, anche dovendo ritenersi la prevalenza del fallimento sul sequestro preventivo.
3.4 Il quarto motivo lamenta violazione degli artt. 322-ter cod. pen., 321 e 125, comma 3, cod. proc. pen.
L’ordinanza impugnata non ha valutato le doglianze relative alla sproporzione del sequestro nei confronti di COGNOME, tenendo conto che per le bancarotte per distrazione il profitto ingiusto, sottratto alla società recedente, doveva essere decurtato dei costi a sostenersi; anche per i reati tributari la contestazione del profitto per i capi 8) e 13) sarebbe quantificabile in euro 96mila circa, mentre conduce a un sequestro diretto verso COGNOME fino a oltre 7 milioni di euro e per equivalente in ordine al capo 8) di oltre 265mila euro.
Inoltre, a COGNOME è stato imputato, ai fini del profitto, anche l’art. 8 d.l 74/2000, che non è contestabile a chi già risponda dell’art. 2 stesso decreto, cosicché con il concorso in entrambi i reati va esclusa l’applicazione del principio solidaristico.
3.5 Il quinto motivo lamenta violazione dell’art. 321 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al periculum in mora, in quanto apparente risulterebbe l’argomentare del G.i.p. e il Tribunale del riesame non ha provveduto a valutare la relativa censura.
Quanto al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
4.1 Il primo motivo lamenta violazione degli artt. 110 cod. pen. 216, 219 e 223 legge fall., 321 cod. proc. pen.
Viene contestato al ricorrente il fumus dei reati di bancarotta di cui ai capi 2), 3) e 4) nonché dei reati tributari dei capi 8) e 13) e non anche del delitto associativo.
Il ricorrente lamenta omessa e apparente motivazione in ordine ai fatti distrattivi, avendo immotivatamente, il provvedimento impugnato, attribuito al ricorrente la qualità di socio occulto della super società RAGIONE_SOCIALE, senza che possano valorizzarsi i rapporti familiari e/o la disponibilità allo scambio di carica, non essendo sufficiente a integrare il fumus la sola qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, e non avendo il tribunale motivato quanto alla consapevolezza del depaupera mento.
NOME, infatti, risultava essere amministratore di RAGIONE_SOCIALE nel periodo successivo alla prima distrazione, nell’ambito del recesso RAGIONE_SOCIALE, e cessava dalla carica prima della seconda distrazione in relazione a COF. Inoltre, non era cointeressato o soggettivamente collegato alle società nell’ambito RAGIONE_SOCIALE quali era intervenuta la distrazione.
4.2 Il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 81, 110, cod. pen. 216, 219 legge fall. e 2 e 4 d.lgs. 74 del 2020, nonché 321 cod. proc. pen.
Anche in ordine al capo 4), difetterebbe la motivazione nel provvedimento impugnato in ordine alle ragioni del concorrere di NOME nelle condotte delittuose di natura tributaria che ebbero a cagionare il fallimento, tanto più che per queste ultime il Tribunale del riesame non ha valutato le dichiarazioni ai fini Iva e Ires, anche quelle della RAGIONE_SOCIALE, che non recavano la sottoscrizione di NOME, bensì di un terzo, cosicché è da escludersi il coinvolgimento materiale ma anche psicologico del ricorrente.
Analogamente priva di motivazione sarebbe l’ordinanza impugnata quanto alle censure rivolte in ordine al capo 13), che eccepivano come non di operazioni inesistenti, bensì di operazioni ritenute tali solo dal curatore perché antieconomiche, senza confrontarsi con l’oggetto sociale della RAGIONE_SOCIALE anche relativo alla distruzione di prodotti alimentari che giustificavano la inerenza dell’operazione.
Neanche, il Tribunale del riesame, avrebbe dato risposta in ordine al dolo specifico di voler favorire l’altrui evasione fiscale, richiesto dalla norma incriminatrice dell’art. 8 d.lgs. 74/2000.
Sovrapponibili sono i ricorsi proposti con unici atti nell’interesse di COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
5.1 II primo motivo lamenta violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. in ordine al fumus ed al periculum in mora per il delitto di bancarotta.
I ricorrenti rilevano come la natura non definitiva della sentenza di fallimento in estensione determini l’insussistenza del fumus del delitto di bancarotta, essendo la pronuncia elemento costitutivo del reato, rilevante ai sensi degli artt. 2 e 479 cod. proc. pen., il che rileva anche in fase cautelare
Escluderebbe il fumus la circostanza che gli organi di controllo sindacali e di revisione nulla hanno rilevato quanto alle società indicate nelle imputazioni, mentre il provvedimento impugnato non tiene conto della disciplina prevista dall’art. 2501-bis cod. civ. per la fusione fra società a seguito di acquisizione con indebitamento, della documentazione allegata consistente nella prova dei bonifici e RAGIONE_SOCIALE bolle di trasporto che attesta l’esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni ritenute fittizie fini tributari, RAGIONE_SOCIALE ragioni che depongono per il concorso di persone in luogo del delitto associativo e per la continuazione fra i delitti scopo, in difetto della stabil del vincolo associativo e della sua funzionalizzazione a una serie di delitti indeterminata.
Anche quanto al dolo generico, richiesto per la bancarotta distrattiva, l’ordinanza impugnata non valuterebbe la sussistenza RAGIONE_SOCIALE garanzie personali che escludono una volontà distrattiva che si ritorcerebbe contro il patrimonio di chi ha garantito, non potendo configurarsi il dolo eventuale di bancarotta fraudolenta, dovendo riqualificarsi il delitto in bancarotta semplice.
5.2 Il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 321 cod. pen. in relazione all’art. 416 cod. pen.
Erra il Tribunale del riesame reale allorchè ritiene confiscabile il profitto derivante dal delitto di associazione per delinquere, travisando il contenuto di una sentenza della Corte di cassazione, come anche difetta una indagine in ordine al nesso di pertinenzialità fra i delitti fine e la società posta in sequestro impeditivo.
Tale nesso di stabile strumentalità sarebbe stato richiesto, ma è stato disatteso, anche per le somme sequestrate.
Il ricorso è stato trattato con intervento RAGIONE_SOCIALE parti, ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili a seguito di rinuncia all’impugnazione. Fondato è invece il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME in ordine ai
soli capi 2) e 3), mentre nel resto è infondato, come anche lo è interamente quello proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
Va innanzi tutto ricordato che in materia di misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge e che pertanto è consentito dedurre censure attinenti la motivazione del provvedimento impugnato solo nei limiti in cui oggetto di doglianza sia l’assoluta mancanza di un apparato giustificativo della decisione o, quanto meno il difetto dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza del medesimo, tanto da evidenziarne l’inidoneità a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. un. n. 25932 del 29 maggio 2008, COGNOME, rv 239692; Sez. Un., n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710).
Pertanto, a seguire questa Corte dovrà verificare se, alle doglianze proposte in sede di riesame, sia seguita adeguata risposta da parte del Tribunale, corredata da motivazione esistente e non apparente.
Quanto al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si osserva quanto segue.
Va premesso che il difensore del ricorrente ha prodotto l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro, depositata il 29 settembre 2023, con la quale è stata annullata l’ordinanza genetica applicativa degli arresti domiciliari nei confronti di NOME COGNOME.
A tal riguardo deve evidenziarsi, in tema di giudicato cautelare, che è ammissibile l’adozione di una misura cautelare reale (nella specie, sequestro preventivo) sulla base degli stessi elementi già valutati nei confronti della medesima persona ed in relazione alla medesima ipotesi di reato, ai fini del rigetto della richiesta di applicazione di una misura coercitiva personale per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, salvo che tale pronuncia, non più impugnabile, sia fondata su una motivazione incompatibile con la stessa astratta configurabilità della fattispecie criminosa che costituisce il presupposto per l’applicazione della misura reale (Sez. 3 , n. 30286 del 19/04/2021, Giudici, Rv. 282135 – 01). In proposito, può innanzitutto evidenziarsi come, secondo la giurisprudenza RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite, ai fini della verifica RAGIONE_SOCIALE condizioni di legittimità del sequestr preventivo, il tribunale del riesame e la Corte di cassazione debbono limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (così Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, COGNOME, Rv. 21584001, e Sez. U, n. 4 del 25/03/1993, NOME, Rv. 193117-01).
Nella medesima prospettiva deve anche evidenziarsi come – cfr. Sez. 3, n. 13119 del 13/02/2018, Crimi, Rv. 272514 – 01 – in tema di giudicato cautelare, la revoca di una misura cautelare personale non ha immediato effetto caducatorio su eventuali misure reali disposte nel medesimo procedimento, essendo differenti i diritti presi in considerazione nelle due cautele e le esigenze processuali che le stesse mirano a soddisfare (nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure l’ordinanza che, in sede di riesame cautelare, con riferimento al delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. 3 ottobre 1990, n. 309, nonostante la revoca della misura cautelare personale applicata all’indagato, aveva confermato il sequestro preventivo di una somma di denaro rinvenuta nella sua disponibilità).
Tanto premesso, deve osservare questa Corte come nel caso in esame non risulti comprovato, in primo luogo, che l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro sia definitiva. Non avendo offerto tale prova la difesa, va esclusa ogni incidenza dell’allegato provvedimento nel presente procedimento e sulla presente decisione.
Inoltre, va evidenziato che, comunque, non si rinvengono ragioni di evidente incompatibilità fra la decisione assunta in sede di cautela personale, che di fatto esclude la gravità indiziaria quanto all’attribuzione RAGIONE_SOCIALE condotte di reato a COGNOME, ma non la sussistenza dei reati per cui si procede, confermando sostanzialmente la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta.
3.1 Venendo al primo motivo di ricorso, in particolare sulla censura che lamenta omessa motivazione quanto al giudicato cautelare personale, deve osservare questa Corte come il Tribunale del riesame reale di Vibo Valentia renda invece una chiara motivazione, oltre che adeguata e congrua (fol. 18 e s.): al momento della proposizione dell’istanza di riesame reale l’attuale ricorrente si limitava solo a depositare quella presentata in sede personale, non anche il provvedimento di annullamento della misura cautelare restrittiva.
In sostanza, non essendo noto se l’annullamento che aveva riguardato il provvedimento restrittivo della libertà di COGNOME afferisse a un difetto di gravità indiziaria, piuttosto che al difetto di esigenze cautelari, non se ne poteva trarre, come faceva invece la difesa, il deficit di fumus dei reati per il quale era stato disposto il sequestro, richiamandosi ai principi fin qui analizzati.
Pertanto, sul punto corretta è l’ordinanza impugnata, come anche generica è la doglianza che si limita a dedurre che il fumus debba venire meno in ragione della mera omonimia fra l’indagato COGNOME e il dichiarante al curatore, le cui affermazioni erano state utilizzate dall’ordinanza genetica.
E bene, sia con l’istanza di riesame personale, sia anche con il presente ricorso, non viene dedotta la capacità disarticolante del venir meno RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dall’omonimo, a fronte di elementi indiziari ulteriori, quali il ruol
assunto da COGNOME nelle compagini societarie, le conversazioni intercettate dalle quali emergeva il ruolo di esecutore RAGIONE_SOCIALE decisioni del fratello NOME, dominus del super RAGIONE_SOCIALE di società, e la piena consapevolezza RAGIONE_SOCIALE attività illecite (foll. 19 e s. della ordinanza impugnata).
Pertanto, sussiste una adeguata motivazione, che non è apparente come dedotto, mentre invece il motivo è aspecifico, in quanto ai fini dell’osservanza del principio di specificità in relazione alla prospettazione di vizi di motivazione e di travisamento dei fatti, è necessario che il motivo contenga la compiuta rappresentazione e dimostrazione di un’evidenza – pretermessa o infedelmente rappresentata dal giudicante – di per sé dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, in quanto in grado di disarticolare il costrutto argomentativo del provvedimento impugnato per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati (Sez.1, n. 54281 del 05/07/2017, COGNOME, Rv. 272492 – 01).
Ne consegue la aspecificità del motivo.
3.2 In ordine al secondo motivo, si analizzano le censure relative come segue.
3.2.1 Il primo profilo di censura attiene alla omessa motivazione in ordine ai profili civilistici di sussistenza della super-società di fatto.
A tal riguardo, per quel che rileva, il Tribunale del riesame ha dato conto, in maniera ampia e senza alcuna apparenza di motivazione, dell’esistenza della società di fatto sovraordinata, con unico centro di interessi, richiamando gli indici sintomatici ripresi dalle relazioni ex art. 33 legge fall., nonché dalle sentenze di fallimento (fol. 3 e ss.), in ordine alla sussistenza della super-società: l’ identità dell’oggetto sociale di tutte le società che hanno operato nella filiera alimentare previa istaurazione di rapporti infraRAGIONE_SOCIALE di fornitura e di credito/debito; l’identit della sede della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE; la sovrapponibilità RAGIONE_SOCIALE compagini sociali riferibili alle sei società, accertato a mezzo dell’esame RAGIONE_SOCIALE visure camerali, che vedevano il circolare avvicendarsi nelle cariche sociali RAGIONE_SOCIALE singole società RAGIONE_SOCIALE medesime persone fisiche; l’analisi RAGIONE_SOCIALE scritture contabili della RAGIONE_SOCIALE dal 2015 al 2017, che rappresentavano i flussi di cassa fra le sei società; le operazioni auto-pregiudizievoli poste in essere da RAGIONE_SOCIALE, senza alcuna giustificazione economica, se non quella di avvantaggiare le altre società e portare al dissesto la medesima RAGIONE_SOCIALE, così da renderla una «scatola vuota» insuscettibile di garantire il debito tributario di euro 1.300.000,00; l’esteriorizzazione nei rapporti esterni e, nella percezione collettiva, di una unica realtà societaria, onnicomprensiva, indicata come “RAGIONE_SOCIALE“.
A ben vedere, non è questa la sede per una analisi sulla sussistenza o meno della cd. super-società di fatto, che è stata ritenuta in sede fallimentare, allorchè il fallimento è stato esteso alla stessa e alle ulteriori cinque società, rispe RAGIONE_SOCIALE già interessata dalla prima dichiarazione di fallimento.
Né, tanto meno, l’intervenuta revoca della sentenza di fallimento richiamata dagli altri ricorrenti, che potrebbe avere effetto estensivo anche per COGNOME – ha incidenza sulla valutazione operata dal Tribunale del riesame di Vibo Valentia, in primo luogo perché anche tale provvedimento assunto dalla Corte di appello di Catanzaro non risulta essere definitivo.
E pertanto, va richiamato per un verso il pacifico principio per cui il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibili dell’imprenditore (Sez. U., n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398 – 01; Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, NOME, Rv. 269454 – 01; Sez. 5, n. 21920 del 15/03/2018 COGNOME, Rv. 273188 – 01).
Come anche va richiamato il dettato normativo, a fronte della censura che evoca la non definitività della sentenza di fallimento, per cui l’azione penale per i reati di bancarotta può essere legittimamente esercitata dopo la comunicazione ex art. 17 della sentenza di fallimento, ai sensi dell’art. 238, comma 1, legge fall.
Difatti, l’art. 17 legge fall. prevede che «Entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, la sentenza che dichiara il fallimento è notificata, su richiesta del cancelliere,  al debitore,  ed è comunicata per estratto,  al pubb ministero, al curatore ed al richiedente il fallimento ».
Per altro l’art. 16, comma 2, stabilisce che «La sentenza produce i suoi effetti dalla data della pubblicazione.. », cosicché è di tutta evidenza che l’azione penale per i delitti di bancarotta, e dunque anche le misure cautelari relative, possano essere disposte dopo la pubblicazione della sentenza di fallimento senza dover attendere la definitività della stessa (cfr. Sez. 1, n. 4191 del 15/10/1993, Lucanto, Rv. 195570 – 01, che evidenzia come l’art. 238, comma 1, legge fall. preveda l’esercizio dell’azione penale indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza di fallimento). Per altro, Sez. 5, n. 41255 del 16/09/2008, Scambia, Rv. 241930 – 01, ha ribadito in motivazione che lo status di fallito, effetto diretto della sentenza dichiarativa di fallimento, che è insindacabile dal giudice penale e ha esecutività in via provvisoria ai sensi dell’art. 16, comma 2, legge fall., non è suscettibile di sospensione (art. 18, comma 4, legge fall.), per cui gli effetti della sentenza di fallimento sono rimossi soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza che, accogliendo l’opposizione, revoca il fallimento. Il che nel caso in esame non si è verificato, né tanto meno deduzioni specifiche sono state formulate prendendo spunto dalle ragioni della sentenza di revoca del fallimento emessa dalla Corte di appello di Catanzaro.
3.2.2 Va pertanto affermato il principio per cui in tema di reati di bancarotta, poiché l’azione penale per i detti reati, come previsto dagli artt. 238 e 16, comma 4.55.4-m-e 2, legge fall.,'” esercitata indipendentemente dal passaggio in giudicato e, in taluni casi, anche dalla esistenza della pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, deve ritenersi che sia anche possibile, nelle stesse condizioni, l’applicazione di misure cautelari reali, i cui presupposti andranno verificati secondo gli ordinari canoni normativi, tenendosi anche conto RAGIONE_SOCIALE eventuali impugnazioni della sentenza dichiarativa di fallimento e della sentenza di revoca del fallimento non definitiva, senza che la sola esistenza RAGIONE_SOCIALE stesse possa essere di per sé considerata come incompatibile con la presenza dei presupposti del sequestro preventivo.
3.2.3 Anche non decisivo è il riferimento del ricorrente alla assenza di valore probatorio della sentenza di fallimento, quanto alla sussistenza della supersocietà: nel caso in esame se per un verso non trova applicazione l’art. 238-bis cod. proc. pen., in quanto la norma processuale non riguarda le sentenze civili (Sez. 5, n. 41796 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 268041 – 01; mass. conf. N. 28529 del 2008 Rv. 240316 – 01, N. 14042 del 2013 Rv. 254981 – 01), le richiamate disposizioni della legge fallimentare in ordine alla insindacabilità della sentenza di fallimento da parte del giudice penale, dettano la regola di valutazione; per altro verso, non vi è stata da parte del Tribunale del riesame una acritica valutazione di sussistenza della super-società-associazione per delinquere, fondata esclusivamente sulla dichiarazione di fallimento, bensì una delibazione autonoma degli indici sopra indicati, che vengono rivalutati per ritenere sussistente la societas, in questo caso, anche sceleris.
D’altro canto, anche l’argomento speso dal ricorrente quanto alla liceità della società di fatto, non si confronta con la circostanza che è ben possibile che la struttura associativa delinquenziale coincida con quella della società commerciale: difatti, in tema di associazione per delinquere, devono considerarsi integrati i requisiti della stabilità del vincolo associativo e della organizzazione di mezzi nel caso in cui gli associati, per realizzare il programma criminoso del sodalizio, abbiano utilizzato una società commerciale tra loro costituita imponendole un modulo operativo illecito (Sez. 6, n. 43656 del 25/11/2010 COGNOME, Rv. 248816 – 01).
Per altro, nessuna specifica censura è stata rivolta all’ordinanza impugnata in ordine alla ricostruzione della super-società con finalità criminale, se non la critica alla ritenuta identità dell’oggetto sociale, volendo evidenziare il ricorrente come ogni società avesse una sua specificità e, dunque, un diverso oggetto sociale.
A riguardo, il Tribunale del riesame, anche in ordine a tale elemento sintomatico, ha reso conto della circostanza che l’identità dell’oggetto sociale si
sostanziasse nell’aver operato nella medesima filiera agroalimentare, previa istaurazione tra le stesse società di rapporti di fornitura e di credito/debito. A ben vedere, il Tribunale del riesame valorizza l’attività congiunta e il comune interesse produttivo, in modo congruo, non essendo rilevante quale fosse nello specifico l’oggetto sociale RAGIONE_SOCIALE singole società, in quanto tutte certamente e funzionalmente impiegate nella medesima filiera alimentare, fra loro coordinate in questa azione produttiva.
A tal riguardo, infatti, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte in sede civile, che ritiene necessaria per provare la sussistenza della super-società «la rigorosa dimostrazione del comune intento sociale perseguito, che deve essere conforme, e non contrario, all’interesse dei soci, dovendosi ritenere che la circostanza che le singole società perseguano, invece, l’interesse RAGIONE_SOCIALE persone fisiche che ne hanno il controllo, anche solo di fatto, costituisca, piuttosto, una prova contraria all’esistenza della super-società di fatto» (cfr. Cass. civ., Sez. 1, n. 4784 del 15/02/2023 – Rv. 666994 – 01, che richiama Cass. n. 10507 del 2016, cui adde, in motivazione; Cass. n. 12120 del 2016, entrambe richiamate dalla più recente Cass. n. 7903 del 2020, nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20552 del 2022, Cass. n. 31999 del 2022).
E bene, il comune intento perseguito era certamente superiore, ma conforme rispetto agli interessi dei singoli soci RAGIONE_SOCIALE singole società, avendo dato conto il Tribunale del riesame della finalizzazione dell’azione collettiva RAGIONE_SOCIALE società e RAGIONE_SOCIALE relative amministrazioni ad un obiettivo comune, di evidente vantaggio anche per i soci, come l’aggiudicazione dell’appalto pubblico in Lombardia e l’esistenza di una condivisione dei metodi e dei fini: quelli leciti, strettamente produttivi in ragione del coordinamento RAGIONE_SOCIALE attività aziendali, e quelli illeciti, dimostrati da turbinio RAGIONE_SOCIALE cariche sociali redistribuite periodicamente, dall’obiettivo di maturare il credito di imposta e di ridurre i redditi imponibili per le società che si volevano conservare, dall’esistenza di cointeressenze e dalla finalità di liberarsi RAGIONE_SOCIALE società decotte, che venivano utilizzate per accumulare il debito di imposta e, quindi, venivano condotte al fallimento in danno dei creditori RAGIONE_SOCIALE medesime società, in particolare in danno di quello erariale.
D’altro canto, proprio tale valutazione della identità di intenti, vede il Tribunale del riesame rilevare correttamente come l’affectio societatis, rilevante ai sensi del delitto associativo, riguardi la finalità di commissione dei delitti contestati, oltre essere comprovata dalla durata e dalla stabilità nel tempo dell’organizzazione.
Né vale l’argomento che la super-società esporrebbe i soci alla responsabilità patrimoniale illimitata, in quanto la funzionalizzazione della stessa a finalità anche delittuose, tese al profitto illecito a mezzo RAGIONE_SOCIALE frodi tributarie e RAGIONE_SOCIALE conseguenti bancarotte fraudolente, rende del tutto irrilevante l’argomento relativo al regime
della responsabilità patrimoniale in sede civile a fronte del rischio, accettato, di incorrere in responsabilità penale.
In tal senso, quindi, anche le censure in ordine alla sussistenza dell’associazione per delinquere contestata, che coincide con la super-società di fatto, risultano del tutto infondate, avendo i Giudici del merito ritenuto sussistente la struttura stabile dell’organizzazione, oltre che la finalizzazione alla commissione dei delitti scopo.
Anche il vincolo di consanguineità e l’affectio familiae, a ben vedere, risultano fattori tutt’altro che neutri in sede penale, dovendo ritenersi che in tema di associazione per delinquere, l’esistenza della consorteria criminosa non è esclusa per il fatto che la stessa sia imperniata per lo più intorno a componenti della stessa famiglia, atteso che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, rendono quest’ultimo ancora più pericoloso (Sez. 3, n. 48568 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 268184 – 01; mass. conf. N. 2772 del 1995 Rv. 201353 – 01, N. 35992 del 2011 Rv. 250773 – 01, N. 49007 del 2014 Rv. 261426 – 01).
D’altro canto (cfr. Sez. 3, n. 8472 del 17/01/2023, Latempa, Rv. 284201 01) integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata alla commissione di reati di emissione e di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti il costante e continuo ricorso alla copertura fiscale assicurata dal rilascio di fatture per operazioni inesistenti da parte di società cartiere costituite e organizzate da un’associazione per delinquere, la cui operatività sia finanziata dalle illecite provvigioni versate dagli apparenti acquirenti su ogni transazione, trattandosi di condotta che determina uno stabile affidamento del RAGIONE_SOCIALE sulla disponibilità all’utilizzo del pianificato meccanismo fraudolento, mediante la costituzione di un vincolo reciproco durevole, che supera la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale RAGIONE_SOCIALE singole operazioni e si trasforma nell’adesione dell’acquirente al programma criminoso.
Né sussistono ragioni ostative astratte a prefigurare la sussistenza di una associazione per delinquere finalizzata alle condotte di bancarotta. E anche il motivo di ricorso che richiama Sez. 5, 23/02/2016, n. 7126 – che individuava il «discrimen tra il reato associativo e il concorso di persone nel reato continuato è stato individuato in ciò che, in quest’ultimo, l’accordo criminoso viene stretto in via occasionale e limitata, essendo diretto soltanto alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico disegno criminoso che li comprende e prevede tutti (Cass. 5-5-1995, Correnti, Rv. 201907; Cass 5-12-1994, Semeraro, Rv. 200683; Cass. 15-10-1990, Rv. 185841). Nell’associazione per delinquere invece l’accordo è finalizzato all’attuazione di un più vasto programma, volto alla perpetrazione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo
associativo tra i partecipanti, ciascuno dei quali ha la costante consapevolezza di essere un associato, anche indipendentemente dall’effettiva commissione dei singoli reati programmati (Cass., Sez. 5, n. 42635 del 4-10-2004, Rv. 229906; Sez 1, n. 30118 del 6-6-2003, Rv. 225037; Cass. 31-5-1995 Barchiesi, Rv. 202192; Cass. 12-5-1995, COGNOME, Rv. 201541; Cass. 22-9-1994, COGNOME, Rv. 199581)» -risulta generico, in quanto afferma che i delitti fine furono tutti programmati nella fase genetica, ma non si confronta, ad esempio, con la costituzione progressiva nel tempo RAGIONE_SOCIALE società facenti capo alla super-società, emergente dall’ordinanza genetica, oltre che con la tipologia eterogenea dei delitti scopo.
Infine, in tema dei vantaggi compensativi, va ricordato, che per escludere la natura distrattiva di un’operazione di trasferimento di somme da una società ad un’altra non è sufficiente allegare la partecipazione della società depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo “RAGIONE_SOCIALE“, dovendo, invece, l’interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo RAGIONE_SOCIALE operazioni compiute nella logica e nell’interesse di un RAGIONE_SOCIALE ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 cod. civ., per la società apparentemente danneggiata (Sez. 5, n. 47216 del 10/06/2019, COGNOME, Rv. 277545 – 01; mass. conf. N. 44963 del 2012 Rv. 254519 – 01, N. 46689 del 2016 Rv. 268675 – 01, N. 10633 del 2019 Rv. 276029 – 01).
Tale dimostrazione non è stata offerta dal ricorrente, né è stato prospettato, con una doglianza quindi generica fin dalla fase del riesame, quanto necessario: cioè che con valutazione ex ante, i benefici indiretti per la società fallita si dimostrino idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi e siano tali da rendere il fatto incapace di incidere sulle ragioni dei creditori della società (Sez. 5, n. 30333 del 12/01/2016, COGNOME e altro, Rv. 26788301; Sez. 5, n. 20039 del 21/02/2013, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Invero, nel caso in esame l’operazione distrattiva consistita nel recesso RAGIONE_SOCIALE due società dal RTI non ha portato alle società recedenti, poi fallite, alcun beneficio, né tantonneno al relativo ceto creditorio, ma solo il danno relativo al venir meno della partecipazione alla RTI e ai relativi profitti.
Né può invocarsi l’art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016, che ratione temporis, in vigore dalla data del 15 dicembre 2018, prevedeva che «Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero RAGIONE_SOCIALE lavoro RAGIONE_SOCIALE politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 10 giugno 2015, ovvero RAGIONE_SOCIALE certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale. Il presente comma non si applica quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purchè il pagamento o l’impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione RAGIONE_SOCIALE domande».
E’ di tutta evidenza che, a fronte della motivazione impugnata, quand’anche vi fosse stata la finalità di ‘salvare’ l’aggiudicazione dell’appalto per gli anni 201 e 2020, con il recesso RAGIONE_SOCIALE due società, come prospetta il ricorrente, tale finalità risultava avvantaggiare esclusivamente RAGIONE_SOCIALE che poteva godere dell’intero profitto tratto dall’appalto (e ciò anche al netto dei costi sostenuti), a fronte di recesso a titolo gratuito che dimostra l’assenza di intenti tesi ad avvantaggiare, seppur in modo indiretto, le società recedenti poi fallite e, dunque, la genericità della censura che richiama l’art. 80 cit. sulla motivazione complessiva ora impugnata: tanto più che il guadagno di RAGIONE_SOCIALE non servì, né risulta alcun tentativo a riguardo, a ripianare i debiti RAGIONE_SOCIALE società recedenti e quindi garantendo i relativi creditori, come la logica dei vantaggi compensativi avrebbe richiesto.
3.2.4 Quanto ai profili di censura relativi ai delitti fine, essendo già stat trattato quello relativo al delitto associativo, questa Corte osserva quanto segue.
3.2.4.1 A ben vedere, l’ordinanza impugnata non fa riferimento esplicito alla circostanza che COGNOME non ricoprisse alcun ruolo formale nelle compagini sociali alla data del recesso della RAGIONE_SOCIALE, della cessione del ramo di azienda a prezzo vile, in ordine alla bancarotta fraudolenta documentale, all’aver cagionato il fallimento a mezzo RAGIONE_SOCIALE frodi fiscali e alla omessa attivazione dei poteri sociali ex art. 2246 e 2247 cod. civ.
A tal riguardo deve però rilevare questo Collegio come l’ordinanza impugnata evidenzi che COGNOME svolse il ruolo di consigliere della RAGIONE_SOCIALE e, poi, di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE (fai. 19) e anche fosse socio occulto della supersocietà di fatto, traendo tale convincimento dalle conversazioni intercettate e illustrate dal G.i.p. nella ordinanza genetica.
L’argomento di censura veniva proposto al Tribunale del riesame reale con il deposito della istanza di riesame personale.
E dunque, essendo la stessa da intendersi quale memoria, va richiamato il consolidato principio per cui in tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame di una memoria difensiva da parte del tribunale del riesame non può essere dedotto in sede di legittimità, salvo che introduca temi nuovi e questioni diverse potenzialmente decisive, non sussistendo un’omessa valutazione quando gli argomenti in essa sviluppati, sui quali il provvedimento impugnato sia rimasto silente, siano smentiti dal complessivo impianto motivazionale, in quanto logicamente incompatibili con la ricostruzione accertata e la valutazione formulata(Sez. 5 n. 5443 del 18/12/2020, dep. 2021, Rv. 280670 – 01; mass. conf. n. 38834 del 2019 Rv. 277220 – 01).
La decisività della memoria va esclusa a fronte dell’ordinanza genetica che operava una complessiva ricostruzione, condivisa dal Tribunale del riesame reale, del ruolo di NOME COGNOME come longa manus esecutiva del fratello, dominus della società di fatto, cosicché in sede di valutazione relativa al fumus, correttamente il Tribunale del riesame reale ha ritenuto sussistere il presupposto del sequestro per la complessiva delibazione che vede COGNOME associato alla compagine criminale coincidente con la società di fatto, socio prima della RAGIONE_SOCIALE e poi amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, nonché titolare di incarichi anche nelle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE (cfr. fol. 129 ordinanza genetica), tutte parte del RAGIONE_SOCIALE, oltre che soggetto a disposizione del capo dell’organizzazione.
Il motivo non affronta, dimostrandosi quindi aspecifico, il valore indiziario RAGIONE_SOCIALE accertate emergenze riferite dalle ordinanze, quella genetica e di riesame reale, che integrano un unico organismo motivatorio in quanto ‘conformi’ e che dimostrano che COGNOME risultava coinvolto dalla rotazione RAGIONE_SOCIALE cariche sociali trasversalmente operata fra più società, da parte dei medesimi soggetti, in modo circolare e diffuso nel tempo, cosicché la circostanza che lo stesso non abbia ricoperto ruoli formali all’atto del recesso e della stipula del contratto di cessione di ramo d’azienda rende il motivo non decisivo, oltre ad attenere non ad una violazione di legge ma, al più, a un vizio di motivazione non deducibile in questa sede.
A tal proposito basti, inoltre, richiamare l’ordinanza genetica, che indicava il ricorrente non solo quale socio della RAGIONE_SOCIALE con il 17,96% per un capitale di 179.600,00 euro, e socio unico della RAGIONE_SOCIALE per un capitale di 81.000 euro, ma anche socio iniziale di RAGIONE_SOCIALE (fol. 12) e socio di RAGIONE_SOCIALE con quote pari a 16.500,00 euro, nonché amministratore della stessa dal 23 agosto 2021 (foll. 37-39 della ordinanza genetica).
Di tali complessive circostanze, ed in particolare con riferimento a RAGIONE_SOCIALE, non tiene conto neanche il Tribunale del riesame di Catanzaro
in occasione dell’annullamento della ordinanza cautelare personale, come anche sembra cadere in errore quando esclude che NOME COGNOME fosse amministratore della RAGIONE_SOCIALE all’atto del recesso di COF dalla RTI: infatti il recesso contestato al capo 3) interveniva il 17 agosto 2020 e NOME COGNOME, socio della recedente, risultava amministratore della beneficiaria RAGIONE_SOCIALE dal 18 maggio 2020, come risulta dal fol. 12 della ordinanza genetica. Il che palesa, comunque, la infondatezza del ricorso ora in esame sul punto della estraneità anche formale di COGNOME all’operazione distrattiva e alle ulteriori condotte di bancarotta contestate.
Né il riferimento al ruolo di COGNOME come «testa di legno» in favore del fratello – il che rileverebbe quanto all’attribuzione allo stesso di una responsabilità per le condotte di bancarotta – risulta calzante, in quanto al fol. 19 della ordinanza impugnata viene indicato come COGNOME svolga funzioni esecutive «per dare attuazione alle indicazioni del fratello COGNOME NOME e di COGNOME NOME per quanto riferibile alla società RAGIONE_SOCIALE», il che non coincide con la funzione di «testa di legno» che implica una assunzione solo formale, e non attiva, oltre che inconsapevole dell’azione societaria, il che è escluso dal provvedimento impugnato, per quanto evidenziato.
Pertanto, alla inidoneità disarticolante della censura, si aggiunge anche la aspecificità della stessa, in ragione della carenza della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’attuale impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, COGNOME, Rv. 253849).
D’altro canto, anche la qualità di «testa di legno» non esonererebbe NOME COGNOME dalla responsabilità in ordine alla condotta di bancarotta documentale generica contestata (cfr. Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, La Porta, Rv. 282280 – 01, che osserva come in tema di bancarotta fraudolenta documentale cd. ‘generica’, per la sussistenza del dolo dell’amministratore solo formale non occorre che questi si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità volti ad impedire o a rendere più difficoltosa l ricostruzione degli affari della fallita, ma è sufficiente che l’abdicazione agli obbligh da cui è gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità dell’alterazione fraudolenta della contabilità e dal mancato esercizio dei poteri-doveri di vigilanza e controllo che gli competono).
Certamente, quindi la motivazione non è apparente ed è corretta l’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme asseritamente violate in ordine ai delitti fine di bancarotta.
3.2.4.2 In ordine ai delitti tributari, in parte il ricorso ripercorre le medesim doglianze già affrontate al punto che precede, tanto più che il complessivo sistema descritto nei provvedimenti cautelari palesa un metodo di frode al fisco del quale
chi era coinvolto nell’azione associativa criminale, anche attraverso incarichi sociali per tempi ridotti, contribuiva: i delitti tributari risultavano commessi attravers società – emittenti le fatture per operazioni inesistenti e utilizzatrici RAGIONE_SOCIALE stesse – comunque facenti capo alla super-società, che lucravano sistematicamente per ottenere l’abbattimento del reddito, facendo figurare costi inesistenti, nonché creando crediti di imposta senza alcuna operazione effettiva.
A fronte di tale premessa, per un verso la censura che rappresenta che COGNOME non avrebbe avuto contezza della inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni in relazione alle fatture dell’anno 2019, da lui indicate nella dichiarazione del 2020, risulta non confrontarsi con il meccanismo fraudolento descritto e, dunque, con la consapevolezza ‘storica’ di COGNOME – coinvolto in plurime società del ‘RAGIONE_SOCIALE‘ fin dall’origine, oltre che fratello dell’amministratore di fatto della super-società capo dell’organizzazione sociale e criminale – che, subentrando quale amministratore nella RAGIONE_SOCIALE, avrebbe potuto rinvenire fatture per operazioni inesistenti.
Per altro verso, è ben possibile che il delitto contestato sia sorretto dal dolo eventuale, in quanto in tema di reati tributari, il dolo specifico richiesto p integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione RAGIONE_SOCIALE imposte dirette o dell’Iva (Sez. 3, n. 52411 del 19/06/2018, B., Rv. 274104 – 01).
D’altro canto, sul solco di tale pronuncia, anche la successiva sentenza emessa da Sez. 3, n. 12680 del 2020, COGNOME, n. m., ha chiarito che «la compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico richiesto dall’art. 2 d.lgs. n 74 del 2000, è stata asserita da: Sez. 3, n. 28158 del 29/03/2019, COGNOME, non massimata; Sez. 3, n. 52411 del 19/06/2018, COGNOME., Rv.274104-01; Sez. 3, n. 30492 del 23/06/2015, COGNOME, Rv. 264395-01. In particolare, tale compatibilità è stata ritenuta sia perché la finalità di evadere le imposte (o di ricevere un indebito rimborso) è ulteriore rispetto al fatto tipico, sia perché il reato di cui all’art. 2 d. n. 74 del 2000 è reato di pericolo e non di danno, e, quindi, prescinde da una effettiva evasione del debito tributario, sia perché, in linea generale, la prevalente giurisprudenza, specie in materia di furto e di ricettazione, ritiene compatibile dolo eventuale e dolo specifico (queste ragioni giustificative sono esposte specificamente da Sez. 3, n. 52411 del 2018, cit.). isulta costante l’indirizzo che ravvisa la compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico anche in
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relazione agli altri delitti previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 i quali richiedono t forma di finalizzazione volontaria della condotta, come, ad esempio, nel caso dei reati di dichiarazione infedele (Sez. 3, n. 30492 del 2015, cit.), di omessa dichiarazione (Sez. 3, n. 7000 del 23/11/2017, dep. 2018, Venturini, Rv. 27257801), di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939-01)».
In modo condivisibile tale ultima pronuncia evidenzia come «se, infatti, ai fini della configurabilità del dolo eventuale, l’agente deve “lucidamente” raffigurarsi il fatto lesivo quale conseguenza della sua condotta, e deve inoltre consapevolmente determinarsi ad agire comunque, accettando compiutamente la verificazione di tale fatto lesivo, risulta ragionevole concludere che il medesimo agente, nella indicata situazione, pone in essere la sua condotta nella piena consapevolezza che questa potrà realizzare anche la specifica finalità richiesta dalla legge ai fini dell’integrazione del reato, e, quindi, nell’attivarsi accettandola, la fa propria».
Per le ragioni esposte dall’ordinanza impugnata e da quella genetica del G.i.p., emerge come la censura sia infondata e la motivazione implicita si trae dalla ritenuta consapevolezza, quanto alla dinamica fraudolenta ripetuta e diffusa fra le società del RAGIONE_SOCIALE, da parte di uno degli associati.
Quanto alla inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, che il ricorrente contesta, si tratta di una richiesta di rivalutazione in fatto non proponibile in questa sede, avendo i Giudici della cautela ritenuto corretta la verifica della inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni fatturate. Per altro, non difetta la motivazione, in quanto sul punto il Tribunale del riesame rinvia alle valutazioni effettuate su analoga censura da COGNOME (cfr. foll. 8 e in particolare fol. 13), in relazione al quale viene dato conto dell circostanza che le prestazioni fatturate sono state ritenute inesistenti, in quanto non inerenti al ciclo produttivo della filiera agroalimentare (come per gli imballaggi non necessari per la produzione), oppure replicate per le medesime merci fra le varie società o, infine, fatturate in modo generico.
D’altro canto, corretto è il richiamo sostanziale all’inerenza della prestazione rispetto all’attività della società e alla genericità della fatturazione, risultando indici sintomatici della inesistenza della prestazione, secondo i principi di effettivit e inerenza che l’ordinamento ritiene, anche in sede tributaria, necessari ai fini del recupero dell’imposta (sul punto, a titolo esemplificativo ex multis, Sez. 5 civ., n. 33915 del 19/12/2019 – Rv. 656602 – 01 ha affermato che in materia di deducibilità dei costi d’impresa, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che
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è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia).
In ordine al capo 13), lo stesso va correlato al capo 8), al quale rinvia: cosicché la prima contestazione riguarda l’emissione RAGIONE_SOCIALE fatture per le operazioni inesistenti dalle tre società ivi indicate in favore della RAGIONE_SOCIALE, che le avrebbe indicate in dichiarazione, come risulta dal capo 8). La doglianza difensiva è aspecifica allorchè è tesa a negare che COGNOME abbia emesso materialmente fatture per operazioni inesistenti, quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE, mentre invece quest’ultima società e il suo amministratore sono accusati di averle utilizzate indicandole in dichiarazione.
Quanto al (diverso) concorso morale nell’emissione, va rilevato come la ritenuta esistenza di un complesso societario di fatto superiore e della associazione per delinquere consente di ritenere che correttamente sia stata disapplicata la previsione dell’art. 9 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Infatti, in tema di reati tributari, la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dall’art. 9 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 non si applica al soggetto che cumuli in sé la qualità di emittente e quella di amministratore della società utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE medesime fatture per operazioni inesistenti, né al consulente fiscale che con il primo concorra, quale “extraneus”, nella commissione di ciascuno dei reati oggetto di volontà comune, in considerazione della natura paritaria del titolo di responsabilità previsto dall’art. 110 cod. pen (Sez. 3, n. 34021 del 29/10/2020, COGNOME, Rv. 280370 – 01, fra le altre).
Anche nel caso in esame, al di là della carica formale, la circostanza che la pratica RAGIONE_SOCIALE fatture emesse per operazioni inesistenti fosse stata condivisa e coordinata, consente di ritenere sussistente la motivazione, non apparente, dell’aver ritenuto che il ricorrente oltre a rispondere dell’art. 2 d.lgs. n. 74 d 2000, quale amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, abbia anche concorso moralmente nella condotta di emissione RAGIONE_SOCIALE fatture.
3.3. Quanto al terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, tutti relativi alle modalità del sequestro, alla quantificazione del profitto e al perículum in mora, per l’evidente connessione ne va operata una trattazione unitaria.
In ordine alla quantificazione del profitto ingiusto conseguente alle condotte di bancarotta, deve questa Corte limitarsi a richiamare la valutazione di congruità della stima operata dal Tribunale del riesame in ordine al profitto sottratto alle
società fallite (cfr. foll. 10-11). Il motivo in esame, a ben vedere, censura la circostanza che non sarebbe stato considerato il costo che le fallende avrebbero dovuto sostenere rimanendo nel RTI, e però da questo punto di vista la doglianza è generica, in quanto i presunti costi non sono indicati, come neanche lo furono con l’istanza di riesame.
In merito alla censura che riguarda la quantificazione del sequestro in euro 7.679.013,72, in ordine ai reati tributari nei confronti del ricorrente, che sarebbe illegittima in quanto non relativa ai singoli delitti allo stesso attribuiti, evidenziare questa Corte come il provvedimento genetico, confermato dall’ordinanza impugnata, opera in modo corretto: dispone per il profitto dell’associazione per delinquere – valutato pari alla sommatoria dei profitti dei delitti fine – il sequestro diretto del denaro pari ad euro 10.042.227,38 nei confronti degli associati in solido, e poi, per il caso di incapienza, limitatamente ai reati tributari per i quali è consentito il sequestro per equivalente ex art. 12 -bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, complessivamente quantificando il profitto di tali reati in euro 7.679.013,72; l’importo viene poi correttamente ripartito per il profitto di ogni condotta di reato, pertanto per NOME COGNOME per euro 265.637,96, per il capo 8), sui beni di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; nonché di euro 96.684,57, provento del reato di cui al capo 13), sui beni mobili e immobili intestati o cointestati a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, NOME e COGNOME NOME.
Per altro, il delitto dì associazione per delinquere é idoneo a generare un profitto autonomo rispetto a quello prodotto dai reati fine, il quale è costituito da complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme di questi ultimi (Sez. 2, n. 30255 del 03/03/2017, COGNOME, Rv. 270705 – 01; in motivazione la Corte ha precisato che questa interpretazione trova conferma indiretta nell’art. 24-ter del D.Lgs. n. 23 del 2001, che, seppure con riferimento alla responsabilità degli enti, prevede la configurabilità di un profitto conseguente alla commissione del reato di associazione per delinquere commesso nell’interesse o vantaggio dell’ente stesso; mass. conf.: N. 5869 del 2011 Rv. 249537 – 01, N. 6507 del 2015 Rv. 262782 – 01, N. 26721 del 2015 Rv. 263945 – 01, N. 15205 del 2016 Rv. 266697 – 01, N. 44921 del 2016 Rv. 268772 – 01).
Inoltre, essendo il profitto dell’associazione per delinquere consistente in denaro, la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova
dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037 – 01).
Pertanto infondata è la doglianza, mentre quella che richiama la necessità di distinguere il profitto per l’utilizzatore (capo 8) e per l’emittente (capo 13) comunque generico, perché non censura in dettaglio il calcolo operato dal G.i.p. e tratto dalle indagini, per altro trascurando la non applicabilità al caso di specie della regola dell’art. 9, d.lgs. n. 74 del 2000, per quanto indicato in precedenza.
Anche infondato è il motivo relativo alla possibilità di operare il sequestro preventivo per equivalente solo in danno del fallimento, in quanto Sez. U, n. 40797 del 22/06/2023, Fall. Lavanderia Giglio, Rv. 285144 – 01 ha affermato che l’avvio della procedura fallimentare non osta all’adozione o alla permanenza, ove già disposto, del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari, cosicché trova conferma l’ordinanza impugnata (fol. 21).
Anche quanto al periculum in mora corretta è la valutazione operata dal tribunale del riesame, che ha ritenuto sussistente la pertinenzialità dei beni ai delitti in relazione al profilo afferente il profitto, come anche il pericolo dispersione degli stessi, e quindi l’aggravamento RAGIONE_SOCIALE conseguenze del reato, e di utilizzazione in altre attività illecite, a cominciare dal finanziament dell’associazione per delinquere (fol. 134 della ordinanza genetica).
A fronte di tale motivazione, anche fondata sull’analisi della gravità e pluralità RAGIONE_SOCIALE condotte illecite tenute nel tempo, anche distrattive e, dunque, comunque in sé dispersive, la censura è, come era in sede di riesame, assolutamente generica in quanto non si confronta con tale ampia originaria motivazione.
3.4 Ne consegue la complessiva infondatezza del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
Quanto al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si osserva quanto segue.
4.1 In ordine al primo motivo il Tribunale del riesame evidenzia come NOME NOME, quale Amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE fino al 22.05.2020 abbia avuto comunque consapevolezza del recesso RAGIONE_SOCIALE due società del RTI, pur non ricoprendo cariche nelle stesse. A ben vedere la difesa, in sede di riesame, ha depositato la visura camerale dalla quale emerge che NOME è stato amministratore della società dal 30 ottobre 2019 al 22 maggio 2020, dopo esserlo stato fino al 10 settembre 2010 quando gli subentrò COGNOME NOME. Per altro dalla medesima visura emerge anche che NOME è socio al 50% della società con RAGIONE_SOCIALE al 18 ottobre 2019.
Con tali circostanze non si confronta il Tribunale del riesame.
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Invero l’affermazione di sussistenza del fumus commissi delicti è apodittica e non tiene in conto che l’arco temporale di amministrazione da parte del COGNOME quanto alla società beneficiaria dei recessi dalla RTI contestati ai capi 2) e 3), la RAGIONE_SOCIALE, risultava essere intermedio fra gli stessi e, d’altro canto, anche l’atto di cessione del ramo di azienda, indicato al capo 3), verificatosi il 25 maggio 2020, risultava successivo alla cessazione dell’incarico di amministratore.
Vi è sul punto una evidente apparenza di motivazione da parte del provvedimento impugnato, quanto al fumus del concorso di NOME NOME, nelle condotte di bancarotta sub capi 2) e 3), anche perché l’ordinanza impugnata non coglie il senso della censura, che riguardava la responsabilità di NOME nell’ambito della beneficiaria RAGIONE_SOCIALE e non la sua estraneità alle recedenti. Spetterà al Tribunale, in sede di rinvio, tener conto di tali emergenze formali, dovendo valutare se sussistono altri elementi che consentano di ritenere altrimenti comprovato il fumus commissi de//ct/ in relazione a condotte poste in essere da NOME COGNOME quale concorrente nelle condotte distrattive in favore di RAGIONE_SOCIALE sotto l’egida di altri amministratori.
Pertanto, nei termini indicati il motivo è fondato e va disposto in ordine ai capi 2) e 3) l’annullamento in ordine al fumus del reato, quanto al profilo oggettivo e soggettivo RAGIONE_SOCIALE condotte da attribuirsi all’attuale ricorrente.
Diversamente quanto al capo 4), relativo alla bancarotta societaria per causazione del dissesto a mezzo RAGIONE_SOCIALE condotte di frode fiscale, nonché di bancarotta fraudolenta documentale di tipo generico, le censure mosse non scalfiscono la motivazione impugnata, che si fonda sulla inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni fatturate e l’utilizzo RAGIONE_SOCIALE fatture emesse, per le quali corretta è l valutazione del Tribunale del riesame, per quanto si leggerà a seguire.
4.2 Infatti, venendo al secondo motivo, lo stesso è infondato quanto ai reati tributari, poiché, a fronte della carica formale rivestita da NOME COGNOME in relazione ai capi 8) e 13), la circostanza che la dichiarazione dei redditi sia stata firmata da un terzo non elimina il fumus commissi delicti, neanche in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
A ben vedere allo stato, correttamente il Tribunale del riesame ha ritenuto il fumus dei reati, in forza del principio generale, relativo alla bancarotta documentale generica, ma applicabile anche ai reati tributari, in relazione alla circostanza che la dichiarazione ai fini IVA era sottoscritta da una terza persona, diversa dal ricorrente. L’imprenditore non è esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata a soggetti forniti di specifiche cognizion tecniche, in quanto, non essendo egli esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano stati trascritti secondo le
indicazioni fornite dal titolare dell’impresa (Sez. 5, Sentenza n. 36870 del 30/11/2020, COGNOME, Rv. 280133 – 01; conf. n. 709 del 1999 Rv. 212147 – 01, n. 11931 del 2005 Rv. 231707 –  01, n. 2812 del 2014 Rv. 258947 – 01).
Ne consegue che anchea r- usazione del fallimento, pure contestata, risulta comunque per la stessa ragione attribuibile all’amministratore come conseguenza RAGIONE_SOCIALE condotte in violazione RAGIONE_SOCIALE regole tributarie.
Quanto, alla doglianza relativa alle operazioni ritenute arbitrariamente inesistenti, basti qui richiamare, data la sovrapponibilità della censura, quanto osservato al punto 3.2.4.2 che precede.
Quanto al dolo specifico, richiesto dalla norma incriminatrice dell’art. 8 d.lgs., sul punto va evidenziato – il che è sufficiente in sede di valutazione del fumus a fronte di un motivo sostanzialmente generico – che anche solo per l’amministratore di diritto che funga da prestanome di una società, quindi a maggior ragione per NOME COGNOME che non risulta tale dai provvedimenti cautelari, la prova del dolo specifico dei reati tributari di cui agli artt. 5, 8 e 10 d.lgs n. 74 del 2000 può essere desunta dal complesso dei rapporti tra questi e l’amministratore di fatto, nell’ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalità dell’attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità (Sez. 3, n. 2570 del 28/09/2018, dep. 2019, Marni, Rv. 275830 – 01).
4.3 Ne consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente ai capi 2) e 3), nel resto risultando infondato il ricorso.
Quanto ai ricorsi proposti con unico atto nell’interesse di COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché con ulteriore unico atto per COGNOME NOME e COGNOME NOME, come anticipato i ricorsi sono inammissibili, a seguito di dichiarazione in udienza dei rispettivi difensori accompagnata dal deposito del relativo atto personalmente sottoscritto dal ricorrente, con autentica del difensore.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che «la rinuncia al ricorso per cassazione validamente proposto, in quanto esercizio di un diritto potestativo dell’avente diritto, determina l’immediata estinzione del rapporto processuale, cui consegue l’immediato passaggio in giudicato della sentenza all’atto della dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione» (Sez. U, n. 12602 del 17 dicembre 2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266821).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della sanzione pecuniaria, equa al caso, indicata in dispositivo.
Quanto al ricorso di NOME COGNOME consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n.
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103), al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE ammende.
Per NOME COGNOME, invece, a fronte del rigetto parziale del ricorso, va disposta in ordine ai capi 2) e 3) l’annullamento con rinvio al Tribunale di Vibo Valentia sui punti evidenziati in precedenza.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato limitatamente ai capi 2) e 3) nei confronti di COGNOME NOME con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Vibo Valentia e rigetta nel resto il ricorso del medesimo. Rigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro cinquecento in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso in Roma, 24/10/2023 Il Consigliere estensore Il presidente