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Sequestro preventivo: fondi successivi e onere prova

Una società, coinvolta in un’indagine per truffa, si è vista respingere la richiesta di svincolo di somme affluite sul proprio conto corrente dopo l’esecuzione di un sequestro preventivo. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che spetta alla società fornire una prova rigorosa della provenienza lecita di tali somme, cosa che nel caso di specie non è avvenuta. La decisione ribadisce che il semplice afflusso di denaro post-sequestro non è sufficiente per ottenerne la liberazione.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro Preventivo: L’Onere della Prova sui Fondi Successivi

Quando un conto corrente viene sottoposto a sequestro preventivo, cosa succede ai soldi che arrivano dopo l’esecuzione della misura? Possono essere considerati automaticamente ‘puliti’ e quindi svincolati? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 27457/2025) offre un chiarimento fondamentale su questo tema, stabilendo un principio netto sull’onere della prova. Il caso riguarda una società che, dopo aver subito il sequestro del proprio conto, ha chiesto la restituzione di somme accreditate successivamente, sostenendone la provenienza lecita derivante dalla normale attività d’impresa.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Roma che disponeva un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per un valore di quasi 280.000 euro. La misura era stata ordinata nell’ambito di un’indagine per concorso in truffa aggravata a carico di due persone. In esecuzione del provvedimento, venivano bloccati i conti correnti di due società, ritenuti nella disponibilità degli indagati.

Una delle due società si rivolgeva al giudice chiedendo lo svincolo del conto e la restituzione di circa 8.000 euro, sostenendo che tale somma era stata accreditata dopo l’esecuzione del sequestro e rappresentava il frutto di regolari transazioni commerciali con i propri clienti. La richiesta veniva però respinta sia dal Giudice per le indagini preliminari sia, in sede di appello, dal Tribunale del riesame. La società decideva quindi di ricorrere in Cassazione, lamentando l’abnormità del provvedimento e l’errata applicazione della legge.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando la società ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte ha ritenuto che il provvedimento impugnato non fosse abnorme e che le doglianze della società non rientrassero nei limiti del ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali, ammissibile solo per violazione di legge.

Le Motivazioni della Sentenza sul Sequestro Preventivo

La Corte ha smontato le argomentazioni della ricorrente punto per punto, fornendo una lezione chiara sull’applicazione del sequestro preventivo e sulla gestione dei fondi sopravvenuti.

In primo luogo, i giudici hanno escluso il carattere ‘abnorme’ dell’ordinanza. L’atto del Tribunale del riesame era infatti una decisione tipica, prevista dal codice di procedura penale, e non un atto anomalo in grado di paralizzare il processo.

Il cuore della motivazione, tuttavia, risiede nella questione dell’onere della prova. La Cassazione ha richiamato un principio consolidato: un vincolo ablativo come il sequestro di una somma di denaro non può estendersi automaticamente a somme di certa provenienza lecita, percepite successivamente alla sua esecuzione. Tuttavia, non basta affermare che i fondi sono ‘puliti’. Spetta a chi ne chiede la restituzione dimostrarlo in modo inequivocabile.

Nel caso specifico, la documentazione prodotta dalla società è stata giudicata ‘inidonea a comprovare l’effettiva causale lecita della somma’. In altre parole, la difesa non è riuscita a dimostrare, al di là di ogni dubbio, che quegli 8.000 euro provenissero effettivamente da regolari transazioni commerciali con clienti, estranee ai fatti illeciti oggetto di indagine. Il Tribunale del riesame, secondo la Cassazione, ha quindi correttamente applicato la legge, ritenendo non provata la provenienza lecita dei fondi.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica: chi subisce un sequestro preventivo su un conto corrente e riceve successivamente accrediti da fonti legittime ha l’obbligo, non la semplice facoltà, di fornire una prova rigorosa, completa e convincente della loro origine. Non è sufficiente produrre documenti generici o affermazioni; è necessario creare un nesso causale diretto e indiscutibile tra la transazione lecita e la somma accreditata. In assenza di tale prova, i fondi, anche se successivi al blocco, rimangono sotto il vincolo del sequestro fino a diversa decisione del giudice.

Un sequestro preventivo su un conto corrente si estende automaticamente ai soldi che arrivano dopo?
No, il principio generale è che il vincolo ablativo non si estende a somme di cui sia provata la provenienza lecita e che siano state percepite successivamente all’esecuzione della misura.

Chi deve dimostrare che i fondi arrivati dopo un sequestro sono di origine lecita?
L’onere della prova spetta interamente a chi chiede la restituzione dei fondi. Questa persona o società deve fornire una documentazione completa e idonea a comprovare l’effettiva e lecita causale delle somme accreditate.

Perché il ricorso della società è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, secondo la Corte di Cassazione, la società ricorrente non ha fornito prove sufficienti a dimostrare l’origine lecita delle somme di cui chiedeva la restituzione, e i motivi del ricorso non configuravano una violazione di legge, unico vizio deducibile in sede di legittimità per i provvedimenti di sequestro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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